Il buio al di qua della siepe
Il 14 luglio, in Florida, un vigilante a nome George Zimmerman è stato assolto dalla giuria di un tribunale. A febbraio del 2012 aveva ucciso un giovane nero, Trayvon Martin, che si aggirava in un quartiere residenziale ‘armato’ di un sacchetto di caramelle; il vigilante lo aveva seguito insospettito e, alla reazione del giovane forse impaurito, lo aveva ripetutamente colpito.
Forse tra qualche anno il Dipartimento di Giustizia con un processo federale per “violazione di diritti civili” riparerà il danno, come avvenne una ventina di anni fa nei confronti dei poliziotti bianchi che pestarono brutalmente, ripresi da una telecamera, un altro nero inerme, anch’essi inizialmente assolti. Ma il problema di fondo è un altro, e magari sarebbe opportuno che se ne prendesse meglio coscienza.
Gli Stati Uniti, che pure sono un grande Paese che più volte ed in ogni epoca è intervenuto in difesa della libertà, sono allo stesso tempo un Paese violento e con una giustizia ed una democrazia troppo spesso approssimativa e orientata; l’esatto contrario dello stereotipo della “grande democrazia” dell’immaginario collettivo supportato da superficialità ed esterofilia. In realtà gli americani non riescono ad emanciparsi dalle loro origini, quando vigeva la legge delle armi e la giustizia era affidata alla ‘buona stella’ di uno sceriffo nominato sul campo. Pure il razzismo, apparentemente debellato, in virtù delle eccezioni di personaggi prestigiosi, Obama su tutti, rimane ben operante. Non molto è cambiato, agli effetti pratici, dall’inizio degli anni ’60 quando il libro Il buio oltre la siepe e poi il film, bellissimo per valore artistico intrinseco e la fortissima denuncia civile, descrivevano la tragedia del razzismo. Anzi, tutto si è immiserito.
Niente più personaggi brillanti ed intensi, né la liricità di Boo, il misterioso malato di mente che fa paura ‘oltre la siepe’, ma che dimostrerà con la sua bontà quanto siano errati e dannosi i pregiudizi di ogni tipo. Ieri pregiudizi razziali, personali e violenza erano coperti dalla siepe, oggi sono tristemente a vista e difesi da norme ormai superate (non ci sono più pellerossa cattivi, o invasori europei) come il famoso secondo emendamento della Costituzione che permette a tutti di possedere un’arma. Così psicolabili o colpiti da improvvisa pazzia possono trucidare chiunque capiti loro a tiro; e molti Stati dell’Unione continuano ad applicare la pena di morte retaggio delle impiccagioni in perfetto stile “mito della frontiera”. Non va meglio riguardo ai diritti civili – prigioni speciali sempre attive nonostante le reiterate promesse di eliminazione – o al rispetto dei partner internazionali, come dimostra il recente caso dell’agente Cia immediatamente liberato, l’impunità dell’uccisore di Calipari e la ancora più scandalosa assoluzione dei piloti che causarono la strage della funivia del Cermis.
Perciò sarebbe bene valutare senza paraocchi: quando gli americani fanno bene lodiamoli e prendiamoli ad esempio – per la velocità dei processi e l’inflessibilità nelle pene anche per reati finanziari ecc. – ma sottolineiamo e censuriamo quando sbagliano, come frequentemente capita, anche se gli ‘errori’ sono contrabbandati da ragione di stato o non meglio precisati interessi superiori (in fondo, quale interesse può essere superiore alla corretta applicazione del diritto?) Ma forse far comprendere e accettare ai discendenti dei rudi cowboys il concetto di eccesso colposo di legittima difesa (per giunta in presenza di un pericolo solo putativo) appare impresa piuttosto ardua: come vedere un redivivo Carnelutti cavalcare a pelo un bisonte.
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