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“Grottaferrata, Cronache e Storie”, di Alberto Procaccini e Luciano Vergati

“Grottaferrata, Cronache e Storie”, di Alberto Procaccini e Luciano Vergati
Maggio 29
22:00 2013

Acquerello di Franz Karl Knébel sull'abbazia di GrottaferrataL'”Associazione dei Nuovi Castelli Romani”, presieduta da Ettore Pompili, si è resa promotrice di un’iniziativa singolare. Ha organizzato, infatti, nell’ambito della 413^ edizione della Fiera Nazionale di Grottaferrata, la presentazione di un libro particolare, dedicato alla storia civica del notissimo centro castellano, a partire dall’ultimo scorcio del millesettecento fino ai giorni attuali.

“Grottaferrata, Cronache e Storie”: questo il titolo di un tomo di oltre settecento pagine, dalle dimensioni monumentali, cui hanno lavorato due illustri personaggi della vita pubblica locale, Alberto Procaccini e Luciano Vergati, liberi professionisti che hanno dedicato all’argomento lunghi anni di pazienti ricerche e di amorevoli attenzioni.
Il volume, curato dall’Associazione “Il Laboratorio di Grottaferrata”, presieduta da Simone Procaccini, è stato presentato il 15 marzo presso la Sala Conferenze dell’Abbazia di Grottaferrata, alla presenza di un folto pubblico di estimatori, con la conduzione di Domenico Salvatore. Dopo i saluti del Sindaco, Gabriele Mori, si sono alternati al microfono il Prof. Silvio Berardi, Docente di Storia Contemporanea presso l’Università Nicola Cusano di Roma e il Prof. Carmelo Pandolfi, Dirigente Scolastico del Liceo Benedetto XVI di Grottaferrata e Docente presso l’Università Europea di Roma.
Occorre dire che il libro cattura immediatamente la curiosità dei fruitori in virtù di una veste d’eccezione, che si avvale di un corredo fotografico assai ricco e significativo. Un vero e proprio gioiello editoriale, che ha impreziosito l’importante vetrina della Festa del Libro allestita nell’area della Fiera riservata alle iniziative editoriali ed alle manifestazioni socio-culturali. Ma qual è l’intento dei due autori? Dichiaratamente quello di raccontare la storia civica di Grottaferrata, a partire dall’età napoleonica fino ai nostri giorni, dedicando non più che rapidi accenni alle origini latine e cristiane, mescolate con quelle del misticismo orientale, legate all’Abbazia di San Nilo.
A quell’alba lontana, loro sostengono, sono già stati dedicati studi memorabili, mentre la storia più recente è tutta da raccontare. E d’altro canto, il primitivo nucleo abitativo, sorto, diremmo, come dépendance del Monastero, rimase come bloccato per secoli nell’incanto di quei mitici albori. Più articolata risulta la narrazione del periodo successivo, dal Rinascimento all’Età Barocca, fino al Secolo dei Lumi, in cui, tuttavia, Cripta Ferrata non conobbe crescite sostanziali, come avvenne per gli altri centri castellani dominati dalle nobili Casate romane.
L’Abbazia, fondata nel 1004 dal monaco Nilo da Rossano, governò ininterrottamente sul luogo fino al 1816, data in cui la grande riforma amministrativa attuata da Pio VII e dal Cardinale Ercole Consalvi, unì questo territorio al Comune di Frascati con lo status di appodiato. Il popolamento del borgo fu assai tardivo. Tant’è che il Comune, alla sua nascita, ufficialmente avvenuta il 27 agosto 1848, contava 671 abitanti, molti dei quali importati per poter raggiungere il quoziente minimo consentito. E stanno probabilmente qui le ragioni storiche della propensione residenziale di Grottaferrata, sorta, contrariamente agli altri centri castellani, più per scelte estrinseche che per esigenze intime. Un paese anomalo, se vogliamo, in quanto non nato spontaneamente, ma per determinazioni storico-culturali. Un paese pensato, immaginato, preteso, voluto. Le origini ci sono, indubbiamente, ma sono come poste tra parentesi, conservate nel loro fascino primevo, sacrale. Non si sono sciolte nella storia, non si sono disgregate. Sono là, vergini e intatte, in quel Monastero ieratico dove è ancora possibile coglierle in tutta la loro fragranza originaria. Il paese è fuori, ed è di esso che si sono perlopiù occupati gli autori, conducendoci per mano in un viaggio secolare e laico, dove fanno la loro apparizione la Fiera, le ceramiche di Squarciarelli, i vigneti, i villini, e molto altro ancora, in un quadro che palesa la vivacità di luoghi abitati da fermenti civici e da inquietudini umane.
In questo lungo excursus, varie sono le tappe considerate, dall’età precomunale, dapprima napoleonica e successivamente papalina, a quella comunale, ancora papalina, in un primo tempo, e poi risorgimentale. Quindi abbiamo la fase italiana, segmentata dalle due guerre, e poi dal settantennio nel quale tuttora viviamo. Nella loro accurata trattazione, gli autori si avvalgono di uno schema annalistico rigoroso, riportando di sana pianta i verbali delle riunioni di Consiglio conservati nell’archivio storico comunale.
Tuttavia questo lavoro documentario, intensamente acribico, non li ha esentati dal partecipare agli eventi, ai personaggi, comunicando simpatie, antipatie, condivisioni e polemiche, uscendo sovente dalla dossografia e a volte azzardando anche giudizi storici. Non di rado compaiono arguzie e ironie, cenni irriverenti e caustici che rendono viva e accattivante la scrittura. Gli autori dichiarano apertamente che il loro non vuole essere un lavoro scientifico ma amatoriale, e tuttavia la venatura per così dire letteraria e artistica di questa scrittura, lungi dal togliere rigore al testo, riesce a conferirgli un inestimabile ed attraente valore aggiunto.
Interessante la contestualizzazione di Grottaferrata nel territorio castellano. Gli autori ne colgono i tratti comuni, ma ne distinguono quelli decisamente autonomi e personali. Stimolanti infine le riflessioni sul dialetto: sulle finali in u, ad esempio, come troncamento dei rispettivi termini latini con consonante finale. Ed ascoltate, per concludere, questa brillante e poetica considerazione che mi ha molto colpito: “Il nostro arberu porta molte più foglie del latino arbor di quante ne porti l’italiano albero“.

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