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Gli Zuavi pontifici a Frascati e il loro ricordo in cattedrale

Settembre 08
21:38 2024

      È noto come a Frascati – facente parte dello Stato Pontificio fino al 1870 – fosse acquartierata una guarnigione di Zuavi pontifici addetti alla vigilanza dei luoghi e attivi specialmente nei momenti in cui il pontefice si recava in visita nella nostra città o nei Paesi vicini. L’ultima visita di Pio IX a Frascati avvenne nel 1868, quando, lasciata Rocca di Papa e i Campi d’Annibale, dove si era recato in rassegna alle truppe, “dirigevasi a Grottaferrata ove arrivava in breve ora. Vi si era recata là una compagnia di zuavi per rendergli gli onori militari e là trattenevasi il Santo Padre a desinare”, partendo subito dopo per Frascati e da qui, col treno, per Roma. Ma l’ultima presenza degli Zuavi a Frascati fu l’8 maggio del 1870, quando una lunga processione si snodò dalla Cattedrale fino a Mondragone per riportarvi le spoglie del martire Claudio Provinciale (che ora si trovano nella chiesa di S. Pio X a Grottaferrata) e un manipolo di zuavi chiudeva il corteo, come ha riportato Felice Grossi Gondi, storico ed insegnante a Mondragone (1901).

     Alcuni di questi zuavi tra gli anni 1864-1868, ebbero la malasorte di incappare in qualche epidemia o nelle febbri malariche, frequenti fino ai primi anni del secolo XX. Quanti morirono a Frascati vennero sepolti – come era prassi – nella cripta della chiesa parrocchiale (la cattedrale San Pietro), poi man mano riesumati per deporli nell’ossario della Confraternita del Gonfalone (nell’Ospedale San Sebastiano, almeno fino al 1865, quando si aprirà il cimitero cittadino). Anche numerosi personaggi di un certo livello, con particolari incarichi o benemerenze nella Comunità tuscolana, ebbero l’onore di essere ricordati nelle lapidi affisse sui pilastri, altre invece collocate per lo più sul pavimento della chiesa. Quando, a fine Ottocento, in Cattedrale si dovette ristrutturare il pavimento, la maggior parte di queste lapidi fu distrutta e in parte ammassata sotto la cripta (poi sgomberata alla metà del ‘900), ma alcune tra le più considerevoli vennero subito collocate nella sacrestia. E proprio qui vennero fissate specialmente le lapidi in memoria degli Zuavi pontifici morti a Frascati. Questi provenivano per lo più dalla Francia e dal Belgio ed alcuni si erano distinti per la partecipazione o l’impegno in sodalizi devozionali o di carità.  Non va dimenticato che il primo nucleo a Frascati della Conferenza di San Vincenzo dé Paoli era composto (dal 1852) da questi militari insieme con alcuni laici locali. Tra le 20 lapidi in sacrestia, per quanto riguarda gli zuavi, vi leggiamo i nomi di Pietro Dalibert, bretone, ‘tutto votato alla difesa della sede di Pietro’ (1863); Leopoldo Doornaeters, belga, “in zuavos pontificales cooptatus, immiti febri correptus”, faceva parte del sodalizio di Maria Immacolata (1863); Giovanni Battista Roos belga,(1864), del sodalizio della Vergine Madre di Dio (deipara); Pietro Degore, anch’egli belga, morto per febbre malarica (1864); Ubaldo De Wavrin, francese (1864, faceva parte della ‘San Vincenzo’); Lamberto Van Haae, batavo, (belga, del sodalizio dell’Immacolata, 1864); il giovane Paulus Rayner, belga, anch’egli ‘Immiti morbo consunto(1866).

    Ma tra le 20 lapidi nella sacrestia ne troviamo anche alcune dei canonici, grati dei benefici vari ricevuti dal card. Enrico Stuart o da Pio VII, oltre a quella per il card. Lega che aveva fatto costruire l’aula capitolare, ed altre di personaggi più o meno noti di Frascati, tra cui un laico che evidentemente si era distinto in opere di carità o similia, tanto che viene definito “uomo da ciascuno stimato per pietà e prudenza”. Si tratta di Anastasio Bernaschi la cui famiglia risaliva ad un ceppo originario, immigrato a Frascati ai primi del ‘700, col cognome (e non soprannome) di ‘Scapicchi’. Infatti i primi dati nei registri parrocchiali informano di un certo Sebastiano Scapicchi (o Scapicchia), originario di Fracta (ora Umbertide, in Umbria). Successivamente a tale cognome si aggiungeva, e talvolta si sostituiva dalla metà del Settecento, quello di ‘Bernaschi’; in seguito, fino alla metà dell’800 lo si trova abbinato o alternato fino ad abbandonare l’originario cognome, per il solo ‘Bernaschi’. Ed ecco, nella lapide in sacrestia l’Anastasio Bernaschi, che dagli atti di matrimonio nel 1815 viene registrato come Anastasio Giovanni Natale, figlio di Giuseppe Angelo Scapicchia-Bernaschi, che sposa a Capocroce, Teresa Casalboni e muore nel 1872; mentre la moglie muore a 81 anni ne 1873.  Ebbero diversi figli e tra i numerosi successori si possono annoverare un don Filippo Bernaschi, e un più noto Giulio Bernaschi più volte assessore e sindaco di Frascati dal 1900 al 1914 e nel 1925, quando, già in regime fascista si alternarono commissari e podestà. Nel 1925, sciolta dal fascismo l’Università dei Boattieri (Università Agraria), il (temporaneo) sindaco Bernaschi ricevette la consegna dei terreni per il passaggio di proprietà al Comune. Al Bernaschi a suo tempo è stata dedicata una via tra quelle intitolate ai sindaci (D. Valenzani, Minardi, Montani, Lucidi …) nella zona che va da Campitelli alla Sterpara.

    Tra le altre lapidi che si trovano nella sacrestia della cattedrale, di persone più o meno importanti di fine Ottocento, ci sono, Flora moglie di Gaetano Luzi; Angela Pisoni di Roma; Elisabetta Santini vedova Vespignani; Caterina, figlia undicenne di Salvatore Favale e Candida Nozzi; Carlo Cicinelli procuratore fiscale e la di lui moglie; Emma Mehlem, tornata in patria dopo la morte del marito, l’ungherese Stephan Gaal. Invece, tra le lapidi disposte all’esterno della cattedrale, si ricordano in particolare, Emma ed Eufemia (1831 e 1833), giovani figlie di Enrico Carlo Englefield e di Caterina Witham, una famiglia inglese che risiedeva a Villa Aldobrandini; Francesco Gaetano Rappini, bolognese, che fu tra i maggiorenti del Municipio ai primi dell’800; e quindi la lapide che ricorda i militari caduti nella Prima guerra mondiale, inizialmente posta (1923) nella Cappella dell’Addolorata. E’ interessante, e per lo più sconosciuta, invece la storia dei personaggi ritratti nelle lapidi dentro la Cattedrale. In particolare desta una certa curiosità quella della nobildonna russa Elena Rajevsky, morta a Villa Muti e la cui vicenda merita di essere narrata.

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