GLI ARRESTI DI PIACENZA E LA VALUTAZIONE DEI CARABINIERI
Quanto avvenuto nella caserma Levante dei carabinieri di Piacenza solleva molti problemi uno dei quali, non marginale, è la valutazione delle prestazioni dei dipendenti pubblici.
Prima di addentrarsi nella questione specifica, va sottolineato che il comportamento dei carabinieri coinvolti nella vicenda, a tutti i livelli, è di estrema gravità e va duramente colpito. Esso mina alla base la credibilità di una delle istituzioni portanti del paese, e getta discredito sul duro lavoro di migliaia di onesti servitori dello stato.
Dalle informazioni di cui si dispone emerge che la caserma ha ricevuto un encomio speciale per l’elevato numero di arresti effettuati. Dunque il complesso lavoro della gestione della sicurezza dei cittadini di Piacenza è stato “collassato” in un singolo, semplice, parametro e il sistema di valutazione e controllo ha ricevuto una visione completamente falsata della realtà.
Il tema della valutazione delle prestazioni dei dipendenti pubblici è ormai da tempo all’ordine del giorno nel settore dell’università e della ricerca scientifica in Italia e negli altri paesi. Le origini del fenomeno risalgono agli anni Ottanta, caratterizzati dal neoliberismo di Reagan e della Thatcher che ha condotto a una opzione politico-ideologica che si è concretizzata nella Nuova Gestione Pubblica (New Public Management) secondo la quale le strutture pubbliche debbono rifarsi ai principi validi per le aziende private. In questa ubriacatura mercantilistica anche in Italia le università e le scuole pubbliche, come pure i loro dipendenti, sono stati messi in competizione tra loro creando uno pseudo-mercato in cui gli attori devono per definizione perseguire l’eccellenza: dalla collaborazione alla concorrenza.
Se l’azienda è ben gestita si vede dal profitto e il profitto, sancito dal mercato, è di fatto la pietra di paragone per valutarla. Ma come valutare le organizzazioni pubbliche che erogano un insieme di servizi dai molteplici connotati e non hanno un mercato di riferimento? E’ dunque arduo assimilarle alle imprese e, per valutarle, è necessario utilizzare una pluralità di criteri tenendo conto che la loro efficienza e la loro efficacia va misurata in base alle molteplici e talvolta confliggenti esigenze dei cittadini.
Data la complessità del sistema e la difficoltà di costruire indicatori adatti, nel settore dell’università e della ricerca si è finiti a concentrare il processo della valutazione sul numero di pubblicazioni scientifiche (il parallelo, nel caso dei carabinieri di Piacenza, del numero di arresti effettuati). La teoria è la seguente: la ricerca produce nuove conoscenze che vengono diffuse nella comunità scientifica mediante libri ed articoli su riviste. Quindi lavorano bene e vanno valutati positivamente quei ricercatori e quelle istituzioni scientifiche che producono un numero elevato di pubblicazioni, cifra che tuttavia da sola nulla dice sulla loro reale qualità in termini di avanzamento delle conoscenze (di nuovo il parallelo: una pubblicazione può illustrare una scoperta scientifica fondamentale e un’altra fornire informazioni di modesto valore, come l’arresto di Totò Riina non è comparabile con quello del piccolo ladruncolo). Per essere riconosciuto nel proprio lavoro e per fare carriera lo scienziato si è trovato nella condizione di ottimizzare il suo output cartaceo dando luogo al fenomeno chiamato “publish or perish” (pubblica o perisci). In pratica la regola non scritta è stata: vuoi pubblicazioni? Ti do pubblicazioni.
Questo sistema di pseudo-valori ha condotto in pratica non soltanto al diffondersi di pratiche lecite e illecite, volte a inflazionare la produzione di articoli di singoli e di istituzioni, ma soprattutto, a concentrare nel mondo universitario in maniera eccessiva, di fatto esclusiva, l’impegno nella ricerca trascurando l’attività didattica e quella di trasferimento del sapere alla società. Un doppio problema: l’eccessiva enfasi sulla dimensione quantitativa a scapito di quella qualitativa e la rinuncia a governare un sistema complesso ricorrendo a un approccio “unidimensionale”, tipico delle imprese. Di fronte ai danni provocati da questo approccio tecnocratico la comunità scientifica di molti paesi ha reagito ripristinando o introducendo sistemi di valutazione in cui vengono equilibrate le dimensioni quantitativa e qualitativa, in alcuni casi escludendo esplicitamente, quasi per esorcizzarlo, il dato quantitativo delle pubblicazioni. In Italia le pubblicazioni rappresentano ancora l’unico parametro per ottenere l’Abilitazione scientifica nazionale che dà accesso alla carriera universitaria e della ricerca pubblica.
Tornando al caso dei carabinieri, l’immagine va alla figura del mitico maresciallo del paese (che può essere assimilato al docente universitario) che è impegnato non solo a garantire il rispetto della legge, ma a dare il proprio contributo al mantenimento della pace sociale in mille modi, certamente non riconducibili a uno sterile e unico parametro. Nel caso esemplificato magnificamente da film come “Pane amore e fantasia” la bravura del maresciallo impersonato da De Sica consisteva proprio nel non fare arresti. Attribuire al semplice numero di arresti effettuati il valore operativo e sociale del lavoro dei carabinieri è stato, almeno nel caso di Piacenza, un grave errore foriero di conseguenze certamente più gravi di quelle prodotte al settore della conoscenza dall’uso distorto e sostanzialmente esclusivo del numero di pubblicazioni. Sarebbe appropriato aprire una riflessione sui parallelismi tra scienza e sicurezza in un contesto di una esasperata e innaturale concorrenza imposta al settore pubblico che può condurre a gravi danni alla società, inclusa la spinta ad un carrierismo basato su pochi e parziali numeri.
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