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Gennaro Duccilli, il ‘dottore’ del male

Gennaro Duccilli, il ‘dottore’ del male
Aprile 28
16:39 2015

9522-La-Compagnia-risponde-La ricerca sul tema del male nell’uomo sembra congeniale al timbro artistico di Gennaro Duccilli. Dopo la potente ed emozionante messa in scena del Caligola da Albert Camus, l’attore e regista napoletano ha ‘aggredito’ il noto romanzo Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde di R. L. Stevenson. Con la compagnia del “Teatro della Luce e dell’Ombra”, la sua regia e le scene di

Sergio Gotti, ha presentato presso il Teatro Artemisio Gian Maria Volonté di Velletri, il 24 aprile in prima nazionale, Dr. Jekill and Mr. Hyde. È stato un evento che ha lasciato il segno, come accade spesso per i suoi lavori pervasi da intensa creatività; esito tanto più apprezzabile per essersi cimentato in un testo complicato, del quale pochi grandi attori (uno per tutti Carmelo Bene) hanno avuto l’estro e il coraggio di dare una lettura teatrale. Infatti, se la storia del ‘doppio’ nelle sue linee essenziali e da tutti conosciute – o quanto meno ‘orecchiate’ – è piuttosto semplice, non lo è certo lo sviluppo completo della trama con diversi personaggi, tempi e accadimenti. Di più, Duccilli ha voluto arricchire la sua versione con una ambientazione articolata nella Londra di fine ottocento e con diversi spunti simbolici. Ciò genera nello spettatore proprio un effetto doppio – voluto? connaturato? Infatti il primo atto, denso appunto di personaggi e situazioni, può lasciare interdetti; ma quando, nel secondo tempo, il racconto decolla e si chiudono gli anelli e gli agganci, di colore e intellettivi, la sensazione è di completa appropriazione del testo e del suo significato che si dilata in diverse direzioni. Un bel lavoro davvero, registrato in ogni minimo particolare. E a lato della storia principale (il dramma di una persona perbene che diventa assassino) un susseguirsi di ‘invenzioni’ e citazioni – dalla bambina, in apertura e chiusura, che con ‘leggerezza’ sottolinea l’impossibilità per l’uomo di conoscere se stesso, alla citazione ‘disperata’ de «… un cavallo, il mio regno per un cavallo » di Riccardo III, all’ubriaco che grida la sua verità in chiesa, e tante altre – che sono in diversa maniera funzionali all’allargamento del senso dell’opera. Ottima prova di tutta la compagnia (con sorprendente disponibilità a partecipare anche in ruoli apparentemente minori, ma che tali non solo in virtù del significato simbolico) che per forza di cose dobbiamo citare in blocco, con appena qualche eccezione oltre al superlativo Duccilli, nella doppia veste dei … ‘protagonisti’: intendiamo parlare di Paolo Ricchi, un avvocato Utterson perfetto in difficile ruolo di toni e presenza scenica; della bravissima Eleonora Cardei anch’essa ad un tempo salvata e ‘umanizzante’ del dr. Jekill; di Wladimiro Sist che oltre ad un ottimo dottor Lanyon ha interpretato altri ruoli; infine della grazia e disinvoltura della piccola Lucrezia Sist. Detto degli attori, non si può non sottolineare l’importanza ai fini narrativi della ‘architettonica’ scenografia di Sergio Gotti, apparentemente fissa ma mentalmente molto mossa e movimentante. Tre corpi: due uno sull’altro, la casa e la cantina-caverna, dove si svolgono la vita buona o quella sordida; da un lato il laboratorio, con doppio ingresso e uscita, dal quale si muovono mostri o rispettabili professionisti; e quindi una scala centrale nella quale l’umanità si mescola e si propone con le sue molte facce. In aggiunta il Maestro è intervenuto in un indovinato cameo di una sorta di Diogene-minatore che inizialmente cerca l’uomo, ma alla fine depone il suo lumino a ‘commemorazione’. A questo punto potrebbe bastare (de hoc satis?) eppure sembra quasi necessario soffermarsi ancora sulla evidente passione teatrale dell’regista-autore, che ha confezionato almeno quattro finali validi (uno dei quali con scontro tra velocipedi, evocativo forse del conflitto-connivenza tra scienza e progresso umano) prima di affidarsi agli applausi affettuosi, convinti e prolungati di un teatro senza un posto libero.

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