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Il 25 aprile di Beppe Grillo

Aprile 04
02:00 2008

Il 25 aprile prossimo gli italiani festeggeranno “la liberazione” raggiunta nel 1945. Per questo giorno il comico Beppe Grillo ha organizzato, insieme ai ragazzi del suo movimento, diversi tavoli nelle piazze d’Italia per una raccolta di firme a sostegno di tre referendum abrogativi: “1) abolizione dell’Ordine dei Giornalisti (introdotto da Mussolini) presente solo in Italia; 2) abolizione del finanziamento pubblico all’editoria, che costa all’Italia un miliardo di euro l’anno e che rende gli editori condizionati dai partiti; 3) abolizione della legge Gasparri sull’assetto radiotelevisivo, per un’informazione pluralista e libera dal duopolio partiti-Mediaset.” Questo è quanto dice il comico genovese nel suo sito internet (uno dei più visitati al mondo): tre punti-chiave per realizzare un programma di “libera informazione in libero Stato”. Le tre proposte di referendum sono già state depositate il 13 marzo scorso in Cassazione da Beppe Grillo, il quale con l’occasione ha detto ai giornalisti: “Il cittadino disinformato crede di essere libero di decidere. Inoltre per essere disinformato deve pure pagare, attraverso il finanziamento pubblico, giornali quali ad esempio “Il Foglio” e “Libero” che sono soggetti a Berlusconi e quindi fanno campagna elettorale per lui”. Si sa che giornali e televisioni messi nelle mani dei partiti agiscono come strumenti per ottenere consenso. Per questo – secondo Beppe Grillo – ci vogliono non solo giornali senza finanziamenti pubblici, che sono attualmente ottenibili solo dietro richiesta politica, ma ci vuole anche una televisione senza controllo dei partiti e senza pubblicità, finanziata solo con i proventi degli abbonamenti. Beppe Grillo nel suo blog denuncia, ormai da diverso tempo, il fatto che i governi nazionali di ogni colore politico non hanno evitato che l’Italia venisse sanzionata in sede europea perché Rete4 occupa illegalmente le frequenze di Europa 7. Ma veniamo ai fatti. La Corte di Giustizia europea, dopo la sentenza del 31 gennaio 2008, ha diramato un comunicato tradotto in nove lingue in cui dice: “Il giudice del rinvio sottolinea che in Italia il piano nazionale d’assegnazione delle frequenze non è mai stato attuato per ragioni essenzialmente normative, che hanno consentito agli occupanti di fatto delle frequenze (vedi Rete4) di continuare le loro trasmissioni, nonostante i diritti dei nuovi titolari di concessioni (vedi Europa 7). Le leggi succedutesi, che hanno perpetuato un regime transitorio, hanno avuto l’effetto di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale”. Dunque da Lussemburgo è arrivata una bocciatura del regime italiano di assegnazione delle frequenze radiotelevisive (previsto dalla legge Gasparri n. 112/2004). Una bocciatura che segue quella del 12 settembre 2007, che già lo dichiarava incompatibile con l’ordinamento europeo. Allora la Corte europea aveva, tra l’altro, considerato troppi gli spot pubblicitari trasmessi da Mediaset e anche per questo l’Italia era stata bacchettata. E’ pacifico il fatto che le frequenze radiotelevisive sono di proprietà dello Stato, che può decidere liberamente a chi assegnarle in concessione. Secondo le regole del libero mercato. Sarebbe illegale, anche per le leggi italiane come per quelle europee, una situazione di monopolio, come pure quella di duopolio Rai-Mediaset. Per quanto riguarda poi la raccolta pubblicitaria, questa deve essere equamente distribuita. Stando a quanto dice la Corte europea “il regime italiano di assegnazione delle frequenze non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi, non ha criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori, proporzionati”. Pertanto, tutte le leggi che hanno regolamentato il sistema radiotelevisivo, dalla Maccanico alla Gasparri, dal Testo Unico del 31 luglio 2005 (D.Lgs. 177) ai Ddl Gentiloni, non si sono adeguate alla normativa europea. Il Testo Unico sul sistema radiotelevisivo per il ministro Antonio Di Pietro è addirittura un mostro da abolire subito. Ed ha proposto che “la Rai venga ridotta a una rete senza pubblicità, finanziata dal canone e sottratta all’influenza dei partiti, e ogni concessionario privato non possa avere più di una rete”. Una proposta, questa, che è stata molto criticata da tutti i partiti. Perché, dunque, i governi passati hanno continuato a parlare di “regime transitorio” in attesa del digitale terrestre, se – come ha sottolineato il giornalista Marco Travaglio – “la Corte europea ha raso al suolo il concetto di regime transitorio su cui si sono fondate tutte leggi (dalla Maccanico alla Gentiloni), che di fatto hanno creato una situazione di monopolio Mediaset”? Insomma all’inizio di questo anno la Corte di Lussemburgo, interpellata dal Consiglio di Stato (a sua volta investito da Europa 7), ha risposto che le regole italiane sono illegittime, proprio perché consentono il periodo transitorio sino al 2012 a Rete4, a scapito di Europa7. La commissaria europea alla concorrenza, signora Kroes, ha annunciato che se nel 2009 l’Italia non cambierà sistema sarà sanzionata con una multa di 350-400 mila euro al giorno, con effetto retroattivo dal 2006. Una sanzione durissima secondo il ministro Di Pietro, “quasi pari ad una finanziaria l’anno”. E per questo il medesimo ha auspicato che la Rai si adegui immediatamente alle direttive europee. Ma non ci sarebbe solo la sanzione europea a colpire i cittadini italiani, in quanto anche il Consiglio di Stato dovrebbe risarcire Europa 7 per mancati introiti e frequenze negate. In buona sostanza c’è da capire come mai tutti i governi dal 1994 ad oggi non abbiano rispettato le leggi. In particolare, perché non si sono fatti rispettare i diritti di chi (Europa 7) aveva già vinto nel 1999 – partecipando ad un bando pubblico – la concessione di trasmettere sulla frequenza occupata ininterrottamente da Rete4? Per essere più chiari chi non ha rispettato, e tuttora non rispetta, questi diritti è Mediaset, che si è sempre rifiutata di mandare una sua rete sul satellite, mentre Berlusconi continua a trovarsi in una situazione di conflitto di interessi diversi: è concessionario di servizi pubblici. In nessun Paese al mondo – si è detto più volte nel Centrosinistra – un capo di Stato potrebbe essere contemporaneamente concessionario di servizi pubblici, perché ci sarebbe sempre il dubbio che faccia fare al Parlamento delle leggi ad personam. Forse è proprio come conseguenza di questa particolare situazione che l’Italia si è classificata nel 2005 al 79esimo posto per la libertà di stampa, secondo lo studio dell’organizzazione non governativa Freedom House: una umiliazione davvero grave per un Paese europeo costretto a contendersi, nel campo della libertà d’informazione, la posizione con il Botswana!

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