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Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh

Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh
Febbraio 06
19:09 2023

Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh è un film ‘danza’ attorno a sentimenti assoluti come l’amicizia, l’amore fraterno, il valore della vita. Nell’inventata isola di Inisherin (titolo originale dell’opera The Banshees of Inisherin: la banshee, mito irlandese, è uno spirito femminile ‘donna delle fate’, maligno) Colm lascia attonito l’amico un po’ più giovane Pàdraic, un pezzo di pane che come altri vive il quasi nulla d’una microeconomia e d’una socialità circoscritta, annunciandogli di non volerlo più vedere. Colm ritiene di avere di meglio da fare che non frequentare uno pseudo amico banale, dall’esistenza simile alla sua, e s’inventa musicista ispirato, maestro di musica, ruoli che intende esercitare nello stesso pub paesano nel quale si rifiuta di bere una pinta con Pàdraic.

Del regista conosciamo il movimentato In Bruges – la coscienza dell’assassino con la coppia Colin Farrell/Brendan Gleeson qui ricomposta, e Tre manifesti a Ebbing, Missouri, in cui ci ha ricordato il disordinato divenire dei fatti e la condizione umana oscillante tra dolore, senso di colpa e istinto di sopravvivenza; (gli attori, irlandesi entrambi, circa trent’anni di carriera il primo, presta il volto a ruoli complessi da cinema indi di cui ricordiamo The lobster di Y. Lanthimos; trent’anni di carriera e quasi 100 film tra cui il bel Ritorno a Cold Mountain di A. Minghella il secondo).

Farrell/Pàdraic, imbattibile nel fare l’ottuso, non ci sta e comincia a perseguitare l’altro. In realtà a cercarlo ogni volta che non si presenta all’appuntamento delle 14 al pub: trovarlo è cosa piuttosto facile in un luogo battuto dal vento, senza alberi, poche case, le porte di queste ultime aperte, spia dell’inesistenza d’una qualsiasi intimità quasi impossibile fra poche anime che ti giudicano dal poco lavoro che c’è, dal nessun titolo che hai, da una condizione economica misera, per tutti uguale. Colm, però, pone un veto con terribili minacce. Sullo sfondo la guerra civile irlandese (siamo nel 1923), cannonate in lontananza che angosciano superficialmente gli isolani, almeno sembra, che le dimenticano subito presi dalle loro piccole incombenze (così come scorre oggi il fiume dell’informazione, da sottofondo alle incombenze quotidiane che rendono impotente ognuno, pur di fronte alla tragedia).  

La decisione di Colm non è scevra da sofferenza, si capisce, ma sembra essere un uomo solido più di Pàdraic anche se, nel tempo, con tutta probabilità, si dimostrano degni compari d’un nulla morale nel quale sopravvive solo la cocciutaggine che sembra reificare nel giro di pochi giorni, unico risultato, l’impegno verso la vita che almeno uno dei due voleva profondere.

Sullo sfondo della tragi-commedia si muovono altri abitanti del paese, coro da tragedia: ‘avete litigato? Avete litigato?’; una sorella amorevole; un ragazzo che, leggero, in realtà sopporta una vita dura, della quale per altro non sa ancora cosa farsene e trova sulla sua strada un bastone segno del destino; una parca (forse Atropo, colei che recide il filo della vita), vecchia e ammantata di veli spande sguardi consapevoli (e perciò solo per  questo cattivi?); una pizzicagnola pettegola; un poliziotto violento… Deuteragonista, tra protagonista ed antagonista (ruoli intercambiabili) il paesaggio nella fotografia di Ben Davis, sfondo inamovibile. È lo sfondo naturale che assiste alla parabola umana senza esserne scalfito (ancora lontani i tempi in cui la spropositata impronta umana gli darà del filo da torcere e comunque qui non se ne ha contezza). Le linee in salita e in discesa delle strade di terra battuta, il colore mai saturo, il mare confine naturale tra il qui ed ora e l’oltre che è sempre incognita, lo si capisce vedendo le partenze dall’isola su barchette-guscio cariche di ‘migranti’ verso altre storie. Restano molti interrogativi alla fine, il film non fa nulla per non essere misterioso, ma lo è come il divenire dell’esistenza in una ‘povera’ sfida tra uomini e donne che si gioca in un andirivieni da partita a scacchi. (Un interrogativo un po’ più tecnico sulla traduzione del copione: una donna istruita, bibliotecaria che legge moltissimo, la quale soffre come gli altri il destino che sembra esserle stato assegnato, quello d’una piacente casalinga zitella, può, una volta arrivata altrove scrivere al fratello di essersi ‘rassettata’ al posto di essersi ‘sistemata’? Se non è una licenza linguistica ‘larga’, una traduzione desueta, cos’è?).

Alla fine del film, attraversato pur nel suo microcosmo da tante vicende, i valori sembrano restare inalterati, proprio grazie alle eccezioni: sono valori forti che muovono le esistenze. L’inventata isola di Inisherin resta negli occhi, principio e fine d’ogni cosa. La banshee per un po’ sarà sazia. (Serena Grizi)

Nell’immagine del pittore Henry Meynell Rheam le fattezze di una banshee ed un fotogramma del film – immagini web

 

 

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