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Il Carnevale nella tradizione culturale

Il Carnevale nella tradizione culturale
Febbraio 09
14:06 2010

Il Carnevale di Roma in un’immagine del passatoSemen in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito impazzire. È il motto millenario che accompagna il carnevale, in tutto il mondo, in tutte le sue forme rituali, in tutte le tradizioni e i festeggiamenti. Il piacere della baldoria, l’abbattimento delle gerarchie sociali e il rovesciamento dei ruoli, hanno un’origine che si perde nella notte dei tempi e che antropologicamente coincide con la riaffermazione del mito contro la cultura e la civilizzazione. La Chiesa, fin dalla sua formazione, l’ha ostacolato, bollandolo come rito pagano. I tentativi di cristianizzazione promossi da moralizzatori come Savonarola, il clima rigido restaurato dalla Controriforma, hanno avviato un processo di riformulazione dei rituali carnevaleschi che hanno assunto nuovi significati culturali nelle tradizioni popolari. Dall’esaltazione dionisiaca della tradizione greca, ai saturnali romani, ai carnevali aristocratici di Firenze e di Venezia, la ricorrenza ha legittimato la temporanea concessione alla dissolutezza. È così diventato la rappresentazione spettacolare delle lotte tra frazioni cittadine – come ancora oggi avviene, per esempio, nella battaglia delle arance di Ivrea – la rivincita delle classi povere su quelle agiate, lo sfarzo e la parata allegorica come apoteosi dello scioglimento di ogni vincolo, compresi quelli dell’identità e del ruolo sociale. Com’è noto, l’etimo della parola risale al latino ma è ancora incerto: sembra derivare da “carnem laxatio”, ossia “abbandono della carne” o “abbandono alla carne”, data la connotazione orgiastica che è all’origine del rito. Tuttavia l’ipotesi storicamente accreditata è quella di “carnem levare”, ossia “togliere la carne”. Ed è stata infatti proprio la sua denominazione a legittimarlo, anche se ufficiosamente, come istituzione profana che ha vinto la sua lotta contro la religione, tanto da entrare di diritto nella scansione del calendario cristiano, fissandosi nel periodo che precede la quaresima: iniziando il 17 gennaio e terminando col mercoledì delle ceneri. La tradizione del mascheramento trae ispirazione dagli antichi rituali magici del paleolitico, quando le danze e le maschere terrificanti indossate dagli stregoni avevano lo scopo di scacciare gli spiriti maligni. Il carattere “liturgico-religioso” del carnevale ha infatti traslato la simbologia dello scongiuro e del sacrificio agli dèi. Oggi il capro espiatorio è rappresentato dal fantoccio che viene bruciato sul rogo in molte tradizioni italiane. Da un punto di vista esoterico, il carnevale è all’antitesi del Natale: se quest’ultimo rappresenta l’ascesa della spiritualità, il rito pagano simboleggia la discesa negli inferi, la lotta e il riscatto dal male. Il fuoco è in effetti un simbolo di purificazione. È considerato come la festa popolare per eccellenza. Nel suo soggiorno a Roma (1786-1788) Goethe disse: «il carnevale di Roma non è una festa che si offre al popolo ma bensì una festa che il popolo offre a se stesso».Tra i più importanti che la capitale ricorda c’è quello che si celebrò nel 1822, sia per la numerosa partecipazione popolare, sia per le personalità che vi presero parte. Quel giovedì grasso tutti aspettarono che le campane del Campidoglio rintoccassero: fu il segnale che autorizzò le maschere a sfilare liberamente per le strade di Roma. Gente coperta di stracci e mascherata semplicemente con una benda che copriva un occhio, diede vita al cosiddetto “corteo degli orbi”, capeggiati da Massimo D’Azelio che sfilò intonando versi sulle note di Rossini, mentre Niccolò Paganini lo accompagnava al violino. La storiografia descrive i due musicisti travestiti da donna nell’atto di eseguire le composizioni ispirate al carnevale di cui, proprio nel 1822, furono coautori. Il carnevale non ha mai smesso di essere una festa che si consuma per le strade, nonostante, nell’ottica del consumismo, soprattutto dal Novecento in poi, si sia trasferito nei veglioni e nelle feste private, relegando il suo aspetto più sfarzoso alle coreografiche sfilate di carri in maschera, espressione dell’arte artigianale e della satira politica.

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