I seminole sono diventati tutti ricchi! – 1/2
Betty Mae Tiger nacque nel 1923 nel territorio seminole della Florida da una famiglia particolare: il padre era un bianco e madre una Seminole, sciamana, come la nonna. Per lungo tempo Mae visse in estrema povertà e soffrì la fame. A 14 anni non parlava l’inglese ed era analfabeta. Un giorno un’amica le mostrò una storia a fumetti e le spiegò che quei segni neri, piccolissimi, erano la voce dei disegni che raccontavano una storia. Mae ne fu affascinata e pregò insistentemente sua madre perché la mandasse a scuola. Ma non c’erano scuole indiane. A quei tempi c’erano scuole per bianchi e scuole per neri. E una donna di colore che lavorava con la madre nei campi suggerì di iscrivere Mae nella stessa scuola di sua figlia. Ma quando Mae si presenta lì non la lasciano entrare perché non è nera. Alla fine scopre che in effetti una scuola per indiani esiste, è lontanissima, ma è possibile ottenere una borsa di studio. Parte con il fratello e un cugino, torna a casa solo durante le vacanze. A quei tempi la comunità seminole viveva senza prospettive e senza speranze. Un’economia di sussistenza esclusivamente agricola. Ignoranza, malattie, alcolismo. Un popolo piegato. Una strana tribù, i Seminole: sono in miseria, ma sono anche gli unici nativi americani che non sono mai stati sconfitti.
I film raccontano sempre le storie degli Apaches, dei Siux, dei Cheyenne. I bianchi raccontano la storia delle loro vittorie. Ma i Seminole non hanno perso una sola battaglia: dal 1817 al 1858 si ritrovarono addosso un esercito dopo l’altro durante 3 guerre, ma non c’era modo di stanarli dalle paludi del Mississipi. Indiani indomabili. Nel 1600 il re di Spagna aveva vietato la colonizzazione di quelle terre perché abitate da mostri. In realtà la loro forza era la gentilezza estrema. Erano un popolo con caratteri matriarcali. Abitavano case di tronchi, indossavano calzoni e camice, avevano una medicina sviluppata e conoscevano l’algebra. Come gli eschimesi e i babilonesi praticavano l’ospitalità sessuale, convinti che lo straniero portasse sangue nuovo alla loro nazione. Così mentre gli Apaches fecero schiavi i primi bianchi che catturarono, trattandoli bestialmente, i Seminole accolsero a braccia aperte Joan Padan e altri naufraghi e chiesero loro se per favore potevano far l’amore con tutte le donne del loro popolo. Donne bellissime, pulite, vivevano all’aria aperta e amavano far l’amore. Niente a che vedere con le donne europee che si lavavano una volta all’anno, spesso mangiavano male, avevano denti guasti, vivevano in città coperte di immondizia ed escrementi e odiavano il loro corpo. Così i naufraghi europei si innamorarono di quel popolo e raccontarono che sarebbero arrivati i soldati e li avrebbero massacrati tutti, spiegarono cos’erano i fucili e come si potevano domare i cavalli. Così, quando sbarcarono i primi spagnoli, i Seminole li accolsero cantando le lodi del signore Gesù e portando loro doni. Poi li ammazzarono tutti. Impararono a usare i fucili e i cannoni. E distrussero le successive spedizioni militari. E per questo il re di Spagna decise di smettere. Indiani straordinari, i Seminole: si appollaiavano in cima ad alberi altissimi e sparavano sugli invasori con una mira spaventosa.
Gli europei massacrarono le donne e i bambini, imbrogliarono, deportarono ma non riuscirono mai a stroncare l’esercito seminole. Alla fine erano sopravvissuti solo 150 guerrieri con le loro famiglie, che però non si arresero mai.
Avevano avuto capi indiani Neri, Creek e persino uno Svedese.
Fonte: Cacao della Domenica (continua)
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