Guerra di soli vinti
«Ora che sono qui, due anni dopo, in questa terra di Palestina devastata da un massacro infinito, a pochi chilometri da Um Al-Amar, non riesco a immaginare lo strazio degli stessi bambini in quella stessa scuola che in queste ore è stata rasa al suolo dai bombardamenti israeliani. Ma ormai ogni aggiornamento del numero di scuole, come degli ospedali distrutti e soprattutto delle persone uccise, appena viene pubblicato è già vecchio.
E a chi scrive mancano le parole e gli aggettivi per commentare una tragedia, di fronte alla quale sembra che il mondo stia rendendosi conto al rallentatore, quella descritta dalla parola più pesante: genocidio. Vorrei chiedere a Lucia, la bravissima inviata di Rai News, di andare a cercare tra i sopravvissuti della scuola di Um Al-Amar gli amici che in quelle case mi avevano offerto un delizioso caffè al cardamomo. E vorrei amplificare la rabbia del presidente di Vento di Terra che ha tuonato: “Ma perché il nostro Governo che ha pagato quella scuola non dice nulla ad Israele? E perché non lo fanno i Vescovi italiani?”. Lucia Goracci si distingue da tutti gli altri giornalisti perché ai numeri impressionanti del massacro preferisce i nomi e le storie, mille volte più impressionanti, dei civili uccisi o di quelli miracolosamente scampati a questo mostruoso bombardamento senza fine. “Di notte aspettiamo il giorno e di giorno aspettiamo la notte. Attendiamo che arrivi il nostro turno di andare al macello. E vediamo il cielo illuminato da una palla di fuoco”, le ha raccontato Abdul, di Kan Yunis.»
È un brano dell’editoriale-appello accorato di Nandino Capovilla per la ‘Campagna Ponti e non muri di Pax Christi’ sulla newsletter BoccheScucite-Voci dai territori occupati, che si è fatto cronista vero da Um Al-Amar, Striscia di Gaza, assieme a Lucia Goracci. L’articolo non cerca divisioni e lo testimoniano le molte voci di israeliani che raccontano il loro disaccordo con il governo centrale. Non possiamo fare a meno di pensare che la ragione ultima e prima di ogni conflitto sia il commercio di armi.
Sul conflitto le nazioni sembrano schierarsi o non pronunciarsi, seguendo interessi ben precisi che molto hanno a che fare con le ragioni del Pil e molto poco con quelle di una pace che si raggiungerebbe con la costituzione di due Stati sovrani. La soluzione si dovrebbe cercare attraverso le proprie diplomazie, la politica, spogliandosi dei desideri di supremazia coltivati da entrambe le parti. Occidente e Oriente ricchi hanno lo scopo di mantenere accesi molti focolai di guerra per tenere aperte le fabbriche di armamenti (basta fare un giro in rete per vedere quale arsenale è a disposizione del conflitto); chi si ostina a dirlo viene tacciato di essere nient’altro che ‘un’anima bella’.
Intanto, non appare più possibile districare le motivazioni del conflitto dai mezzi utilizzati per protrarlo nel tempo. Per sensibilizzare, il racconto di guerra dovrebbe tornare alle storie singole e all’informazione capillare sulle radici, invece che su stanchi paesaggi di morte e distruzione che da lontano sembrano tutti uguali e che nell’epoca dei video-giochi rischiano di somigliare a quelli, creando una ‘non percezione’ o una percezione virtuale del dolore. Un pensiero a tutte le vittime, e in particolare al giornalista Simone Camilli.
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