Giudizio o valutazione
Quando si parla di giudizio morale si può dire che si usa un termine improprio, anche se siamo abituati, nel linguaggio corrente, pure di ‘addetti ai lavori’, a vedere adoperate in senso estensivo parole non esatte. Il giudizio presuppone un giudice, che può essere umano, togato o semplice arbitro – civile, sportivo, magari di un concorso canoro – o divino, che è, per chi è religioso, ma, forse a sua insaputa, anche per chi non si dichiara tale, un giudice supremo e quindi inappellabile. Pare evidente che quando evochiamo un giudizio morale ci si debba riferire correttamente solo al giudizio divino. In tutte le altre situazioni sarebbe opportuno parlare di valutazione morale. La differenza sembra confinata ad una questione puramente lessicale, ma forse non è così. Il giudizio infatti, salvi i rimedi graduali previsti dalle leggi, è cogente e, alla fine del percorso, appunto, definitivo. Quello divino poi, per sua natura, è cogente e definitivo ad un tempo. La valutazione morale, invece, non ha alcuna conseguenza direttamente e concretamente obbligatoria o punitiva, ma può esercitare una funzione importantissima di convinzione (la spesso ricordata moral suasion), di illuminazione e, in definitiva, di educazione verso il bene. Dunque se vogliamo esprimerci sulla questione delle feste o festini, sul dopo feste e sul saldo di esse e sui collegati all’effetto di tali atti, al massimo possiamo effettuare una valutazione morale. Troppo facile, in questo esercizio, esprimere valutazioni sui fatti per come sono rappresentati dai documenti conosciuti: viene spontaneo un disgusto per una parte, e pena per le altre, senza invidia per la prima o le seconde. Ciò che appare più interessante, in tema di prostituzione, vera o presunta che sia, è porci, ancora una volta ed in termini più o meno retorici, domande non certo nuove, ma sempre valide quando si parli di morale, in generale e nello specifico. Quale prostituzione valutiamo più immorale, quella fisica o quelle intellettuale. E ancora come valutare quella fisica di persone indotte in errore o costrette da una qualche necessità o scarsa dignità, o, per un verso, forzate da una adombrata situazione patologica. Che valutazione morale possiamo attribuire ad una eventuale prostituzione intellettuale di corifei e corifee di alto livello che rinunciano all’onestà intellettuale per difendere posizioni o privilegi, pur non avendone necessità, anzi avendo la forza, sia economica che sociale, per essere autonomi e sottrarsi, volendo, alla regola del coro. Certamente appare più grave, moralmente parlando, questa prostituzione intellettuale. Solo che essa si sottrae facilmente ad ogni considerazione perché si fa scudo di principi, magari citati fuori luogo, si nasconde nelle nebbie dei distinguo, o, comodamente si maschera da libertà di espressione e, quando proprio è messa alle strette, da libertà di coscienza. Ecco, quasi sempre la prostituzione intellettuale resterà impunita – perché priva di giudizio – o immune da valutazioni, fossero ‘solo’ morali, che rimbalzeranno come su un classico muro di gomma, o su persistenti facce di bronzo.
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