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Habemus Papam

Aprile 26
10:32 2011

Habemus Papam, sconsigliato ai minori CEI, è l’ultimo “capolavoro” cinematografico di Moretti, che esce, guarda caso, alla vigilia della beatificazione di Giovanni Paolo II, il Santo Wojtyla, che sembra, in parte, coincidere (a parere di chi scrive, abbastanza, maldestramente) con l’immagine del Papa rinunciatario, protagonista del film morettiano (anche se, in realtà, Wojtyla ha fatto, in vita, esattamente, il contrario). Una figura, la sua, notevolmente confusa (probabilmente volutamente), che se da una parte ricorda il Pontefice polacco (vedi la passione per il teatro, la vaga somiglianza del personaggio, il suo accento e i modi) dall’altra sembra incarnare, in maniera molto sibillina, proprio i recenti dubbi, palesemente esternati, del suo successore sul soglio di Pietro (…forse troppo pericolosa una citazione più diretta?). Un tentativo, da parte del regista, quindi, di interpretare e di entrare nel mondo dello Spirito, senza sentirsene in realtà partecipe (questo è quello che si percepisce), evidenziando, prevalentemente, gli aspetti depressivi e degenerati (purtroppo, però, escludendo tutti gli altri), sicuramente presenti nel mondo contemporaneo, con particolare riferimento alla dimensione ecclesiastica e gerarchico-cardinalizia del Conclave. Una dimensione (si evince dall’opera) in cui il rimedio per la caduta e la decadenza umana non è la Divinità (con la sua Grazia discendente, il Verbo che si incarna e l’esperienza, attiva e creativa, della Fede) ma l’uomo con le sue “scienze esatte e positive”, psicanalisi, psichiatria, psicologia… (anche se nel film non si comprende, comunque, come agirle) che, come “ben sappiamo”, sono in grado di “porre rimedi certi a patologie e sconvolgimenti dell’essere”, come anche di compenetrare, esaustivamente, i misteri della vita e della morte… “Todo cambia” è il refrain della canzone, di Mercedes Sosa, più volte ripetuto nel film (che evoca un approccio ideologico e strizza, nel contempo, l’occhio alla martoriata Teologia della Liberazione), attraverso cui il regista sembra richiedere, all’attuale Chiesa di Roma, un cambiamento necessario di animo e costume ed un ritorno alla semplicità (praticamente una cronaca sotto gli occhi di tutti: ma dov’è l’Intuizione? E l’Arte con i suoi totali rimandi?): facile a dirsi. Un altro girotondo (sponsorizzato da noi) retorico, “purificatore” e morettizzatore (quella volta era la Sinistra adesso è la Chiesa?), senza un tondo e, soprattutto, senza un centro sostanziale e significativo che lo anima e sostiene, senza prospettive di metodo e reali proposte di campo: non sarebbe il primo, a cui assistiamo, e, forse, neanche l’ultimo (caro Moretti)… verrebbe da pensare.

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