Frammenti di storia in un dipinto ispano-fiammingo – 1
Un piccolo dipinto raffigurante la “mistica del nord” riaccende la memoria dell’antica chiesa dedicata a santa Brigida di Svezia che un tempo sorgeva a Monte Compatri Santa Brigida di Svezia in preghiera, questo piccolo quadro di devozione oggi in collezione privata, proviene dalla raccolta di oggetti personali e opere d’arte della collezione di famiglia che il principe Scipione Borghese (Migliarino di Pisa, 1871 – Firenze, 1927) portò con sé a Firenze dopo essersi sposato in seconde nozze, il 2 agosto 1926.
Ripercorrendo le vicende dei Borghese, è stato possibile ricostruire almeno in parte la storia di questo dipinto e scoprirne il legame con l’antico feudo di Monte Compatri, ovvero le sue origini, e a seguito di ciò si è potuto cogliere la valenza del soggetto, per di più svelando un aspetto poco noto della vita della “mistica del nord”: un particolare di cui l’autore era a conoscenza, forse grazie a un accesso privilegiato alle fonti o semplicemente perché il tempo dell’oblio di questa figura non era ancora giunto. Per arrivare in ultimo a identificare perlomeno la cultura artistica dell’ignoto autore, che comunque parrebbe aver avuto conoscenza diretta di Monte Compatri, e dare al contempo un qualche contributo conoscitivo sul conto delle intrecciate vicende del luogo e dell’iconografia.
Nella storia di Monte Compatri e della sua antica chiesa un tempo dedicata a santa Brigida di Svezia, i Borghese compaiono solo a partire dal 1613, quando il cardinal Scipione Borghese (1576-1633) rilevò da Gian Angelo Altemps la proprietà dello Status Tusculanus che comprendeva, oltre all’antico feudo trasformato in principato da papa Paolo V, al secolo Camillo Borghese (1605-1621), anche villa Mondragone in Frascati e la tenuta di Monteporzio. In quell’anno erano già iniziati i lavori di ricostruzione dell’antica chiesa, originariamente attigua al castello, sulla base di un progetto che fu presto modificato e ampliato per ordine del Cardinale, che la volle dedicare all’Assunta e non più a Brigida di Svezia. È possibile che nel 1628, completata la “nuova chiesa”, se non già prima, il dipinto raffigurante la santa il cui ordine era da tempo in declino sia stato destinato dal Cardinal nipote ad altro e più privato luogo di preghiera, con ogni probabilità in Villa Taverna, acquistata nel 1614. Dato il disinteresse di un discendente del cardinale che riprendeva il nome dell’avo, Camillo Borghese (1775-1832), per questa residenza, alcune delle summenzionate opere, ma non Santa Brigida di Svezia in preghiera, furono prelevate e trasferite a Roma nel 1810 (“Nota de’ Quadri tratti dalla Villa Taverna e portati alla Galleria di Roma”, Città del Vaticano, ASV, Archivio Borghese, n. 7 Inventarj). Nel 1814, il Principe dovette rinunciare ai diritti giurisdizionali sui suoi feudi pur conservandone i titoli e i beni, che nel 1832 passarono per successione al fratello Francesco (1776-1839), principe Aldobrandini, nonché nuovo principe Borghese e duca Salviati. In quello stesso anno il suo primogenito, Marcantonio V (Parigi 1814-Frascati 1866), commissionò all’architetto Canina i restauri di Villa Mondragone per rimediare almeno in parte ai danni causati dal sisma del 1806, dagli insediamenti delle truppe austriache nel 1821 e 1828, e infine dall’incuria dello zio, frattanto passato a miglior vita. Mondragone, tuttavia, non tornò mai più all’antico splendore ma fu ceduta ai Padri Gesuiti solo alla morte del principe Marcantonio V, il quale aveva provveduto a far eseguire nuove decorazioni pure in Villa Taverna, anch’essa venduta nel 1866. Con la scomparsa di Marcantonio il titolo di Principe Borghese passò quindi al primogenito, Don Paolo (Roma, 1845 – Venezia, 1920), al quale spettavano in eredità dieci ventesimi del valore delle collezioni di famiglia vincolate dal fidecommisso (rinnovato da Francesco Borghese nel 1833), più un decimo della restante porzione lasciata in parti uguali ai dieci figli.
Don Paolo non si rivelò certo oculato amministratore del patrimonio di famiglia: nel 1895, il suo primogenito, Scipione Borghese, sposò la giovane duchessa Annamaria de Ferrari (1874-1924) e per l’occasione ricevette in dono dal padre la quinta parte degli undici ventesimi di quota ereditaria sulle collezioni artistiche conservate nella Galleria e in Palazzo Borghese in Roma e nel principale Casino della Villa fuori Porta Pinciana, collezioni che però erano indivisibili e inalienabili ai sensi della legge n. 286 del 1871, poiché non si erano ancora concluse le trattative per la risoluzione del fidecommisso. Per di più, alla firma dell'”Istromento 19 Agosto 1899, atti Buttaoni per la vendita delle collezioni artistiche al governo Italiano” (Città del Vaticano, ASV, Archivio Borghese, 351, fasc. 21), Scipione Borghese dovette rinunciare al “dono di nozze” del padre in favore di coloro verso i quali quest’ultimo aveva contratto debiti garantiti da pegno. Delle opere d’arte un tempo conservate nelle ville suburbane o in altre residenze dei Borghese ed escluse dalla summenzionata transazione, al principe Scipione pervennero solo quelle sopravvissute alla prodigalità di Don Paolo. Santa Brigida di Svezia in preghiera, faceva evidentemente parte di questo ensemble, poiché non compare nell'”Inventario de’ quadri facenti parte del Fidecommisso” del 1834 (“Galleria de’ Quadri, Nota dell’Iscrizione ipotecaria”, Città del Vaticano, ASV, Archivio Borghese, Busta 346, n.14) né nella “Descrizione a Stampa de’ Quadri Fidecommissari e Liberi esistenti nella Galleria dell’Ecc.ma Casa Borghese nel 31 dicembre 1859” (Città del Vaticano, ASV, Archivio Borghese, Vol. 8504). Con ogni probabilità il dipinto rimase a Frascati, dove morì Marcantonio V, fino al 1866 e, dopo la vendita delle ville suburbane, fu portato nella nuova dimora del principe Paolo Borghese, convogliato a nozze con la principessa Graefin Helene de Nagy Appony (Venezia, 1848-1914) nello stesso anno. Figurando quest’ultima fra gli aventi diritto al pagamento da parte dello Stato Italiano (nella misura di lire 177.500) quale creditrice e co-cessionaria delle quote di eredità del marito sulle collezioni Borghese cedute allo Stato italiano nel 1890 (“Istromento 19 Agosto 1899 atti Buttaoni per la vendita delle collezioni artistiche al governo Italiano”, Città del Vaticano, ASV, Archivio Borghese, 351, fasc. 21), si intuisce facilmente come il dipinto in oggetto, così come il ritratto di Marcantonio V e altri cimeli della famiglia Borghese, siano passati al principe Scipione anziché essere venduti per necessità da Don Paolo.
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