Idealità ed utopia
Utopia significa “in nessun luogo ed in nessuna maniera”. Infatti un utopico luogo ideale può essere solo immaginato, è un sogno avveniristico come la mitica Shangrilla, simile a Castalia, quel paese immaginario di Calvino ove si coltiva il gioco delle perle di vetro e somma di tutti gli insegnamenti passati, fatti regola. Ma il luogo ove si vive non può essere una astruseria, cioè un posto immateriale, etereo, fantasma… altrimenti il suo “essere altrove” in un tempo non scandito ed in uno spazio assente, lo renderebbe automaticamente non vero….
La necessità di inventarsi una comunità bioregionale ideale, è una esigenza di chi la “utilizza” come valvola di sfogo all’alienazione del mondo moderno o come mezzo di sussistenza alternativa, avviene a causa della frantumazione sociale che contraddistingue la nostra società. Viviamo in un contesto sociale alienato, apparentemente unito da una sembianza di comune appartenenza. Le persone che abitano in un luogo definito “ideale” comunicano attraverso l’immaginato, sono abitanti di un mondo alla Matrix per intenderci, fantasmi nell’antro Platonico. Ma questo “luogo” non può essere vero, mancando la condivisione reale, il senso di necessità e fatica comune, l’incontro fisico, il contatto… è un mondo in cui tutto si riduce ad una rappresentazione, uno spettacolo mediato, filtrato, manomesso… un teatrino o castello degli specchi.
Nella comunità ideale viviamo come dentro al “Facebook” nel quale l’interagire è demandato al pulsante di un terminal. Allo stesso tempo siccome capiamo che questo “sogno” -che definiamo “realtà”- è fallace, per sfuggirgli siamo pronti ad inventarci e dare per genuino un luogo ideale in cui rifugiarci, un paese con suoi propri valori (basati sulla speranza)…. Una comunità bella, fulgida, in cui godere almeno l’illusione di un incontro con noi stessi e con i nostri simili…
Giustamente i romani antichi usavano due parole per indicare la comunità urbanizzata. Gli insediamenti urbani non erano soltanto luoghi (urbs) ma anche interazioni di vita sociale (civitas). Ecco allora che, ritornando al luogo in cui viviamo, ci si può chiedere per noi “esiste l’urbs od esiste la civitas?”. In verità entrambe son necessarie e relazionate inscindibilmente, ma entrambe debbono essere accettate ed abitate, non solo come spazio ma come vera presenza, allora la fuga nell’utopia individuale di una comunità ideale diventa superflua, allora la ricerca dell’ipotetico “luogo Ideale bioregionale” diviene futile, giacché possiamo riconoscere di essere “presenti” in ogni luogo in cui viviamo.
Che bel risparmio di tempo e di energie! Infatti la comunità ideale non è che l’abito mentale del quale ci rivestiamo, l’involucro delle nostre aspirazioni, creatività, produttività e realizzazioni procrastinate all’infinito, ma per attuarle occorre riconoscere l’importanza del possibile e del semplice, capendo di esser parte dell’organismo globale, avendo il coraggio di essere noi stessi, veri e sinceri, nel rapporto con gli altri, ed improvvisamente siamo tornati a casa…!
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