I bambini non si toccano mai
«I bambini non si toccano mai», non so chi ha coniato questo comandamento, ma chi lo fece aveva ragione; ne aveva così tanta, che forse anche lui è finito pazzo per il dolore. I bambini non si toccano mai, o più propriamente gli innocenti non si toccano mai: chi lo disse, è finito crocifisso su qualche croce dimenticata, per un momento infinito è rimasto da solo, con l’urlo in gola a strangolarlo, con le braccia aperte, gli occhi ribaltati, il volto reclinato degli innocenti.
I bambini non si toccano mai, muoiono per strada, sulle auto, sui campi di calcio, muoiono senza colpa né misfatti, per prossimità derivate da terzi, per una sorta di nemesi congenita, che propaga metastasi, come ogni condanna al silenzio. I bambini non si toccano mai, c’è quasi nostalgia delle leggende, delle storie che non stanno scritte da nessuna parte, delle regole e dei codici di ieri, un onore antico, di un tempo in fiamme, di un’era cretacea, dove sono andate perdute le responsabilità che almeno facevano gli uomini consapevoli della preziosità dei bimbi che “non si toccano mai”. Neanche quando gli interessi sono trasformati in imbrogli e peggio in tradimenti, in quella pratica che smembra i legami affettivi, il diritto di appartenere a una città, di abbandonarsi alla fiducia degli altri.
Ci attraversa un tempo che non commuove, dove le verità non sono liberate per essere apprezzate, ma spesso sono relegate nella polvere della sventura più prossima, quando la storia è azzoppata dagli agguati delle vendette, una storia che non possiede alcun elemento di verità, solamente il sangue degli innocenti. I bambini non si toccano mai, persino su chi nulla comprende di malaffare, di cattiva vita, di strade sterrate alla coscienza, incombe lacerante la ferita che squarcia la carne della ragione, quando con normalità insana, un bambino viene smontato e abbandonato, quando una creatura viene presa a pallettoni sul viso, quando un adolescente paga con la vita il proprio diritto di cittadinanza. Quel che accade su e giù per il paese Italia, in qualche dirupo, in qualche cantina del massacro, non si tratta di un nuovo e affascinante slang, non è narrativa da premio Pulitzer, piuttosto è pratica da non pubblicizzare, un metodo che non è sinonimo di uno sconosciuto onore e rispetto, è un’azione che non è possibile raccontare, accettare, condividere. La violenza non ha timidezza da mostrare, nella perdita filiale c’è la libertà che non ha più valore, ha un prezzo perfino l’amore che si paga offrendo riparo all’irreparabile, all’indicibile, all’infamia più grande, quella che non è possibile difendere, celare, manipolare, a un accadimento sub-culturale di pochi.
I bambini non si toccano mai, eppure cadono scomposti, nascosti alle inquietudini e alle indignazioni non più sufficienti, è un malore dell’anima che non bisogna tacere o negare, non rimane che scegliere un percorso ostinato e contrario, per non rinunciare a educare alla verità che è sempre innocente, a tal punto da rendere possibile un’altra storia, in cui i bambini davvero non si toccano mai.
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