Il caso Ismail Ltaief
Il 14 luglio si tiene la prima udienza del processo contro quattro agenti e un ispettore capo della Polizia Penitenziaria del carcere di Velletri per minacce, lesioni gravi, e intralcio alla giustizia. «Io ho un passato di cui non sono fiero… non sono un eroe, sono finito dentro perché ero un fuorilegge». Così esordisce Ismail Ltaief, un extracomunitario che per piccoli reati viene condannato alla detenzione nel carcere di Velletri. E prosegue narrando la sua storia. Al suo arrivo nell’istituto di pena viene messo a lavorare come cuoco nelle cucine del carcere. Nello svolgere il suo compito si accorge che ci sono delle discrepanze tra le derrate alimentari che entrano nell’istituto, registrate nel computer e nei brogliacci dell’amministrazione, e quello che effettivamente arriva nelle scodelle dei detenuti. «Entravano cibi buoni, cozze, carciofi, peperoni, per 400 detenuti, ma poi nelle scodelle trovavamo sempre la solita pasta in bianco… Quella roba buona se ne riusciva col furgone, e finiva a ispettori, guardie e vigilatrici» dice Ismail.
Col tempo si rende conto che c’è un giro di truffe che coinvolge responsabili, agenti e anche detenuti, che sottraggono ingenti derrate alimentari destinate all’istituto. Lui si ribella a quelle ruberie perché ne va di mezzo lo scarso vitto di tutti i detenuti. Cerca di denunciare il tutto, ma non viene ascoltato da chi dovrebbe prendersi a cuore il caso, come ad esempio il Garante per i Detenuti. Intanto i responsabili delle truffe cercano di intimorirlo con minacce di morte «...ti metteremo in un blocco di cemento». Lui si terrorizza e si dimette dal posto di cuoco. Parla con un comandante che cerca di tranquillizzarlo e gli promette sicurezza e protezione in cambio di una ritrattazione, cercando di portarlo dalla parte dei truffatori promettendogli una cella singola, un computer, persino una decina di migliaia di euro per comprare la sua complicità. Intanto apre un’inchiesta interna che conclude che nulla di anomalo è successo nell’amministrazione del penitenziario.
Ma Ismail si rifiuta di ritrattare, e subito ricominciano varie intimidazioni, fino ad arrivare ad un duro pestaggio che lo costringe al ricovero in ospedale. Una sera infatti viene chiamato nell’ufficio dell’ispettore capo con la scusa di fare da traduttore ad un tunisino, viene messo in mezzo ad alcuni agenti che cominciano a picchiare sotto l’incitazione dell’ispettore con la raccomandazione di non lasciare troppi segni. Poi la situazione degenera, Ismail cade a terra e viene violentemente pestato a calci e con bastoni. Perde i sensi. Viene portato all’ospedale Belcolle di Viterbo, dove gli vengono riscontrate fratture alle vertebre che non gli consentivano di stare eretto, e gravi lesioni procurate da un oggetto piatto, oltre che da calci e pugni. Finalmente trova un Procuratore della Repubblica di Velletri che gli crede e apre un’indagine, e in seguito al suo esito ottiene la custodia cautelare per l’ispettore e gli agenti coinvolti, per accuse che vengono confermate dal Tribunale del Riesame, a conferma della loro solidità. Parallelamente è partita un’inchiesta per peculato.
Ebbene, fortunatamente Ismail non è morto come Stefano Cucchi, ma aspetta giustizia. (È forse utile ricordare che l’appalto per la fornitura dei pasti a tutte le prigioni italiane è appannaggio di una sola impresa, che garantisce per 3,80 euro i tre pasti per ognuno dei detenuti i quali, vista la scarsità del vitto, sono costretti a fare autonomamente la spesa nello spaccio interno, dove i vari generi alimentari vengono venduti a prezzi decisamente superiori rispetto a quelli applicati dai negozi).
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