I nuovi regnanti
Sfogliando il vocabolario della lingua italiana ci si può imbattere nel lemma “politica”, il cui significato viene così descritto: “La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello Stato e la direzione della vita pubblica“. Dopo le esperienze dei grandi imperi e delle casate regnanti, l’antica democrazia greca riconquistò uno spazio sociale. Le società si sono organizzate dandosi nuove costituzioni, diversificate strutture politiche, delle regole organizzative della vita pubblica. Tutto questo è stato semplificato con due parole: libero e democratico.
Certamente non ci farebbe male ricordare la nostra storia. Noi dimentichiamo facilmente sull’onda del benessere, pronti a cogliere i frutti di chi ha costruito il nostro futuro. La domanda più logica che mi frulla nella testa è: noi, quale futuro stiamo costruendo? Il secolo trascorso è stato, per noi europei, fortemente ideologizzato, sia per gli influssi filosofici dell’800, che per le tragiche guerre del ‘900 stesso. La crescita delle generazioni ha subito uno sviluppo legato al contesto sociale e territoriale vissuto. Nonostante i notevoli contrasti, il rispetto dell’individuo è sempre rimasto reale anche dovendo difendere interessi o idee personali.
Il susseguirsi degli eventi è fisiologico, e, simbolicamente, la caduta del muro di Berlino ha portato con se l’ideologizzazione sociale, restando negli individui la formazione ed il rispetto di quanto vissuto. Indebitamente lo spazio ideologico è stato assorbito dall’economia, da un concetto di difesa di classe piuttosto che di sviluppo sociale. È in questo passaggio di cambiamento che l’Italia ha subito uno scippo intellettuale, la transizione dell’ossidazione dei partiti ha sviluppato un travaglio di personalizzazione della politica per la difesa di interessi strettamente personali. Frantumate le sigle dei partiti sono fiorite, come le vecchie casate regnanti, le famiglie di interesse politico. Naturalmente possedere ricchezze e mezzi di informazione, permette di ruggire in modo da sovrastare le altre formazioni. L’appiattimento ideologico, verificatosi nel susseguirsi dei fatti, ha fatto si che si sviluppasse un qualunquismo territoriale e sociale. La difesa di un benessere consolidato (dimenticando come questo sia stato raggiunto), ha portato all’arroccamento sociale estremizzando migrazioni o condizioni sociali inferiori. Lo scontro politico non ha più come obiettivo la solidità dello Stato e la crescita della vita pubblica, bensì le suddivisioni territoriali e l’innalzamento del livello di conflittualità. Ne è testimone lo scollamento delle istituzioni con la società, dove chi gestisce un potere, anche locale, è spinto da interessi di radicamento nella conduzione politico-amministrativa. Se negli anni ’60 e ’70 l’obiettivo era una laurea in ingegneria, o in medicina, negli anni ’90 la carriera politica si è impadronita del “sistema Italia” dove, con il passare degli anni, si consolidavano privilegi e stipendi di lusso (senza lavorare nè obbligo di presenza).
Gli ultimi avvenimenti politici mostrano una nazione ancora più ferita, una classe dirigente che non riesce a discutere ed affrontare i problemi, una casta intenta alla difesa della poltrona parlamentare, incarichi e privilegi di cui si sono auto-dotati. Tremonti parla di recupero finanziamenti e sprechi, da togliere a chi non ne ha diritto (giustamente) o a chi ne ha beneficato senza titolo. Quest’assonanza politica rischia di tagliare l’efficienza energetica, ovvero le detrazioni o i compensi che società e cittadini hanno ottenuto investendo e alimentando le attività del lavoro. Ancora una volta si parla di aliquote, di tasse ed IVA. Le prime per far pagare meno chi ha di più; l’IVA, in aumento di qualche punto, che colpirà il consumatore finale, ovvero i cittadini. Queste proposte sicuramente verranno avallate dai politici.
Come cittadini, stufi di parole, vorremmo proposte di legge come: “dimezzare i parlamentari ed eliminare i vitalizi per i consiglieri regionali e i parlamentari”. Sarebbe un segnale concreto che restituirebbe fiducia. Dopo decenni di parole, invece di pensare a ministeri che vagano lungo lo Stivale, sarebbe opportuno ridefinire (tutti lo pensano ma nessuno lo fa) l’inutilità delle Province e delle Comunità Montane, utili solo alla divisione di posti politici in cambio di voti. Certo i tagli della politica (quella italiana è la più costosa in Europa) porterebbero ricchezza strutturale nelle tasche dei cittadini, cosa che l’organizzazione feudale del nostro parlamento, oggi, non può permettersi. La storia ci ha insegnato che spesso principi, baroni e marchesi, hanno acquisito ricchezze e potere con l’uso delle armi, la violenza e l’arroganza (o brama di potere), che cosa sia cambiato oggi, a parte i nomi e qualche definizione, è tutto da valutare.
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