I due leoni della Borghesiana, piccole memorie romane.
non più romantici Lord Byron alla ventura, cavalchiamo “l’Agro mortificato”, o quel che ne resta, oggi così, su cavalli meccanici, cercando le perdute semplici grazie dei giorni che furono.
Contrada Due Leoni. Tra le Torri. Le antiche torri, Gaia, Nova, Angela, Vergata, Monaca, passati di ameni scenari di sogni campestri di mezz’estate, immersi in indomite battute di caccia dei ricchi d’allora, villeggianti delle infinite sconfinate tenute del Casilino, passate nel vero senso del tempo d’oggi, 2015, a visioni d’inquinamento metropolitano, porte d’abiezione, nella perenne nebbia di leviatani di piano regolatore.
Tutti conoscono il nome dell’amena località della borghesiana, ma spesso e volentieri potrebbero ignorare l’ effettiva presenza di due grandi leoni in, diciamo, pietra-cemento, i quali, silenti, ancora guardano guardinghi, l’entrata di un portale, ormai, ma se vogliamo anche per fortuna, reduce del rapido progresso 2.0, schiacciati e rinchiusi tra il gardrail della nuova stazione metro omonima.
Una delle due statue è ancora oggi visibile, mentre l’altra si è come per ultima magia del martoriato genius loci casilino, nascosta tra la flora, quasi come per difendersi dall’attacco dell’imminente psycho-tecnologico-geometria urbana.
Il gentile benzinaio della dirimpettaia colonnina di petroli, mi racconta a tempo perso, di come questo portale fosse l’ingresso dell’imponente ed, a suo dire, infinita tenuta, del sign. Giovanni Amati, l’impresario cinematografico che scoprì tra l’altro l’Albertone nazionale, della cui figlia Giovanna ancora si raccontano le imprese motoristiche al femminile, emonumenti dunque, d’altre generazioni, fatte d’altri portafogli, dai patrimoni più o meno chiari d’adesso.
Il fatto può essere comunque e però, che noialtri, cavalcatori d’asfalto, pur ignorando ogni dubbio sulle paternità dei denari che fecero, che costruirono…., potremmo pensare oggi, di come, se quel che è fatto è fatto, si possa preservare l’identità dei luoghi, anche a dispetto d’ogni nuova sovrastruttura strutturata dal nuovo.
Ed il pensiero di questa missiva dovrebbe dunque andare al recupero dei manufatti, nel dinamico scambio tra il vecchio ed il nuovo, tra l’orizzonte di ieri e l’alba del domani, nella linea di pensiero che offre a chi è attento, il pensiero di un eterno ma morbido divenire.
Quale migliore idea potrebbe essere per i nostri semprenuovi governanti impermanenti dell’amata Roma, che letta al contrario direbbe amor, quella di promuovere, nel caso in questione ad esempio, la valorizzazione di una tale rimanenza di struttura, che da macerie potrebbe, con una luna nuova, diventare, con pochissima spesa ristrutturativa, anche e solo una semplice visione dell’antico nel moderno, la bella presentazione della nuova stazione metro, chiusa nel suo giardinetto, magari munita ex novo di fontana perchè no, ma pur sempre viva e pulsante idea di pietra d’una identità che non deve essere perduta. Perchè se perdiamo le nostre piccole eccellenze, perderemo anche la strada per educare i nostri figli, il senso del buon esempio, per dirla come i preti.
Non un appello, non ci sarebbe cosa peggiore nè più strumentale ai poteri insediati, un’esortazione, una piccola cronaca del piccolo tempo d’ognuno di noi, del piccolissimo, fragile ma nello stesso modo, infinito tempo, di cui oggi noi vi raccontiamo, per poterlo condividere, pur mal raccontandolo.
Pensateci cittadini, a quando, per un caso o l’altro, vi indirizzeranno a contrada due leoni, pensate e ricordate perchè si chiama così.
Vittorio Renzelli
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