I fratelli eleganti
Erano spariti da un giorno all’altro. Nessuno osava fiatare sul loro domicilio più recente, bocche cucite sull’argomento. Erano due fratelli bellissimi, sempre eleganti e mai coi baffi e i capelli fuori posto. Curavano peli e capelli al millimetro, probabilmente ne tenevano il conto esatto.
Erano due formule matematiche vestite e calzate elegantemente. Li chiamavano ‘i racanetti’ per via della loro somiglianza coi ramarri, eleganti e fulminei nei loro movimenti e nei loro morsi.
Camminavano uno a fianco all’altro, quando andavano in città insieme. Compatti come il gatto e la volpe di Carlo Collodi, dovettero incappare in qualcuno che ostacolò le loro attività losche. Qualcuno con la puzza sotto al naso e col ferro in tasca.
Prima cercarono la conciliazione, una spartizione equa del territorio da taglieggiare. Ma il rivale s’impuntò come un mulo e non cedette di un millimetro. Anzi, osò minacciarli, i due fratelli eleganti.
Il giorno dopo lo trovarono senza vita, dopo un suicidio sapientemente apparecchiato da almeno due complici.
I due fratelli sparirono in pochi istanti. Soltanto Venturina, una loro cugina, sapeva dove fossero espatriati. Scriveva loro lunghe lettere su carta velina, che spediva chiuse in buste dai bordi con sottili bande verdi e arancioni.
Claudio, loro cugino acquisito, si guarda intorno con circospezione, ogni volta che gli chiedi notizie di quei parenti da dimenticare. Ti spinge nel bar dalle pareti di vetro sopra l’ospedale e ti ordina subito un caffè corretto, come per tapparti la bocca.
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