I COMUNI SPENGONO LE LUCI PER PROTESTA CONTRO IL CARO BOLLETTE.
UN CAMPANELLO D’ALLARME PER UN MONDO CHE VERRA’
Il 10 febbraio i maggiori Comuni italiani hanno spento per mezz’ora, simbolicamente, le luci di un monumento rappresentativo per protesta contro il caro bollette, chiedendo al governo di intervenire a loro sostegno.
Il presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) ha dichiarato: “Le risposte dal governo alle nostre richieste non sono sufficienti. Evidentemente non si percepisce il rischio che questa crisi si ripercuota negativamente sui bilanci degli enti locali e di conseguenza, soprattutto, sulla possibilità di erogare con continuità i servizi pubblici ai cittadini. Speriamo che in questo modo si possa comprendere a quali rischi si va incontro se non si interverrà presto con un sostegno adeguato a coprire almeno tutti gli aumenti previsti in questi mesi. L’ANCI stima per le amministrazioni comunali un aggravio di almeno 550 milioni di euro, su una spesa complessiva annua per l’energia elettrica che oscilla tra 1,6 e 1,8 miliardi di euro”.
Strana posizione, quella dei sindaci. Sembra di assistere a uno “sciopero” contro il “padrone” cattivo – il governo nazionale – che non vuole aiutare i poveri Comuni allo stremo finanziario (alla faccia della leale collaborazione tra enti pubblici). Nemmeno le aziende per le quali l’aumento del costo dell’energia rischia di comportare l’uscita dal mercato hanno esercitato un tipo di pressione così energica. Va chiarito comunque che i soldi per i ristori che il governo in un modo o nell’altro erogherà a tutte le entità pubbliche e private in difficoltà sono a debito, e che questo debito dovrà essere ripagato nei prossimi anni dai cittadini con le loro tasse.
Nel Documento Unico di Programmazione del Comune di Albano Laziale è prevista, per gli anni 2022 e 2023, una spesa per l’energia elettrica di 900.000 euro l’anno: nel bilancio ci sarà un buco di 250.000 – 300.000 euro. Naturalmente si tratta di stime, anche perché non sono disponibili dati dettagliati che consentano di conoscere le varie tipologie di consumo – illuminazione pubblica, illuminazione e riscaldamento degli uffici, impianti e macchinari come server e computer, ecc. Si può ipotizzare che la gran parte dei consumi sia dovuta all’illuminazione pubblica, se è stato calcolato che soltanto per le luminarie natalizie sono stati spesi per l’energia elettrica circa 5.000 euro.
Di fronte a un buco di bilancio di centinaia di migliaia di euro l’amministrazione dovrà assumere rapidamente delle decisioni in attesa che vi sia sperabilmente un trasferimento straordinario di fondi da parte del governo che, comunque, non potrà che coprire parzialmente il buco di bilancio. Le strade sono due, non necessariamente alternative: ridurre i consumi elettrici e tagliare altre spese.
Sul versante della riduzione dei consumi si potrà intervenire eliminando l’illuminazione in aree urbane dove non è strettamente necessario, invitando i dipendenti comunali a farsi carico di un più parsimonioso uso delle luci e delle strumentazioni come i computer (qualcuno ricorderà che nel 1973, ai tempi della crisi energetica, vennero apposti, al di sopra degli interruttori, dei cartellini che invitavano a spegnere la luce quando si abbandonava la stanza), o ricorrendo ad altri strumenti. Nel medio-lungo periodo il Comune potrebbe intraprendere un’iniziativa generalizzata mirata alla razionalizzazione dei consumi energetici in linea con i dettami del PNRR in termini di transizione ecologica (purtroppo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR viene sostanzialmente visto come una pura fonte finanziaria).
Sul versante del taglio delle spese, si potrà intervenire, fatte salve le spese incomprimibili, in maniera indifferenziata dando un po’ meno a tutti i settori di intervento, oppure in maniera chirurgica tagliando in aree ritenute “marginali”. Il punto è: quali sono le aree “marginali” su cui si possono introdurre tagli per centinaia di migliaia di euro? La cultura, la scuola, il turismo, le spese di rappresentanza, le manutenzioni degli apparati, delle aree pubbliche, delle strade, o cosa? Bisognerà anche tener presente che i fornitori a cui verranno tagliati i contratti subiranno un contraccolpo che tenderà a deprimere l’economia locale. A tal proposito va sottolineato quanto difficile sia fare scelte che hanno riflessi non soltanto economici ma anche psicologici e sociali. In tema di spegnimento dei monumenti andrebbe fatta una riflessione su quanto avvenne nel 1973, ai tempi della crisi energetica in cui la benzina era razionata e le nostre auto transitavano a targhe alterne, quando il presidente degli Stati Uniti decise di lasciare al buio l’obelisco di Washington, simbolo dell’unità nazionale, e per questa scelta venne aspramente criticato.
Sarebbe opportuno che questi temi venissero affrontati in un confronto pubblico e non nelle segrete stanze di Palazzo Savelli. E’ necessario che chi esercita la leadership della città sia chiaro con i cittadini: nel futuro dovremo usare meno energia e questa costerà inevitabilmente di più. Questo è il nostro destino, questo è l’inizio della transizione ecologica di cui parla, nei fatti inascoltata, Greta Thunberg, e ce ne dobbiamo fare carico sopportando i relativi sacrifici. Siamo in una fase di profonda trasformazione e i cittadini non possono più rivendicare diritti ritenuti tali come se il consumismo potesse essere ancora un’opzione sostenibile; al contempo i politici devono essere onesti nel descrivere la situazione e, soprattutto, operare seguendo un criterio di solidarietà e di riequilibrio affinché chi viene più penalizzato venga maggiormente tutelato.
La crisi del caro bollette forse è benvenuta: costringerà tutti ad aprire gli occhi su un mondo che è davvero cambiato e rispetto al quale tutti e ciascuno dovranno fare i conti – non soltanto economici.
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