I siti archeologici connessi alla leggenda di Enea
In una sala gremita dal pubblico ha suscitato molto interesse la conferenza “I luoghi di Enea. Ricerche di topografia antica sulla costa di Torvaianica” tenuta il giorno 24 gennaio al Museo Archeologico “Lavinium” di Pomezia dal prof. Alessandro Maria Jaia, archeologo e ricercatore presso la Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. All’evento hanno partecipato il Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Pomezia Alba Rosa, il Consigliere Attilio Bello ed un rappresentante della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, parti attive queste nel dialogo con l’Università per la valorizzazione del territorio dell’antica città di Lavinium. Il prof. Jaia ha illustrato i siti archeologici rinvenuti nel territorio di Pomezia, ricostruendo, attraverso le fonti storiche, la imprese di Enea nel territorio di Lavinium. Si deve quindi alle fonti, in particolare a Strabone, a Festo, ad Appiano, a Servio, a Cassio Dione, a Catone, la notizia dello sbarco di Enea nella “Silva Laurentina” in prossimità del fiume Numicus. In particolare a Dionigi di Alicarnasso si ascrive il maggior numero di informazioni attendibili, poiché nei suoi scritti sono riportate notizie storiche riferite direttamente, come lo stesso storico afferma, dagli abitanti del territorio di Lavinium, territorio che lui stesso visitò. Si può perciò affermare che nel I sec. a.C. era già consolidata la tradizione secondo la quale Enea, sbarcato sulle coste laziali, in un luogo chiamato Troia (alla foce del Fosso di Pratica) e dedicato al Sole, distante dal mare 4 stadi, abbia inseguito per 24 stadi una scrofa e, nel luogo dove questa avrebbe partorito trenta porcellini, fondato la città di Lavinium. L’importanza di questa fonte risiede perciò nel fatto di aver fornito indizi sulle distanze che hanno permesso ad un insigne archeologo, il prof. Ferdinando Castagnoli, di identificare topograficamente i luoghi della saga troiana nel territorio pometino. Dagli scritti di un altro storico, Strabone, invece si deduce quale era il paesaggio troiano, vale a dire i luoghi scelti dai Troiani per fondare le città; questo popolo infatti edificava sulla sommità di basse colline in presenza di una ricchissima vegetazione che si estendeva fino al mare, lasciando intravedere la città da chiunque si trovasse in prossimità della costa. Si sarebbe ripetuta così la stessa situazione di Troia posta su un’altura “fluvialmarittima” circondata da due fiumi. Altro sito archeologico connesso alla figura di Enea è una tomba principesca, che, edificata nel VII sec. a.C., e riconsacrata nel VI a.C., ancora nel IV sec. a.C. oggetto di devozione, venne monumentalizzata come Heroon (il tempio all’eroe) di Enea. Le ricerche e gli studi topografici dell’Università di Roma continuano oggi, grazie al prof. Jaia, nella zona del santuario del Sol Indiges, il luogo sacro al Dio Sole e sui cui altari Enea fece i primi sacrifici. Grazie all’aiuto delle fotografie aeree degli anni della II guerra mondiale e a quelle scattate negli ultimi anni dai militari dell’Aeroporto Militare di Pratica di Mare si sono potuti l’area del santuario e i resti archeologici. Lo scavo di quest’ area ha permesso il ritrovamento del tempio, topograficamente localizzato all’imbocco del porto lagunare, una struttura completamente saccheggiata durante il Medioevo per rifornire i dintorni di materiale da costruzione da riutilizzare in nuove strutture. Si tratta con molta probabilità di un tempio su podio, con fondazione in tufo, probabilmente di tipo italico, ma l’identificazione è molto difficile per la presenza di due scalette sul retro del tempio. La datazione del luogo di culto risalirebbe al IV sec. a.C. per l’utilizzo del peperino per il rivestimento, l’alzato e le colonne. Quanto detto porterebbe ad un’altra ipotesi, cioè che il tempio fosse “periptero sine postico”, ovvero una struttura dotata di un’unica cella centrale circondata da un portico e con la funzione di convogliare il visitatore all’entrata, ciò sembrerebbe giustificare la presenza delle due scalette poste sul retro, ma in realtà non se ne ha la certezza. Ciò che risulta chiaro sono la centralità del tempio rispetto all’intera area del santuario e le presenza di rinvenimenti che lasciano intuire l’esistenza all’interno della stessa area di altri edifici. Di estremo interesse è il ritrovamento al di sotto del piano di calpestio dell’edificio sacro di reperti archeologici, frammenti di statue e di materiale architettonico, risalenti ad un’epoca più antica, e cioè al VI sec. a.C. Attraverso le diapositive è stata illustrata la ricostruzione del tempio nelle sue fasi ed è stato fornito un aggiornamento degli studi che sono stati compiuti tutt’ora in corso. Altro importante passo avanti è stato compiuto dall’Università attraverso la compilazione di una Carta Archeologica che comprende i territori di Ardea, Pomezia e Capocotta, nella quale sono localizzati circa cinquecento ritrovamenti archeologici; essa restituisce così un’idea della situazione insediativa di queste aree ed è inoltre un importante strumento per la tutela dei siti archeologici.
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