Frammenti di storia in un dipinto ispano-fiammingo – 2
Un piccolo dipinto raffigurante la “mistica del nord” riaccende la memoria dell’antica chiesa dedicata a santa Brigida di Svezia che un tempo sorgeva a Monte Compatri
Scipione Borghese, instancabile viaggiatore passato alla storia per aver vinto la Pechino-Parigi nel 1907, visse per molti anni ad Artena, non lontano da quello che era un tempo lo Status Borghesianum e dalla chiesa ricostruita dal suo illustre antenato in Monte Compatri, sulle rovine di quella pre-esistente. Benché la data di costruzione dell’antica chiesa non sia nota (Mirco Buffi, Monte Compatri e i monticiani, Photo Club Controluce, Monte Compatri 2000), è possibile che fosse stata eretta per volontà di Tebaldo Annibaldi, “vir magnificus de Montecompatro” (Padre Casimiro da Roma, Memorie storiche della chiesa e convento dell’Ara Coeli in Roma, Roma 1969, p. 271) dopo il 7 ottobre 1391, data in cui papa Bonifacio IX canonizzò Brigida di Svezia (Finstad, 3 giugno 1303 – Roma, 23 luglio 1373). La canonizzazione di una figura controversa, che aveva contribuito al ritorno dei papi da Avignone e suscitava grande fervore religioso sul finire del Trecento, potrebbe giustificare la scelta di un committente che, dal 1377 al 1404, seppe mantenere la proprietà di un feudo aspramente conteso assicurandosi il favore di ben due pontefici legati alla “mistica del nord”. Alla morte di Tebaldo Annibaldi, di cui “fui cactus exequias in S.M. in Transtiberimus que ad Sanctam Mariam in Ara Coeli et fuerunt omnes parochiae Urbis” (Archivio Colonna III, BB XXXIV , 47), il possedimento fu spartito fra tre eredi (Giuseppe Ciaffei, Monte Compatri, Centro Studi Storici del Lazio, Monte Compatri 2000) e l’unità feudale fu ristabilita solo nel 1423 da Lorenzo Colonna (fratello di papa Martino V), cui succedette il cardinale Prospero Colonna, il quale mantenne la proprietà fino al 1436; il casato s’insediò nuovamente nel 1450 per poi rimanervi fino al 1501 e, a vicende alterne, dal 1503 al 1574 (ibid.). Difficilmente però i Colonna, legati al Regno di Napoli e alla corona spagnola, avrebbero dedicato una chiesa a una santa “recente”, che per di più era stata supportata dagli Orsini, loro acerrimi nemici, impadronitisi di Monte Compatri per breve tempo, nel 1484: Latino Orsini aveva infatti appoggiato Brigida di Svezia consegnando a Gregorio XI una lettera in cui la religiosa lo pregava di riportare il papato a Roma; prima ancora Nicola Orsini, governatore papale a Perugia, le aveva offerto il suo aiuto rivedendo il testo della Regula Sanctissimi Salvatoris – scritta in un latino antiquato anziché nel latino colto in uso nelle alte sfere ecclesiastiche – per ottenerne l’approvazione da Urbano V (concessa nell’agosto 1370), dal quale Nicola stesso l’accompagnò insieme ad Alfonso Pecha de Vadaterra (ca. 1330-1388), già vescovo di Jaén in Andalusia, confessore e ordinatore delle rivelazioni di Brigida, e in seguito promotore della causa di canonizzazione. Appare quindi più probabile che l’antica chiesa di Monte Compatri sia stata costruita o perlomeno dedicata a Brigida di Svezia prima dell’arrivo dei Colonna. Meglio ancora: prima della morte di Tebaldo Annibaldi, ma dopo la canonizzazione della Santa, cioè fra il 1391 e il 1404, salvo successivi “restauri”.
Nondimeno, per quanto concerne il piccolo olio su rame raffigurante Santa Brigida di Svezia in preghiera, la ripresa di modelli stilistici propri dei “primitivi fiamminghi” in una pittura più cupa e materica, seppure brillante, sembra proprio dichiarare e riflettere in più di un dettaglio lo straordinario intreccio culturale tra Fiandra, Spagna e Italia che si concretizzava nel periodo compreso fra l’ultimo quarto del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, di cui Monte Compatri è, in un certo senso, esemplare testimonianza. In considerazione della provenienza del dipinto testé accertata indiziariamente e delle evidenze stilistiche sin qui accennate, ma che saranno rilevate e discusse più dettagliatamente nei paragrafi seguenti, è pensabile che l’autore dell’opera sia da ricercare proprio fra i pittori ispano-fiamminghi attivi in Italia fra il 1485 e i primi decenni del Cinquecento (Licia Collobi Ragghianti, Dipinti fiamminghi in Italia (1420-1570), Calderini, 1990). Oltre alla combinazione di naturalismo e intenso sentimento religioso, elemento tipico dello stile ispano-fiammingo (Santiago Alcolea Blanch et al., La pintura gótica hispanoflamenca: Bartolomé Bermejo y su época, Museo Nacional de Arte de Catalunya e Museo de Bellas Artes de Bilbao, Barcelona e Bilbao 2003), si rilevano in questo singolare dipinto alcuni elementi, inclusa l’iconografia, che ne suggeriscono la realizzazione in ambito romano proprio per mano di un artista il cui linguaggio formale riflette una cultura ibrida ed è pertanto connotato da siffatte contaminazioni. Un autore che per di più, come accennavamo poc’anzi avviando questo contributo, pare proprio aver conoscenza diretta del luogo.
L’iconografia del dipinto richiede immediato approfondimento nella misura in cui essa è, a suo modo, inconsueta e viene altresì a confermare quanto sin qui detto. L’inequivocabile e tuttavia non troppo esplicita identità della monaca, che indossa l’abito cinerino del Crocifisso della Verna, ma non il copricapo delle brigidine (simbolo delle piaghe di Cristo), apre a una duplice riflessione: da un lato circa la raffigurazione della Santa in età relativamente giovanile, prima sia della canonizzazione che della creazione dell’Ordine, dall’altro lato in merito alla sua stessa vita, di cui, a tutta evidenza, si ha una conoscenza puntuale. In ogni caso, tale identità è suggerita dal libro delle orazioni, un attributo meno emblematico e per questo integrato dalle iscrizioni in oro sul pannello dell’altare: “IHS” e “S. BRIGIDA ORAT”. La rappresentazione, inoltre, si discosta dalle consuete immagini trecentesche anche per altri elementi. Principalmente in quanto la Santa non è raffigurata in procinto di scrivere le rivelazioni, eventualmente alla presenza di un angelo, bensì in preghiera dinanzi a Gesù sulla croce. La spiritualità della religiosa fondatrice dell’Ordine del SS Salvatore, in effetti, era incentrata sul mistero della passione di Cristo, ma l’iconografia del SS Salvatore è quella del Gesù della trasfigurazione, non della crocifissione, dunque come si spiega l’insolita, se non incongruente, soluzione figurativa? Essa si spiega solo alla luce del fatto che Brigida di Svezia era solita pregare dinanzi al crocifisso ligneo a grandezza naturale che si trovava un tempo in San Lorenzo in Panisperna a Roma (fig. 2): un particolare non di pubblico dominio ma riportato negli scritti di Alfonso Pecha de Vadaterra, promotore della causa di canonizzazione di Brigida. L’immagine di Cristo sulla croce non è quindi interpretabile come una variante iconografica del mistero del SS Salvatore: si tratta invece di un elemento narrativo legato a un dato, per così dire, “reale”, una citazione biografica. (Continua)
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