Il Castello dei Conti di Aquino
Aquino. Comune in provincia di Frosinone, sorge su un vallone percorso da un affluente del fiume Liri, il torrente Le Forme.
Sede Episcopale, con la caduta dell’Impero Romano divenne terra di conquista e fu devastata dai Longobardi, che però la ricostruirono, risultando un punto di riferimento importante del ducato di Benevento, nel quale rientrò dal IX secolo. Contesa poi tra il Monastero di Monte Cassino e i signori locali, divenne feudo dei D’Aquino che vi costruirono il Castello usando materiale tratto dai ruderi dell’antica città romana. Aquino fu di nuovo distrutta nel 1252 da Corrado IV. Si salvò solo il Castello, intorno al quale si ricostruì il borgo con pochi abitanti, in continua lotta con il circostante terreno paludoso e fonte di malaria. Rimasta a lungo signoria dei D’Aquino, nel XV secolo passò ai D’Avalos per il matrimonio fra Antonella, figlia di Bernardo D’Aquino ed Inigo D’Avalos. I due coniugi, il 15 settembre 1476, concessero lo statuto alla comunità; nel codice legislativo, oltre alle norme per il funzionamento dell’ordinamento signorile e della giustizia, si organizzava l’amministrazione civile e giudiziaria della città. Nel 1583 Giacomo Boncompagni acquistò il possedimento di Arpino, che comprendeva anche il feudo Aquinante. La casata si interessò allo sviluppo economico della zona: bonificarono i laghi ed incrementarono le gualchiere, il cui reddito salì rapidamente. Il feudo di Aquino rimase ai principi Boncompagni fino alla fine del Settecento, quando Ferdinando IV l’acquistò per il demanio regio, ed entrò a far parte del regno di Napoli.
Dell’antica città sono rimaste soltanto poche testimonianze e quasi tutte seriamente danneggiate. Al centro del paese si eleva un’alta torre medioevale. Vicino si notano i resti del Castello dei D’Aquino. Secondo gli Aquinati, San Tommaso sarebbe nato qui e non nel Castello di Roccasecca. Inoltre si conservano alcuni tratti di mura, due porte, e il capitolium, di cui si può osservare un muro perimetrale. Per accrescere la difesa della città, si pensò di fortificare il Castello con tre Torri di cui una grandissima ad est e due più piccole, poste una a nord e l’altra a sud del Castello. Di queste torri ora ne restano soltanto due: quella maggiore con i merli tuttora evidenti, di forma quadrangolare e ben conservata; i bombardamenti aerei cui fu sottoposta la città nell’ultimo conflitto, la danneggiarono seriamente nel lato sud, ma fu restaurata a cura della Soprintendenza alle antichità di Roma; l’altra, nel basso, verso Porta Fistula, in fondo all’attuale Via S.Costanzo, è di forma rotonda e in mediocre stato di conservazione. La Porta Fistula si apriva sulla strada che portava ad Interamna e, nei tempi posteriori, metteva in comunicazione la città con il Castello. Della terza Torre, quella a nord, non resta nulla, solo qualche pietra forata che si osserva, posta in muratura, nelle case di recente costruzione nei pressi dove essa si trovava.
Il Castello fu dedicato alla Santa Croce, come rivelasi dalla Cronaca di Leone Ostiense, riportata da Pasquale Cayro nella Storia di Aquino. Nel Castello s’amministrò la giustizia e, pertanto, si disse anche Castello Pretorio. Nella piccola piazza del Castello, sul pianerottolo di una piccola scala, al piano secondo si conserva una porta a sesto acuto. Alla grande Torre quadrata non vi era alcuna porta d’ingresso, ma vi si accedeva da di sotto, per mezzo di una piccola scala, scavata nel massiccio travertino, non vi erano i quattro finestroni che oggi vi sono. L’attuale porta d’ingresso alla grande Torre ed i quattro finestroni furono fatti alla fine del secolo XVIII, quando la Torre fu trasformata ad uso Campanaria. La Torre era staccata dal Castello ed isolata in tutti i lati, con la roccia tagliata a scivolo.
È noto che i Conti D’Aquino avevano grande venerazione per la Santa Croce, perché dedicarono ad essa anche il Castello di Roccasecca.
Bibliografia: (Istituto It. Castelli Lazio-Rendina-L.Centra-Bonechi-Il Castello III°/VI° anno)
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