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Il 9/11 a Pisa presentazione: “Di un’altra voce sarà la paura” di Yuleisy Cruz Lezcano – Da leggere: un articolo dell’autrice

Il 9/11 a Pisa presentazione: “Di un’altra voce sarà la paura” di Yuleisy Cruz Lezcano – Da leggere: un articolo dell’autrice
Ottobre 22
18:39 2024

Di un’altra voce sarà la paura è il titolo della raccolta della poetessa Yuleisy Cruz Lezcano, edito quest’anno da Leonida edizioni, che verrà presentato sabato 9 novembre, presso la libreria Erasmus di Pisa alle ore 17,30.

La raccolta racchiude storie attuali e vere di donne vittime di violenza presenti nella cronaca, narrate in chiave poetica. Sono poesie pensate per dare voce alle donne e dove si è evidenziato quanto sia straziante subire violenza, da persone sconosciute o familiari, e quanto cambi totalmente la vita di queste donne.

L’incontro diventa un’occasione di sensibilizzazione verso il fenomeno della violenza sulle donne: purtroppo non se ne parla abbastanza, nella modalità giusta, che è quella di supporto e di aiuto, soprattutto psicologico senza pregiudizi o colpevolizzazione. Si parlerà di educazione all’affettività e all’empatia, con idee e spunti per prevenire la violenza di genere con coinvolgimento del pubblico.

Alla presentazione prenderanno parte oltre all’autrice Yuleisy Cruz Lezcano, la poeta Nadia Chiaverini e l’avvocato Stefania Mezzetti. Il dialogo sarà intervallato dalla lettura di alcune poesie presenti nel libro.

Il libro è stato proposto al Premio Strega poesie 2024, e presentato al Salone del libro di Torino. Alla TV di Stato della Repubblica di San Marino, in una intervista online a Radio Pop Napoli, a Radio Nord Borealis, in presenza a Tele Granducato della Toscana; nel programma televisivo Street Talk di Andrea Villani e al Festival del Borgo antico di Bisceglie ed al Castello di Barletta. Ha ricevuto recensioni sul Corriere Romagna, sul giornale La nuova Ferrara e altre testate giornalistiche; ne hanno parlato in alcune stazioni radio e in diversi blogs e il giornale letterario del Premio Nabokov gli ha dedicato una recensione dettagliata. Il libro è stato presentato anche all’Ambasciata cubana a Roma nel settembre scorso.

Raccontare la violenza disegnando cammini per affrontarla di Yuleisy Cruz Lezcano

Parliamo di accoglienza

Ho scelto di scrivere questa silloge Di un’altra voce sarà la paura, perché inconsciamente volevo parlare da tempo del fenomeno violenza contro le donne, visto che per 12 anni ho lavorato nel consultorio familiare a Bologna, e ho seguito, tra le tante cose, i colloqui per l’interruzione di gravidanza, secondo la legge 194 del 1978, che descrive con chiarezza le procedure da seguire in caso di richiesta di interruzione di gravidanza. Durante questi colloqui spesso ho ascoltato storie drammatiche di violenza di genere, sia psicologica, sia fisica; fatto che mi ha spinta ad approfondire su questa tematica.

La necessità di garantire un accesso sicuro ai servizi, la necessità di ascolto, empatia e supporto per affrontare gli aspetti emotivi e logistici del processo di accoglienza, richiedono oltre che competenza, istruzione e apprendimento personali, dedizione e conoscenza degli strumenti psicologici per fornire risposte adeguate: ecco perché ho potuto usare nel libro tale bagaglio di conoscenze. Devo aggiungere che, durante i colloqui svolti in ambito lavorativo, si è svegliata la mia curiosità per comprendere i traumi da stupro e le sue conseguenze a breve e lungo termine.

Oltre a questo alcune amiche, in modo inatteso, mi hanno confidato di avere subito violenza, confermando ancora una volta che la violenza può colpire qualunque persona ed è più frequente di quello che di solito si immagina o viene raccontato e denunciato. Comunque ho capito che era arrivato il momento di parlarne data la situazione attuale, in cui gli episodi di violenza sembrano nettamente aumentati, e non so se è solo una percezione oppure se il fatto che se ne parli di più sia dovuto a una maggiore sensibilizzazione riguardo il fenomeno, al fatto che ora si denunci di più oppure all’esasperazione della cronaca che fa delle storie di violenza una sorta di romanzo a puntate, che invade perfino i programmi televisivi, le conversazioni al bar e i commenti nei social. Certamente, tutte queste cose insieme mi hanno spinta a decidere di parlarne. Ho sentito, quindi, il bisogno di raccontare queste storie, perché sono storie vere. Infatti, il libro contiene storie di cronache, storie che ho ascoltato da donne che hanno subito violenza.

Il libro Di un’altra voce sarà la paura come strumento

Durante le varie presentazioni in cui ho parlato di violenza, il libro che come tutti i libri scritti sul fenomeno, non è assolutamente esaustivo, è stato uno strumento da aggiornare ogni volta. Gli episodi di violenza sono tanti, le storie sono sempre diverse e questo, purtroppo, è un fenomeno trasversale, presente in ogni luogo del mondo. Infatti, ogni volta studio, ogni volta cerco di riportare ai lettori informazioni aggiornate e soprattutto ogni volta parlo delle fragilità che espongono la donna e amplificano questa pratica.

All’interno del libro parlo spesso delle fragilità, delle dipendenze e dell’uso di sostanze come l’alcool che rendono vulnerabili. Anche l’emigrazione agisce, spesso, come elemento di vulnerabilità. 

Molte associazioni hanno parlato di come tante donne trovano perfino la morte lungo il loro cammino. Per esempio ho letto moltissimi studi del CCEM, che è il Centro di studi migratori del Messico, e non solo il numero di decessi durante l’emigrazione è altamente sottostimato, ma addirittura si è normalizzata a tal punto la violenza che oramai è una consuetudine per le donne usare dei metodi contraccettivi per prevenire gravidanze indesiderate dovuto a violenza. Si dà talmente per scontato il fatto, che l’iniezione contraccettiva che protegge la donna per circa tre mesi, viene chiamata addirittura L’Anti-Messico e non è altro che un contraccettivo a base di progesterone all’acetato, Medroxiprogesterone (AMPD di 150 milligrammi iniettato per via intramuscolare), che ha il nome commerciale Depo Provera, prodotto dalla Pfizer). Questa misura cautelare è divenuta una pratica comune.  Ormai tutte sanno che la loro azione anti-contraccettiva principale inibisce l’ovulazione e ostacola il trasporto degli spermatozoi, ma poche sanno che tra gli effetti secondari c’è la diminuzione della densità ossea, l’alterazione del ciclo mestruale, le emorragie. Questo farmaco come ben si deduce, non agisce sulla trasmissione di malattie infettive e non impedisce la violenza.

Il discorso precedente raccoglie solo pochi esempi, questo per dire che ogni volta responsabilmente mi documento sul fenomeno per portare al lettore nuove fotografie della realtà e fare delle presentazioni un momento colloquiale, di dialogo, di presa di consapevolezza e di raccolta di idee per sensibilizzare e prevenire la violenza di genere.

Perché la poesia

 Lo strumento poetico è lo strumento che mi sento più congeniale per svegliare coscienze ed emozioni.  La poesia è uno strumento efficace perché crea immagini insolite, ma avrei potute usare la narrativa, perché abbraccio il pensiero espresso da Gabriele García Marquez quando dice che “I romanzieri dovrebbero essere ogni volta più poeti e i poeti ogni volta più romanzieri”. La forza di questa mia silloge non si radica nella sua avanguardia estetica, ma nel suo potere di evidenziare la violenza, la disuguaglianza o il vuoto dei rapporti umani. Per questo uso delle figure retoriche, impiegando molteplici metafore che rinviano sempre a un mondo crudo, ad un mondo che materializzo, rendendo corporea la violenza, con immagini vive, quasi offrendo una personificazione della violenza stessa.

Forse il lettore attento assemblerà tutti gli elementi, come per esempio gli artigli o tutti gli animali, non a caso nella mia raccolta si ritrova anche l’elemento dell’animalità, in senso positivo e anche in senso negativo: nello stesso tempo gli animali evocano e rinviano alla libertà agognata ad ogni costo e anche conquistata dalla donna, ma ci sono anche animali negativi che rinviano alla violenza. Le immagini forti che utilizzo sono immagini che danno corpo, rendono materiali le storie. Cerco quasi come uno scultore di dare forma, corpo e una struttura alla violenza, a quello che la cronaca racconta con un certo distacco e solitamente con una sola formula di violenza ed efferatezza. Quindi do alla violenza occhi, braccia, una forma che magari cambia in base alle diverse storie, ma che comunque unisco con un unico filo e con una unica voce poetica. Ecco che le diverse storie mostrano con diversi volti, la violenza, così come faceva Proteus, la divinità che muta ma sempre in una unica forma. In questo libro non solo ho creato mondi nuovi, ma ho cercato di puntare il riflettore sulla poesia riflessiva, pertanto molte volte nella forma la poesia si avvicina alla prosa, perché induce alla riflessione.

La poesia mi ha permesso poi di accedere alla nebulosa primitiva della parola, così ho potuto abbracciare l’oscurità più o meno irradiante delle emozioni. Mi rendo conto che sempre di più si fa arduo il giudizio di valori riguardo alla parola poetica, quando i valori in generale sono in crisi. È diventato complicato precisare quale è il destino, la fatalità di ogni scrittore, dentro questa sovrabbondanza di parole e scritture, certo è che ora più che mai chi ama il linguaggio poetico deve avere più fiducia in sé stesso.

Il rischio più grande della poesia non è quello di vedersi passare progressivamente e completamente verso la prosa o addirittura il racconto o il romanzo. In un dato momento un poeta può iniziare a sentire il peso delle sue visioni e la sua poesia potrebbe diventare una sala da ballo, un armadio magico. Si potrebbero verificare labirinti, slanci, e la poesia organizzata come una resistenza di fronte al tempo, potrebbe diventare una sorta di arca che fluisce sulle acque con troppi segreti della natura, della vita, dei fatti. Poi se quest’arca arriva in un’isola deserta, potrebbe incontrare un marinaio naufrago che dialoga incessantemente con le creature… le immagini potrebbero diventare personaggi. Immagino fosse così che tante belle storie poetiche siano diventate romanzi. Quindi non vedo in questo un rischio, perché il lettore può perdersi allo stesso modo nella storia poetica raccontata o nel romanzo e vivere insieme allo scrittore numerosi viaggi.

Se la poesia rumoreggia, come affannosa di volere trasformarsi in un altro mondo, se ogni metafora si va trasformando in un personaggio, ogni immagine in una situazione, nel romanzo in sé, così il poeta si va trasferendo, un po’ magicamente, come in un tappeto di Bagdad, dalla poesia al romanzo. Ed è così che nonostante io abbia scelto la poesia spesso la poesia diviene un brano. Un lettore attento però può cogliere nel brano la stessa radice, la stessa poiesis, come dicevano i greci della creazione del mondo respirante, affannosi di trasformare gli elementi da inorganici ad organici, le cose più lontane nelle più vicine e tutto il pletorico di un mondo che si agita e che aspira a vivere, in una riproduzione delle circostanze quotidiane.

Quello che è poesia può assumere la forma del brano poetico, del romanzo e continuare a respirare con le radici poetiche, come già diceva Goethe <<un pezzo dell’arancio ha lo stesso sapore di tutto l’arancio>>.

Molti lettori e giornalisti quando leggono questo libro mi chiedono se è di natura autobiografica: io credo che il libro parte dalle circostanze dei racconti vissuti, dalla loro realtà immediata, ma che offre due possibilità. La trasformazione del concreto sensibile in concreto artistico, in mimesi e di documentare l’immediato, quello che mi è più vicino nella mia storia familiare.  Il libro, dunque, raduna le cose vicine e le cose lontane. Penso però, che ogni libro racconti sempre qualcosa di autobiografico. Tutti i poeti impiegano fattori idiomatici, ricorsi di infanzia, visioni, momentanee folgorazioni. Quindi per scrivere questo libro sono partita da una somma per arrivare alla sua totalità.

Spesso mi viene chiesto il perché di questo titolo Di un’altra voce sarà la paura. Riguardo al titolo Kafka diceva che ha importanza solo alla fine, dopo che si sono sommate una pagina dietro l’altra.

Credo, certamente, che si possa prevenire la violenza di genere, ma per fare questo è molto importante la cultura e soprattutto l’educazione. Credo sia necessario promuovere e inoculare l’educazione verso relazioni di rispetto, in età precoce: lavorare dal punto di vista educativo con i giovanissimi con interventi di educazione all’affettività, all’empatia, allo sviluppo di un’autostima equilibrata volta ad evitare la comparsa di stereotipi di genere a livello della comunità scolastica. Occorre poi l’intervento con politiche pubbliche che lavorino sul linguaggio, sui valori di parità, intervenendo su più fronti. Bisogna educare a livello istituzionale con corsi, attraverso riviste, giornali, mezzi di diffusione di massa per operare il cambio di mentalità. Occorre che si mobilitino risorse da impiegare nella ricerca, volte a fornire informazioni sui comportamenti degli uomini e sulle diverse forme di manifestare la violenza. I programmi educativi devono essere accompagnati da riforme giuridiche. Infine, credo che se la società assume consapevolezza sul fenomeno e si interviene in età precoce, ci potrà essere un’evoluzione culturale importante. Ben vengano le fondazioni, le istituzioni, le ONG, i telefoni di ascolto, le varie associazioni ed entità che sono nate e continuano a nascere per prevenire ed eliminare il fenomeno, ma comunque tutti se abbiamo le conoscenze adeguate possiamo cogliere dei messaggi di allarmi per prevenire la violenza. Ci sono iniziative importanti, come per esempio la nascita di associazioni e gruppi di ascolto per gli uomini in cui si danno consigli ad altri uomini che dimostrano di avere comportamenti possessivi nelle relazioni di coppia o quando vengono lasciati. La comunità intera può avere un ruolo importante nella prevenzione, perché l’indifferenza è già una forma di consenso e tolleranza che normalizza la violenza di genere.

Sicuramente tramite la silloge Di un’altra voce sarà la paura la mia scrittura ha aderito in parte all’attivismo sia pur dal punto di vista narrativo, cercando un nuovo linguaggio educativo per promuovere l’azione sociale di trasformazione, e ho immaginato questa silloge come strumento da ampliare attraverso il mio viaggio itinerante per presentarlo in diversi luoghi, così di impiegare non solo la mia penna ma anche le mie conoscenze per la causa del cambiamento sociale, attraverso un’edu-comunicazione. La mia silloge così poco addolcita, concepita così cruda, con immagini forti unisce l’azione poetica ai fini dell’immediato intervento sociale, anche se così facendo, ho rischiato che il lettore entri a spintoni nella crudeltà delle immagini, ma il fine era proprio una funzione sociale, lo sconvolgere tramite la mimesi e le teatralizzazioni dei racconti, per educare. La gamma di espressioni presenti nel libro è da me utilizzata per canalizzare idee durante la presentazione del libro stesso. Quindi anche gli artisti possono impegnarsi per correggere lo squilibrio sociale, con immagini, con parole, usando varie materie prime. Perché come ho detto prima non ci si può girare dall’altra parte: l’indifferenza è già una forma di consenso verso la violenza.

Riguardo alla violenza, la cultura è un nutrimento necessario per contrastarla e per la socializzazione umana.  Attraverso la cultura l’individuo si libera delle visioni passive, adottando una visione condivisa e generosa della vita. Credo nel potere della cultura e credo sia un’alfabetizzazione etica e sociale, che porta a un’autonomia non individualista dell’essere umano, promuovendo una parità qualitativa e attributiva.

Sento la poesia come un corpo resistente, una resistenza formata dall’avanzamento della metafora, la quale avanza con un analogo che si potrebbe definire aristotelico, in un tempo vivente sorretto dalla parola.

Credo che ogni mortale conosca momenti di aridità affettiva quando non è animato dal verbo, quando non è animato dalla poesia e momenti di splendore quando è animato dall’espressione poetica. La resistenza della poesia dà pelle all’immagine, è la resistenza della creazione di fronte al tempo.

Strategie attuali di Cuba per affrontare questa pratica

A volte mi è stato chiesto da qualche giornalista, sapendo le mie origini cubane, quali e quanto progressi sono stati compiuti da Cuba nell’affrontare la violenza contro le donne. Io non mi sono sottratta da questa domanda, anche se sono consapevole che essendo da molto tempo fuori dalla realtà cubana la mia risposta non può essere esaustiva.

È difficile per me farne un’analisi legislativa e sociale precisa. Dal 1992 vivo in Italia e anche se non ho perso i contatti con le mie radici quello che posso fare è raccontare non sulla base del vissuto e dell’esperienza ma sulla base dell’analisi di documenti e informazioni rilasciate dagli enti e istituzioni che si occupano del fenomeno. Sicuramente c’è una spinta sociale importante verso il cambiamento: la nascita di fondazioni e associazioni che con interventi educativi cercano di cambiare la mentalità dei giovanissimi; un ordinamento giuridico che si sta rinnovando continuamente, visto che dovrebbe essere attualizzato per rispondere al nuovo cambio costituzionale operato. Certo ancora a fine degli anni 80 veniva proposto dalle autorità il matrimonio riparativo come alternativa a un lungo processo dopo la denuncia se la vittima aveva meno di 16 anni.  Attualmente, con la legge 143 del 2021, del processo penale, lo stato obbliga a proteggere le donne dalla violenza di genere in qualunque delle sue manifestazioni, a creare i meccanismi istituzionali e legali per farlo. I diritti delle vittime vengono descritti nell’articolo 141. Altre normative si sono susseguite alla modifica della costituzione, per esempio si è intervenuto nel codice familiare, nel codice penale con disposizioni relative alla violenza di genere, specificamente è stato elaborato un anti-progetto del codice penale per meglio focalizzare i casi di violenza. In tale progetto si parla del femminicidio con l’articolo 344, in cui le sanzioni si sono drasticamente inasprite. Sicuramente questi cambi legislativi sono stati spinti dalle lotte femministe all’interno del paese, ma comunque esiste ancora in Cuba una cultura patriarcale che esercita la violenza come meccanismo di controllo, relazioni di potere, asimmetrie che generalmente si basano sulla dipendenza economica e la subordinazione patriarcale. Ed è poi sulla mentalità che bisogna adoperare il cambiamento, continuando a lavorare su più fronti dal punto di vista culturale ed educativo.

“Vittimizzazione secondaria” della vittima attraverso i mezzi di comunicazione di massa e i social network

 “La vittimizzazione secondaria è […] generata come conseguenza della vittimizzazione primaria, in cui la vittima sperimenta nuovamente una nuova violazione dei suoi diritti legittimi”.

Le studiose del fenomeno a Cuba hanno dedicato gran parte del loro lavoro a studiare i nuovi mezzi di comunicazione.  Dai loro studi emerge che i social network costituiscono un altro spazio in cui il sopravvissuto è esposto, ancora e ancora, a domande, interrogativi, dubbi sulla veridicità dei fatti o sulla loro “responsabilità” in essi. Anche quando si ha la buona intenzione di rendere visibile un problema sistemico come la violenza di genere, in molti casi il dibattito si concentra sulla vittima e non su cosa si potrebbe fare come società per aiutarla o affinché non esistano altre vittime. Si evince come per contrastare la violenza di genere sia fondamentale una cultura della comunicazione.

Quando, ad esempio, una denuncia di stupro raggiunge lo spazio pubblico attraverso i media – anche quelli in cui il sensazionalismo non rientra nella loro politica editoriale –, troppo spesso si verificano casi di “ri-vittimizzazione” che vanno da titoli sensazionali all’uso di immagini che riproducono la violenza. Solitamente vengono promossi contenuti che generano visualizzazioni e traffico verso le notizie, mentre dovrebbero essere offerte informazioni che aiutino coloro che si identificheranno con la persona che denuncia la violenza subita. La responsabilità per ciò che viene pubblicato e il sostegno sono essenziali per coprire un caso di violenza sessuale.

Nonostante gli sforzi delle correnti femministe, gli avanzamenti legislativi, istituzionali per contrastare il fenomeno, a Cuba, come sappiamo, non esiste una legge completa contro la violenza di genere, e la legislazione che include questioni legate alle aggressioni sessuali non include la prospettiva di genere nella sua interezza. Inoltre, i dati ufficiali eventualmente esistenti su questi crimini e le relative denunce non sono di dominio pubblico, il che rende molto difficile comprendere il problema e agire di conseguenza.

Il ruolo che possono e devono assumere le Istituzioni nell’educazione all’affettività e all’empatia

L’educazione all’affettività e all’empatia a partire già della tenera età è fondamentale. A livello degli enti scolastici bisognerebbe agire attraverso programmi centrati sulla parità e il rispetto degli esseri umani, in cui sia possibile sviluppare competenze per riconoscere e rifiutare il sessismo e le molestie, attraverso modelli che riproducano uno schema emozionale sano. Inoltre gli insegnanti, opportunamente preparati, dovrebbero riconoscere a livello scolastico le condizioni famigliari a rischio, incoraggiando il bambino a parlarne, cercando di sviluppare una mentalità volta ad interrompere il ciclo di violenze, attraverso lo sviluppo di abilità alternative alla violenza, che permettano di affrontare lo stress e risolvere i conflitti sociali con efficacia. Nell’ambito di questi programmi potrebbe essere utile l’incontro con pedagogisti, psicologi e anche con autori che hanno trattato la problematica. Un aiuto prezioso potrebbe essere quello di promuovere letture, film o usare la tecnologia per proporre modelli che ripropongano situazioni che mimino l’empatia, con un programma educativo integrato, in cui anche l’arte e il teatro potrebbe venire in aiuto, così come il lavoro in piccoli gruppi di condivisione di esperienze di gestualità e di solidarietà. La società deve lavorare moltissimo sull’uomo del domani, perché solo così faremo passi verso un’evoluzione più umana.

Considerazioni finali basate sulla curiosità dei lettori

Spesso, mi viene chiesto come posso definire la mia opera poetica, sicuramente non mi azzarderei a definirla. Credo che definire o incanalare la mia opera poetica dentro uno schema, una corrente, potrebbe implicare fermarla. Definire è incenerire.

Quando mi è stato chiesto a chi dedico il mio lavoro, ho risposto nel seguente modo: il mio lavoro è dedicato al lettore e il target va dai 14 anni in poi e, soprattutto, è dedicato alle vittime, che immagino come sopravvissute; dedico il libro anche a coloro che ora si trovano sotto terra. Il loro male deve dolere a tutti ed è per questo che ogni racconto all’interno del libro ha un volto che perde il nome, perché è il nome di tutte noi, di tutte le donne frammentate. Certo non ho scritto per me stessa.

Altra curiosità emersa durante le varie presentazioni di questo libro è stata quali sono i miei progetti futuri. Forse un saggio, che è già in cantiere, o forse un romanzo che è solo in testa per ora, ma sicuramente poesia e più poesia, finché io riuscirò a toccare la convergenza, la folgorazione, la respirazione stellare delle parole, finche i miei pensieri saranno abitati da pianeti sconosciuti, mettendo in evidenza il sortilegio, la respirazione delle immagini; finché a ogni espirazione nascerà in me un nuovo quesito e finché non finisce l’interrogazione ad ogni aspirazione o inspirazione  di quell’oscuro che cerca chiarezza nella parola, sentirò necessaria la poesia.

Influenze di altri autori nella mia opera poetica

Questo sottotitolo mi sta un po’ stretto, non credo possa essere io a definire tali influenze.

Il problema delle influenze è quasi inapprezzabile perché credo come credeva il nostro grande poeta Lezama Lima che l’uomo sia un istante sensoriale infinitamente polarizzato. Per quello che mi riguarda ho potuto osservare che a volte una parola, un discorso o una frase appena ascoltata illumina la mia immaginazione. In questo modo riesce a configurare nella mia penna forme di espressione. Quasi sempre quello che appena conosco è quello che riesce ad influenzarmi. Dopo che si sveglia la mia immaginazione, la mia curiosità, ritorno, insisto, cerco di raggiungere delle conoscenze esaustive, ma esaurire la curiosità spesso provoca l’effetto di non produrre più in me la stessa risonanza e vibrazioni. Quello che già si sa non mi appartiene.  La cultura mi influenza, ma è come diceva Debussy il vento che influenza la mia poetica. Dal vento mi arrivano immagini, parole che mi raccontano  la storia universale. Credo che spesso invento le mie fonti e le mie influenze. Credo che per quanto mi riguarda le influenze non sono cause che seminano effetti, ma che gli effetti illuminano le cause.

Lascio, pertanto, ai critici il compito di cercare nella mia poetica le varie influenze- io esco dalle catene causali e mi posiziono sulle illuminazioni.

Penso che l’impregnazione, la coniugazione, la gemmiparità siano forme di creazione più sottili degli sviluppi causali. Inoltre continuare il lascito di un altro scrittore o poeta non significa seguirlo. La storia della sensibilità e della cultura è una magica continuazione e non un seguimento. In uno sviluppo causale cronologico la storia della poesia sarebbe monotona, impoverita.

Fonti

ONEI (2023) “Encuesta Nacional de fecundidad, 2022. ONEI: La Habana.

Studi eseguiti dalla federazione donne cubane per la non violenza (FMC por la no violencia de gènero)

Articoli della rivista cubana Muchacha

UNICEF Cuba

Radio Fòrmula Messico

Articolo dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) che parla di contraccezione.

ON Cuba news articolo Il progetto del codigo penale e la violenza di genere a Cuba.

Articoli del Cenesex (Centro nacional de educaciòn Sexual) de Cuba “La vittima: una sfida per il Diritto Penale in Cuba.

Gli effetti dello stupro presi in considerazione dallo studio del 1974 delle due studiose americane Burgess e Holstrom, presentato al Boston City Hospital, che in modo approfondito descrive le reazioni delle donne prese in studio.

Yuleisy Cruz Lezcano nata a Cuba, vive a Marzabotto, Bologna., Laureata in scienze biologiche, con laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetricia, presso l’Università di Bologna, lavora nella sanità pubblica. Ha pubblicato numerosi libri a seguito di riconoscimenti e premi in concorsi. Collabora con blog letterari come redattrice (Circolo Letterario Vento Adriatico, Alessandria Today) e con il giornale letterario del Premio Nabokov. È membro onorario del Festival Internazionale di Tozeur, Tunisia.

È giurato del premio internazionale itinerante di Madrid (spagna) promosso dal festival “La Estación del arte” che ha lo scopo di promuovere la letteratura ispanica in Italia.

Attraverso la sua attività, anche di traduttrice dall’italiano allo spagnolo e viceversa, divulga la poesia italiana per diverse riviste della Spagna e del Sudamerica e la poesia sudamericana e spagnola in Italia. Scrive in italiano e spagnolo. I suoi testi italiani sono stati tradotti in francese, portoghese, spagnolo, inglese e albanese. Il suo ultimo libro Di un’altra voce sarà la paura ha concorso al Premio Strega Poesia 2024 ed è stato presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino edizione 2024.

Altre recenti pubblicazioni: 

Doble acento para un naufragio, (bilingue spagnolo/portoghese,) Edições Fantasma, 2023,

L’infanzia dell’erba, Melville Edizioni, 2021, 

Demamah: il signore del deserto,( bilingue italiano/spagnolo), Monetti Editore, 2019, 

Inventario delle cose perdute, Leonida Edizioni, 2018,

Tristano e Isotta. La storia si ripete, SwanBook Edizioni, 2018, 

Fotogrammi di confine, Casa editrice Laura Capone, 2017, 

Diario di una ipocrita, Libreria Editrice Urso, 2014.

 

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