I rifugiati, i migranti, il futuro negato. Quei paesi che nasceranno, la politica impolitica
Ma più che il valicare il mare, secondo me,
son dure le cose che ti costrinsero a passarlo. Ibn Hamdis
(Serena Grizi) Vivere, o morire, in un campo di concentramento che, se distante per alcuni versi da quelli tristemente noti a tutti in cui i nazisti concentravano l’umanità sgradita alla loro follia, ad occhio nudo ne rivela molti aspetti in comune. Concentrare in un ‘non luogo’, forzosamente, circondandoli con del filo spinato e reti fitte, spesso, fra poche miserrime strutture per sopravvivere, uomini, donne bambini, anziani, malati, persone con disabilità. Escluderli da ogni interazione sociale con gli abitanti del paese nel quale sono approdati dopo un lungo e pericoloso viaggio per mare o per terra, in fuga da esistenze già difficili, da paesi in guerra. Escluderli dai contatti con gli sconosciuti che li circondano, rendergli impossibile fare una camminata nei dintorni per appropriarsi di ciò che fa loro paura aumentando ‘miti e leggende’ attorno allo straniero. Poter uscire dal recinto coatto solo per fare una visita medica o per motivi burocratici e poco altro.
I cittadini dell’Unione Europea, pur tra molte diversità, condividono ‘pezzi di storia’ comune e le città e i paesi, dalle metropoli ai borghi, si raccolgono spesso attorno ai simboli condivisi dalla comunità che in quei luoghi abita. I paesi, nello specifico, spesso si raccolgono attorno ad una piazza con una chiesa, accanto si troverà spesso un monumento ai caduti delle Guerre Mondiali. Poco distante il cimitero, altro luogo di memoria. Poi i riferimenti della vita d’ogni giorno: il fornaio per il pane, qualche artigiano che ripara le cose, un medico per aiutare nei problemi di salute, una fontana, un parco. Molte novità hanno provato a far ‘saltare’ questo paesaggio, questo panorama storico-culturale, questi elementari o storici riferimenti vitali. In parte riuscendoci e ‘battezzando’ molti non luoghi: piazze di vendita più o meno dissennate; consegne per corrispondenza che tentano di far morire il negozietto al minuto. Anche chi dice il rosario sa che oggi è possibile dirlo in rete, vicini on-line ad altre anime.
Ma da sempre una specie di bellezza ancestrale emana dai paesi, dai borghi e nei giorni di festa chi abita le periferie, le campagne, persino le grandi metropoli, migra verso quel nucleo, quell’ombelico di storia e mestieri, sapienze e pietre, essenza di energia centripeta che ricorda, a chi abita un qualsiasi luogo, chi è, da dove viene, perché fa tutti i giorni ciò che fa. Contribuisce a far immaginare come sarà il domani per le nuove generazioni: chi immagina si augura che molti ancora possano continuare a camminare in pace e libertà attorno ai valori condivisi che la comunità ha inteso darsi.
Presto, più presto di quel che si crede, probabilmente, ciò che l’Europa, e gli europei, non vogliono vedere non sarà più possibile evitarlo. Per chi ha già capito non è una minaccia. Anzi. Prima o poi in quelle reti a maglie fitte, negli ammassi di filo spinato, appariranno piccole o grosse aperture, veri e propri passaggi o smagliature. E pure la storia si smaglierà appresso a quelle aperture nel materiale gelido e grigio, oltre l’ingiustizia. Dentro i campi di concentramento vivono ormai migliaia di persone che creano relazioni, fanno nascere piccole attività e negozi per le necessità di tutti i giorni. In molti campi si impasta e si cuoce il pane, si coltiva qualche verdura, un fiore, che è pur sempre simbolo di speranza, e bellezza. L’albero al centro del campo, quello enorme che ha costituito una cupola di fronde, sarà cattedrale e scuola all’aperto. Una torretta d’avvistamento sarà simbolo d’un giorno che si spera più libero invece che più ingiusto. Il mare davanti ad alcuni centri ‘d’accoglienza’ sarà di nuovo immagine di libertà e non sbarramento naturale. Le tende prenderanno la forma di casette meglio assortite: le une accanto alle altre, ognuna col suo minuscolo orto-giardino, formeranno un villaggio e quelli che si sono incontrati lì per caso avranno fatto famiglia e i loro giorni di festa per ricordarlo non saranno meno importanti di quelli degli altri che ‘c’erano prima’. Gli anni saranno passati. Allora, per forza di cose, tra chi avrà perso la speranza di farsi un futuro altrove, verso luoghi in cui gli sarà stato assolutamente vietato viaggiare, aumenteranno scambi e interazione e sarà sempre meno possibile distinguere tra chi c’era già con tutti i diritti e chi è ‘arrivato dopo’.
Se anche la politica ormai impolitica sarà stata capace di negare un futuro, il futuro sarà arrivato comunque.
I simboli cambieranno un po’ ma saranno ancora testimoni e messaggeri delle esigenze primarie e sociali degli uomini e delle donne, e dei bambini che avranno contribuito a farli assurgere a ciò che sono. Presto, più presto di quel che si crede.
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seguendo il tuo pensiero si ritrovano tanti fili spezzati solo da riannodare e rilavorare con forza e passione