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Forum Castelli Romani, il banco di prova

Luglio 12
22:00 2011

Dichiara il regista Ermanno Olmi in un’intervista a Repubblica del 27/04/2011: «Eravamo convinti che con il danaro si potessero risolvere tutti i problemi. Non abbiamo capito che, raggiunta una certa soglia di ricchezza dopo la miseria del dopoguerra, dovevamo formare il cittadino democratico. Questo è il grande appuntamento perduto con la storia». Speriamo non sia del tutto così, ma è vero che sussiste un problema di linguaggio: il ‘Comitato No Inceneritore’ di Albano espone pannelli nei quali mostra di risentirsi con la stampa che lo definisce ‘ambientalista”, come se questa fosse una categoria sconveniente o prefabbricata o stesse ad indicare un preciso gruppo di persone (politici) che sembra non abbiano mai sostenuto questa lotta. Il termine ‘ambientalista’ indica solo qualcuno che si occupa dei problemi dell’ambiente naturale, della sua tutela e conservazione: così i partecipanti al ‘Comitato’ sono ambientalisti oltre che cittadini, iscritti ad un partito, o qualunquisti, o proletari, o cattolici praticanti, etc. Partire con certe rivendicazioni non è forse la strada migliore. La partecipazione al Forum il sabato pre-referendum non è numerosissima, ma la manifestazione presenta tante sfaccettature interessanti; arte in mostra fra il ponte e la Piazza di Corte, qualche realtà produttiva che si interessa del tempo libero, delle energie rinnovabili, della produzione di vini, poco forse per dire che siamo nel Forum dei Castelli Romani, però questa è una prima volta e si nota lo sforzo organizzativo che l’evento è costato. Ci sono i banchi di sottoscrizione per le associazioni, la Locanda Martorelli aperta, uno spazio per la presentazione di libri, momenti dedicati ai più piccoli, i concerti serali. L’affluenza è discreta, le facce purtroppo sempre quelle, non è colpa di nessuno il problema resta culturale oltre che politico-economico. Dagli interventi ascoltati si capisce che anche la filosofia del Forum non può non considerare alcuni aspetti di un problema che è nazionale: in Italia soprattutto dai ‘partiti verdi’ non è mai uscita una proposta organica che fosse anche economica e di discreta crescita. Anche qui da qualcuno abbiamo sentito la solita retorica dello sviluppo sostenibile che non si sa chi lo sostiene: è difficile che passi l’idea della decrescita e del risparmio delle risorse. L’attuale situazione di consumo, nonostante i risultati referendari, richiama l’uso di mezzi capestro come l’energia nucleare: le rinnovabili fanno il paio solo con decrescita e risparmio, con il cambiamento quanto più possibile radicale dello stile di vita. Resta però il fatto che è responsabilità della grande politica, a livello nazionale e poi locale, decidere che la ricostruzione edile post seconda guerra mondiale è finita e si passa oltre; che le rinnovabili (eolico in testa) non sono la nuova fonte di reddito per mafia e camorra; che tutto ciò che si va ad intraprendere deve avere il sapore di intelligente, curato, di qualità e soprattutto piccolo. Inoltre, qualunque iniziativa nasca su questo territorio, come già è accaduto nei venti anni passati e ancora prima, ha bisogno di un ancoraggio: non esiste una banca ecologica, non si dispone di fondi importanti, o questi vanno e vengono secondo i voleri del governo centrale. Senza l’apporto politico sarà difficile per i movimenti andare oltre modeste giornate culturali. Anche cambiare vocabolario non è una questione secondaria o intellettuale: significa avere annesso definitivamente alla propria coscienza uno scenario completamente diverso da quello odierno. Solo di concerto con le istituzioni, i comuni, tutti e ognuno, si può far partire la differenziata porta a porta; solo la piccola imprenditoria, di cui esiste una fitta rete anche ai Castelli, può decidere di riciclare ciò che produce, dare un indirizzo di minore impatto a tutte le attività produttive, percependo questo non come un ennesimo tributo ad uno Stato che è sempre li a chiedere troppo sulle spalle dei poveri contribuenti, ma come bisogno trainante che produce e mantiene posti di lavoro. Oltre il confronto locale potrebbe diventare una buona pratica anche quello con i comuni che gestiscono le loro risorse meglio di noi. Per esempio riguardo al problema del lago Albano che, ormai mezzo svuotato, testimonia ancora una volta la prepotenza della speculazione nei confronti dei cittadini: troppe case su un territorio che poi recupera la risorsa idrica dove capita. Questa storia non l’hanno scritta gli ambientalisti, ma gli speculatori con la collaborazione dei troppo poco attivi cittadini e molti proprietari terrieri (alcuni di nobili origini) tutti tesi ai propri interessi; fare cassa o preoccuparsi della realtà fino al confine del proprio naso. Ai cittadini attivi da sempre (le solite facce di prima) resta di andarsene in giro per il Lazio e vedere i laghi di Vico, Bracciano, Bolsena che, seppure con qualche problema ambientale anche questi, sono colmi di acqua da (quasi) straripare, in territori dove i paesi contano ancora chilometri di distanza fra loro. A questi comuni chiedere come hanno fatto, come fanno, a mantenere il loro paesaggio. Anche la vittoria referendaria, lontana dall’essere un traguardo, deve rappresentare un fortissimo stimolo a fare.

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