Giovanni Cozzi o della fotografia
Ospite più che gradito sulle pagine di Controluce. Squisitamente piacevole ed elegante nel suo essere. Amante delle “belle” espressioni culturali, soprattutto musicali. Continua è la sua ricerca e propria l’intenzione di scoprire sempre il nuovo ed il più. Stiamo scrivendo di Giovanni Cozzi (Roma 1959 e castellano d’adozione). Fotografo sin dalla più giovane età, si distingue negli anni per la sua alta professionalità, l’interpretazione della moda come signorilità, il suo “Nudo Glamour”, l’espressione delle figure femminili come “rinascimentale” raffinatezza. Suo è il sito di riferimento www.giovannicozzi.eu
Partiamo dagli esordi per arrivare ai progetti attuali od in corso di realizzazione?
«L’aneddoto vuole che alla fine degli anni ’70, rientrando una sera dalla facoltà romana di Architettura a Fontanella Borghese, trovassi un piccolo Rolex da donna. Venduto, acquistai le mie prime macchine fotografiche: una Pentax ed una Canon. Senza dimenticare, però, la bellissima figura di mio padre, fotoamatore, come vera e propria educazione sentimentale, il volume “Mosca” del fotoreporter William Klein e tutti gli anni dedicati alla fotografia come lavoro e passione. Avvinto dalla musica rock, suono la chitarra elettrica anche se appieno riconosco il mio essere un ottimo fotografo ma uno scadente musicista. Da poco si è conclusa “La verità è nuda ma sotto la pelle giace l’anatomia”, una mostra alla Galleria capitolina One Piece Art Gallery di Olimpia Orsini in via Margutta che ha accolto due mie opere. Il settimanale Sette dell’8 marzo scorso ha dedicato la sua copertina ad una mia foto dell’attrice Sarah Felberbaum. In preparazione il secondo volume di “Girls don’t cry”, una personale prevista per il prossimo ottobre e un’importante esposizione per il 2013. Ma ci sarà occasione di riparlarne. E poi i tanti premi e gli intensi anni per “Moda”, “King”, “Max” ma non solo…»
Quali sono i tuoi “maestri” o “riferimenti” nei soggetti e nelle tecniche?
«Oltre a mio padre e Klein, Helumt Newton, Ellen von Unwerth e Peter Lindbergh, i fotografi di moda dallo stile “instantanea”. Ciò che li unisce è il non mettere in posa il soggetto o comunque di non farlo vedere.»
Susan Sontag soleva ripetere che «fotografare significa appropriarsi della cosa che si fotografa. Significa stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere». Quali le tue “armi” del mestiere, tra tecniche ed arti?
«Sinceramente sono stato tra gli ultimi a passare al digitale. Ma il risultato finale è sempre la fotografia. La tecnica deve essere sempre quella giusta per conseguire il risultato voluto. E devo dire che con il digitale si ottengono dei veri capolavori. In Italia c’è un forte interesse per la fotografia sia amatoriale che professionale anche se manca una cultura diffusa di questa vera e propria arte. Purtroppo nel nostro paese quando si parla di fotografia, scatta subito l’associazione ai paparazzi o ai matrimoni. Ed è per questo che non si ha conoscenza di veri e propri maestri fotografi contemporanei.»
Il tuo genere viene definito “Nudo Glamour” e si incentra sulle figure o sul corpo femminili. Ma non solo, credo. Perché questa scelta? Penso ad Helmut Newton quando scriveva «il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia»…
«”Nudo Glamour” è una definizione degli anni ’90 per il mio genere che ricercava e studiava, allora, un nudo clamoroso in posture dinamiche. Un contenuto forte, “fashion” che doveva colpire con compiacenza lo spettatore. Ma anche e soprattutto con fascino, forza plastica ed ambiguità. Senza tralasciare il lato spirituale della creazione artistica. Un amalgama, questo, che ha portato il critico d’arte Achille Bonito Oliva a definire le mie ultime immagini in mostra «ambigue e belle». Non è solo il mestiere del corpo. Il mio talento consiste nell’estrapolare l’essere soggetto e la sua storia attraverso lo sguardo, il viso e l’anima. Aiutare le donne a volare. Il che le porta, alfine, ad essere le mie più grandi estimatrici proprio perché si riconoscono e si piacciono nelle mie foto. Dal 2007 ho iniziato un lavoro “Rinascimentale” sul Femminino Sacro ed il suo spirituale (sul mio sito alla voce “Renaissance”). Ed avrei un immenso piacere a poter realizzare questi miei nuovi lavori nelle locations delle Ville Tuscolane la cui valenza fotografica e culturale è di altissimi livelli internazionali. Rimiro sempre come un vero miracolo i giochi che le luci e le ombre possono creare su Villa Aldobrandini o Villa Parisi.»
Di Henri Cartier Bresson «Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore». Dunque sempre sì al fotografare?
«Assolutamente. La fotografia è un’arte giovane. E paradossalmente il suo potere e la sua longevità supereranno quelle del cinema. Dopo anni meravigliosi ed irripetibili del bianco/nero come essenza ed essenziale si è arrivati alla poliedricità del colore. Si andrà poi oltre sino a che l’arte fotografica e la sua tecnologia non diverranno un perfetto tutt’uno dell’espressione.»
* Un sentito ringraziamento va espresso a Fausto Baccelli per la gradita collaborazione
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