Gli scheletri negli armadi prima o poi escono fuori
Windhoek è la capitale della Namibia, centro importante per il commercio di pelli di pecora.
Nel XIX sec. la città era abitata dal popolo degli Herero di etnia Bantu, che si dedicavano all’agricoltura e al commercio. Fino al 1885 quando la Germania occupò quella regione e la città divenne sede del governo coloniale dell’Africa Tedesca del sud-ovest. Tra il 1904 e il 1907, in quella che oggi è la Namibia, la Germania represse con le armi la resistenza delle comunità locali alla colonizzazione delle terre da parte di immigrati tedeschi o sudafricani di origine europea. Secondo gli storici, il numero degli Herero si ridusse drasticamente; centinaia di esseri umani furono deportati in Germania perché fosse possibile realizzare esperimenti che dimostrassero la superiorità razziale dei tedeschi rispetto ai popoli africani. Nel mese di marzo appena passato, trentacinque teschi e tre scheletri di donne e uomini di etnia Herero deportati allora in Germania, sono stati restituiti dall’Università di medicina di Berlino e dall’ateneo di Friburgo e con una solenne cerimonia pubblica sono stati accolti a Windhoek, nei Giardini del Parlamento. «Con il rimpatrio dei resti – ha detto il rettore dell’università di Berlino – intendiamo rendere omaggio alle vittime, denunciando allo stesso tempo i crimini commessi nel nome del progresso scientifico».
Progresso scientifico? Bah! Questo fatto, forse per qualcuno neanche tanto curioso, dimostra la continua evoluzione delle idee nel tempo; evoluzione che qualche volta porta ad eventi catastrofici e terribili. Ma in fondo sempre per il culto di se stesso, egoismo e incapacità di vivere insieme.
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