Frascati. La vigna dei Gesuiti, poi Viti, Borsari, Sorgi e Santovetti
(seconda parte)
Come si è scritto in precedenza, la cosiddetta ‘vigna Borsari’, non era affatto una casa di villeggiatura dei gesuiti. Le prove? Ci vengono dagli stessi gesuiti. Infatti già nel 1560, il Polanco in una sua lettera scriveva che, “a Frascati…per essere più vicina (di Tivoli e Amelia) si è inviata più gente questa estate a rimettersi in salute e in breve tempo han recuperato salute e forze…” e (1564), “si è già in Frascati e Tivoli fabricato e fatto stanze per potere stare comodamente parecchi”. Nel 1568 scriveva riguardo i “miglioramenti della casa a comodo di quei che là risiedono e dei malaticci che molto spesso si inviano da Roma per l’aria buona e amenità”; alludeva con la ‘casa’, ovviamente al collegio in Frascati, come specifica anche nel 1572 quando affermerà: “il luogo adunque della villeggiatura era distinto dalla vigna dove talvolta si andava a far colatione”. Per ‘luogo’ intendeva chiaramente il Collegio al centro di Frascati. E nel 1578, il padre provinciale riguardo a quelli che venivano da Roma per ricreazione ammoniva: “…quando gli studenti vanno alle vigne, avvertiscano di non far disordini in cogliere frutti et il ministro dia carico ad uno che dia a loro quella portione che parerà convenire per far collatione di detti frutti”. Padre Borgia e p. Acquaviva soggiornarono per qualche tempo nella casa (collegio) di Frascati.
Quindi la vigna aveva la funzione, oltre che ovviamente per la produzione di uva e frutta, anche di consentire sporadiche passeggiate degli studenti gesuiti di Roma soprattutto in tempo di vacanza. E qui possiamo fare una piccola digressione ricordando come anche gli studenti collegiali di Villa Sora quasi quattro secoli dopo, soprattutto negli anni ‘50/’60 del Novecento, venivano accompagnati per le vigne di Frascati per la cosiddetta ‘passeggiata dell’uva”! Nella visita pastorale dell’arcivescovo Severoli, si rileva che i gesuiti habent vineam sed fructus trasmittunt ad Romam ad Collegium Romanum, eccetto la piccola porzione per l’utilità dei Padri (di Frascati).
Si è già descritto il periodo che va dalla fine del ‘600 a tutto il 1700. Quando i gesuiti comprarono la Villa Rufinella, certamente, a partire dal 1740 i loro studenti, da Roma, venivano alloggiati per le vacanze in questa nuova dimora gesuitica. E’ probabilmente a fine ‘700 che intanto, dopo il Viti, anche il Borsari nella vigna ormai di sua proprietà, avrebbe ingrandito la casa che serviva per l’alloggio-ricovero dei vignaroli che vi lavoravano. Nel 1800, nella Vinea Borsari, vi troviamo Tommaso Polinesi di 74 anni, Giustina Antonelli di 69, Domenico di 29, Giacomo di 27, Annunziata di 22; Nicola Polinesi di 31 e M. Anna Muzio di 27 (evidentemente figlio e nuora di Tommaso e Giustina). E’ comunque da confutare quanto ha scritto nel 1983, Romano Mergè nel suo ‘Frascati sconosciuta’, allorché afferma che i Gesuiti abbiano ‘venduto’ la tenuta alla Camera Apostolica. Invece la Camera Apostolica la ‘incamerò’ (1773-74) perché ci fu la ‘soppressione’ dell’ordine gesuita. E così va anche confutato Dandini che, nel suo ‘Frascati nelle sue strade’(p.45) afferma che l’avv.to Borsari avrebbe acquistato il fondo dalla Camera apostolica già nel 1755! Cioè quando ancora la RCA non l’aveva ‘requisita!
Nel 1807 la vigna passa ad un nuovo proprietario. Infatti nello ‘Status animarum’ di quell’anno si rileva la vinea Borzani nunc (ora) Mignoli, con la presenza dei ‘contadini’ Nicola di Antonio di 25 anni, Francesca Cacciani di 20, Vincenzo Cacciani di 25, Angela de Laurenti 25. Ora vi risiedevano agricoltori frascatani e non erano più lavoranti stagionali. L’appartenenza al Mignoli risulta almeno fino al 1818. Non è noto chi sia Mignoli. Probabilmente è alla fine del ‘700 o agli inizi dell’800 che la casa ove alloggiavano i contadini della vigna viene allargata e soprattutto ‘allungata’. E quindi diventa il ‘casale’.
Una annotazione importante è quella che si riscontra nella visita pastorale del cardinal Bartolomeo Pacca del 1819-1821, quando i visitatori si portano al Sacello Borsari ora Viti in vinae aedibus construito (è la prima volta che si accenna a una sorta di altare-cappella forse di recente costruzione nella vigna, passata ad un certo Viti che ne avrebbe fatta una ‘casa di villeggiatura’. Di solito con ‘sacello’ si indicava un altare votivo o una cappella, ma il fatto che il cardinale non ne rilevi dediche particolari né immagini sacre, non doveva essere molto significativo. Ma i gesuiti non possedevano più quella vigna dal 1772. Il card. De Gregorio pur visitando nel 1830 tutte le cappelle rurali del territorio frascatano, non ne cita mai una nella tenuta Borsari.
Come si può notare da questo excursus, il fondo ‘Borsari’ viene sempre chiamato ‘vigna’ e quindi non poteva essere, né è stato mai, una residenza di villeggiatura per i gesuiti, tanto più che all’epoca, per ritemprarsi da acciacchi vari, alcuni gesuiti venivano a Frascati temporaneamente, ma nella Residenza dell’attuale piazza del Gesù!
Riguardo il ‘passaggio’ di questa vigna-tenuta alla famiglia Santovetti, si trova un certo riferimento alla fine dell’800. Clara Wells, in quel secolo noto ancora per i ‘viaggi in Italia’ di molti letterati esteri, nel suo libro, “I Colli Albani, Frascati” (1878), descrive dettagliatamente la città tuscolana e i suoi vari siti e persino alcuni reperti archeologici allora esistenti. Scriveva dunque la Wells: “(…) Ritornando sulla strada abbiamo ora sulla sinistra Colle Pizzuto, una bassa collina anch’essa piena di rovine, che si eleva dalla valle chiamata con lo stesso nome. Una moderna pietra di confine su un lato è segnata con le lettere RCA e arrivando infine alla campagna, dove il piccolo sentiero si divide in tre (quello a destra porta alla macchia, quello di fronte a Torre Nova, quello a sinistra a San Matteo) c’è un’altra pietra segnata allo stesso modo (…). Sul pendio opposto a noi la vigna e il casale di San Matteo. Salendo ed entrando dal cancello…la casa appartiene al Signor Razzi (o Razza?) di Frascati, è costruita sopra fondamenta antiche (…). Una parte della casa è caduta e sul lato opposto ci sono i resti di un forno, un tempo una panetteria gratuita (…), sebbene la maggior parte di questa abbandonata masseria potrebbe essere medievale, o ancora più moderna (…). Il Nibby afferma che San Matteo apparteneva ai Gavotti, mentre il card Della Somaglia già nel 1815, aveva rilevato che la chiesa rurale in Campo vecchio, “una volta della nobile famiglia Gavotti ora del sig. Vincenzo Onelli”, era dedicata a S. Eurosia. Santa Eurosia era protettrice dei raccolti e due affreschi che ne rappresentano il martirio si vedono in Cattedrale, nella cappella di S. Isidoro edificata dall’Ars Agraria-‘Università dei Boattieri’ (1753).
Riprendiamo il racconto della Wells: “alcuni ragazzi ci assicurano che nessuno osa dormire qui la notte…per paura della febbre, ma anche durante il giorno …per non sottostare ai pesanti sonnolenti effetti dell’aria” (…). Sappiamo come parte di quella zona fosse malsana, tanto che nel 1837, poco distante, (al Gargacciolo o Caricacciolo), vi erano stati sepolti una sessantina di frascatani morti per il colera e non i ‘pochi’ di cui parlano fonti poco informate! Prosegue ancora la Wells: “Poi ci mostrano l’uscita da un cancello e uno stretto sentiero che alla fine ci porta alla strada per Roma, vicino al cancello su cui ci sono le lettere FS [Francesco Sorgi]. Il cancello di ferro, così contrassegnato è l’entrata della proprietà Santovetti chiamata familiarmente Borzano. La Wells ci informa che “il signor Santovetti sposò una dopo l’altra le due figlie del sig. Sorgi, il precedente proprietario, ed essi ereditarono la proprietà” (…) “Nel Bollettino dell’Istituto di Corrispondenza archeologica, vi è il resoconto di alcune sculture trovate nel ‘podere dei Borzari’ e allora in possesso del Signor Santovetti”. La Wells rileva anche che, “camminando ancora per le vigne, una stradina conduce a una piccola casa chiamata l’Antico Molino per un frantoio che c’era un tempo ma ora passato a Borzano”.
In questa lunga citazione della scrittrice americana non si trovano mai cenni sui gesuiti o ad una loro casa estiva se non quel vago riferimento alla sigla RCA (che la Wells comunque mostra di non sapere che fosse riferimento alla Camera Apostolica).
La data in cui la tenuta viene trasferita da Viti (?) a Sorgi non è nota ma da questi passò ad Antonio Santovetti dopo la morte di Sorgi (1855) di cui Santovetti aveva sposato la prima figlia. Da alcune mie ulteriori ricerche si può sicuramente identificare il Sorgi (o anche Sorci), con Francesco Sorgi, morto a Frascati il 17 giugno del 1855 a 70 anni. Personaggio facoltoso, ai suoi funerali parteciparono anche ordini religiosi e confraternite. La sua famiglia era originaria dell’Abruzzo (allora Regno Napoletano). Di lui si trova anche una lapide in cattedrale fatta apporre dalla moglie, Giuseppina Graziani e dalla figlia Luisa Santovetti, che ricordano come, “Francesco Sorgi, figlio di Leonardo, nativo di Pescina de’ Marsi; uomo di provata onestà; aumentati, industriandosi, i suoi beni, anche in morte fu generoso con i poveri”. Di lato, sullo stesso pilastro, si trova anche la lapide che ricorda l’altra figlia del Sorgi, morta giovane: “Maria Giustina, figlia di Francesco Sorgi e Giuseppa Graziani, nativa di Frascati, sposa di Antonio Santovetti, algidense (Vivaro?), (…) fu esemplare per la pietà verso Dio… morì il 20 maggio 1848, non avendo ancora superato i 25 anni”. In cattedrale, fatta affiggere dall’altra sorella Luisa, ci sarà – nel pilastro a fronte – anche la lapide (e il ritratto) “all’amorevole madre, Giuseppa Graziani tuscolana, moglie di Francesco Sorgi che visse 68 anni; pia frugale compassionevole morì il 5 settembre dell’anno 1864”. Da notare che lo stemma sulla lapide della famiglia Graziani, lo si trova anche sui pilastrini delle balaustre della cappella di San Giuseppe che, insieme col pavimento, furono rinnovate con il contributo dei Graziani. Il matrimonio di Maria Giustina con Antonio Santovetti (figlio di ‘don’ Filippo di Rocca di Papa) era stato celebrato il 16 ottobre del 1843, nell’Oratorio di S. Filippo Neri (già vicino all’attuale Scuola comunale di Frascati). Rimasto vedovo di M. Giustina, Antonio si risposò con la sorella, Luisa Sorci (Sorgi), il 24 ottobre 1848, nella Chiesa del Gesù ‘annessa al Seminario.’ (Ora, se ci fosse stata una cappella nella vigna ex ‘Borsari’ perché non celebrare colà le nozze?).
In quanto al libro della Wells, al termine della sua visita nella ex ‘vigna Borsari’, la scrittrice confida che fu invitata “dentro il casale del gentile fattore” [Santovetti] arrivando in un “salone completamente affrescato” con personaggi dell’antichità. Forse era stato costruito o ampliato (quasi sicuramente dal Viti) il casale o ‘sacello’ alla fine del ‘700 o poco più tardi. Ma è perlomeno strano che, nonostante le particolari notizie che ci tramanda su quelle zone di campagna, la Wells non abbia mai fatto cenno alle referenze … ’gesuitiche’ del luogo! E solo dieci anni dopo (nel 1888), Luisa Sorgi-Santovetti, ormai vedova anche lei e divenuta unica proprietaria della ex tenuta Borsari, ebbe ad apporre una lapide in onore dei due gesuiti Luigi Gonzaga e Giovanni Berchmans, dopo aver ampliata ‘l’antica cappella’ [il ‘sacello’ cui si è accennato?] in onore dei celesti patroni”. Berchmans fu proclamato santo proprio nel 1888. Ma i due ‘santi, nonché i Borgia e Bellarmino, sicuramente non avevano affatto villeggiato nella vigna, bensì erano solo ‘transitati’ per il Collegio di Frascati e nella vigna tutt’al più si può supporre che avessero fatto qualche rara passeggiata. Seghetti, che in quel torno di tempo scriveva il ‘suo’ libro storico (Memorie storiche di Tuscolo antico e nuovo, 1891) affermava che “S. Francesco Borgia ebbe la sua stanzuccia dietro l’altare di S. Gregorio Magno nella chiesa del Gesù, S. Luigi Gonzaga fu al tenimento Borsari, or Santovetti e, a cura di mons. Santovetti [Francesco], una cappella or verrà eretta nel luogo ‘abitato’ dal santo”! E qui dobbiamo sottolineare anche una incongruenza, perché mentre la Luisa Sorgi-Santovetti sulla lapide del 1888 faceva scrivere che aveva ampliato l’antica cappella, Seghetti (nel 1891!) scrive: “una cappella or verrà eretta”…
La ‘storia’ di una presenza di S. Luigi (e di G. Berchmans) si diffonde quindi dopo la metà dell’800. La riprese nel 1901, Felice Grossi Gondi, che, senza citare documenti in merito, scrive che “in questo torno di tempo [cioè già intorno al 1540-50; ma i gesuiti erano venuti a Frascati solo nel 1559!], fu acquistata in Frascati sulla via Romana, in luogo detto Prete Liscie, una vigna dal novello Ordine dei gesuiti, per villeggiatura dei suoi giovani studenti. La qual vigna o villa che sia [ma la differenza è notevole!] ebbe poi l’onore di ospitare, fra gli altri, San Luigi Gonzaga e San Giovanni Berchmans”. E qui si limita il Grossi Gondi.
- Mergè, nel suo libro ‘Frascati sconosciuta’ (1983,) ripete la ‘storia’ che il fondo fosse stato “utilizzato dai Gesuiti come luogo di villeggiatura e vi dimorarono S. Luigi, S. Francesco Borgia, S. Giovanni Berchman, il card. Bellarmino e [addirittura] il re Casimiro di Polonia oltre al beato Acquaviva”! Casimiro (Giovanni Casimiro) non fu mai prete, ma ebbe il titolo di cardinale, poi la dispensa per sposare in Polonia la vedova del fratello (Maria Luisa di Gonzaga); mentre il ‘beato Acquaviva’, studiò a Roma, poi dal 1577 fu missionario a Goa dove morì! San Luigi morì nel 1591, mentre San Giovanni Berchmans (belga, nato nel 1599, venuto a Roma nel 1619, morì nel 1621, dopo che per due anni fu studente, sempre gravemente ammalato, nel Collegio Romano, cioè l’Università Gregoriana, fondata nel 1551). Il processo di beatificazione di san Luigi fu bloccato nel 1773 per la soppressione dei gesuiti e ripreso solo nel 1814. La tenuta ‘Borsari’, successivamente – come giustamente afferma la Wells – passerà a mons. Francesco Santovetti. Diversi anni dopo, nel 1927, in un foglio volante dell’archivio diocesano si affermava che, “dal N.H. Petrucci di Lentuli si domanda la facoltà di celebrare una messa a ‘Castel Borsari’ ove alloggiarono S. Luigi e S. Giovanni Berchmans”. Non è dato sapere chi fosse il Nobil Homo (NH) Petrucci e tantomeno sul presunto alloggio dei due ‘santi’! Ora in quegli anni ’20, proprio le illazioni su una casa di villeggiatura nella tenuta Borsari, fecero stilare alla curia diocesana un succinto ma preciso appunto di smentite in cui si inseriva anche la storia del seminario tuscolano.
In quanto alla Villa Rufinella, dopo il passaggio alla RCA e dopo quello dei francesi nel 1796-98, e degli austriaci, nel 1804 venne acquistata da Luciano Bonaparte (che saccheggiò tanti reperti tuscolani) e poi lasciata nel 1820. Nella visita del card. Castiglioni il 19 dicembre del 1823 (pp.252-53) non si fa una precisa descrizione del luogo e della cappella che definisce “oratorio pubblico in Villa dicta la Rufinella”, passata al regno sabaudo come risulta anche dalla Visita pastorale del card. De Gregorio nel 1830 (De sacello Villae Tusculanae alias Rufinella) “prima appartenente ai PP. Gesuiti ed ora al Regno sabaudo”; e, riguardo alla cappella o oratorio, si rileva “l’altare di San Luigi decorato con diversi ornati”. Nel 1872, la villa fu acquistata da Elisabetta Aldobrandini Lancellotti. Nell’edificio – bombardato l’8 settembre del 1943 ma non distrutto, – vi furono ‘alloggiati’ fino agli inizi degli anni ’60 molti sfollati, che contribuirono al ‘saccheggio’ degli importanti arredi rimasti. In una relazione della curia diocesana, si può leggere che vi risiedevano “52 famiglie di sfollati, sinistrati, sfrattati; la maggior parte sono in cattive condizioni economiche, non mancano però dei profittatori”. Nel 1966, la Villa fu acquistata e restaurata dai Salesiani per un miliardo di lire, per poi lasciarla venti anni dopo. Nel giardino vi si trova un ‘busto’ marmoreo di S. Giovanni Bosco, mentre sarebbe stato più appropriato collocarvi qualche ricordo dei ‘santi’ gesuiti! I gesuiti della provincia di Roma – ormai non più proprietari di terreni a Frascati – compreranno tra la fine del ‘700 e gli inizi dell‘800 alcune vigne e proprietà in comune di Monte Porzio, e soprattutto nel 1865, la Villa Mondragone in cui aprirono il ‘Nobil Collegio Mondragone’, dove studiarono seminaristi gesuiti e anche i figli di famiglie facoltose, fino al 1953; e ancora, nel 1934 la Villa Vecchia (già ‘Angelina’ e ‘Tuscolana’) in cui aprirono il Seminario ‘San Luigi Gonzaga’, poi dopo la guerra rinominato ‘San Francesco Saverio’, lasciando la casa nel 1964 alle Suore Missionarie di Nostra Signora d’Africa. Infine, acquistarono la anche Villa Cavalletti (a Grottaferrata), per i loro consigli generali, diventata ora proprietà privata dopo che, negli anni ’90, appartenne ad una associazione di preti tedeschi (Comunità Cattolica d’Integrazione-Katolische Integrierte Gemeinde), seguita dal card. Ratzinger, ma sciolta nel 2020.
Concludendo: amicus Plato, sed magis amica veritas.
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