“Fragilità indistruttibili”, di Chiara Montenero
Ossimoro a partire dal titolo ma, nel caso dell’autrice, come spunto e strumento per guardare altrove, attraverso il quale è stata operata una personale ricerca, tanto nello stile quanto nei contenuti. Ritmo di sovrapposizione e dilatazione, non necessariamente vincolato ad opposti sensi. L’assenza e compresenza di pensieri è un incedere tra pause di “orme zigzaganti”, qualcosa che si fa sintesi nella “certezza del dubbio” sul “dubbio della certezza”, poiché una “sciarpa di seta bianca” scandisce l’appuntamento verso un “tempo scaduto”. “Collo inamidato dal cappio dell’eterno?”. Il “materasso”, “testimone” di “peccato”, è sì fatto a “specchio e misura” di “bara”. Eros e Thanathos, aggregazione e destrutturazione dell’essere sulla traiettoria culla-letto-sarcofago. Scorrono “attimi d’amore” “nudi sul marciapiede nudo affollato di pioggia”, per restare “fedele all’odore del tuo deodorante”, quello della memoria sedimentata, “lo stesso di ieri senza la mia lontananza”. Vengono constatati “pensieri scotti scolati nel piatto” sino ad affondare tra le pieghe di residui del nulla, il “ritorno da te/senza ritorno”, “il mio ieri di adesso”. “L’amore ha un tempo imprecisato di durata./ E’ mutevole e volubile,/nasce e si ostina qua e là./Ma quando è ben radicato qua e là,/si annoia e fa le valigie./Cambia quartiere e non si volta più indietro”. L’amore semplicemente muore per rinascere altrove, quel che resta, nel frattempo, è memoria del defunto. Attraverso lo specchio dell’altro, o piuttosto della rispettiva “solitudine”, del “silenzio”, si collocano ciglia scrigno di lacrime, pronte ad accogliere un microcosmo di luce nel buio, perché la notte, comunque, è il luogo preposto ad accogliere la luce. Fratello sole “svestito e sbarbato/seduto sulla sponda del mio buio”. Eco ed effetti climax generano loop anaforici negli esiti più sperimentali, talvolta giocosi, destrutturati nel caos semantico di “schegge impazzite”, “all’angolo del mio punto interrogativo” di “lettere scelte dall’alfabeto delle emozioni”. “Corro/sui tasti/inseguo/le parole”, con un “sorriso incrostato di lacrime di colla”, tra “tasti appiccicosi/di saliva d’inchiostro” sono taluni versi che demarcano più peculiari punti estetico-dissociativi col modernismo. Affiorano persino tensioni esistenziali parallele, sino a percepire che “stanotte è ancora mattina nei miei denti affollati di briciole”, brulichio di germi intenti all’opra nella metropoli batterica, per poi decretare la notte su “denti affilati di mentadent-p”. “Tra i denti/briciole di torrone./Sbadiglio il tuo sapore/dimentico di me”. Ad Alberto Bevilacqua, già prefatore della precedente silloge poetica dell’autrice edita da Marsilio, viene dedicata anche una sezione del libro. “Poets are blessed./The rest of us/are animals of prose” è l’aforisma introduttivo di Arnold Wesker al quale, peraltro, sono pure dedicate ulteriori dieci poesie redatte in lingua inglese.
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