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Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport: «La tessera del tifoso non risolve il problema violenza»

Settembre 02
17:04 2010

Il presidente Edio Costantini interviene sulle recenti disposizioni “anti-teppismo”

«Tessera del tifoso non risolve il problema violenza»

Ricostruire gli stadi di calcio trasformandoli in luoghi educativi per le famiglie

Roma, 2 settembre 2010 – «Non saranno la tessera del tifoso e la linea repressiva ad eliminare la violenza negli stadi italiani e fare pulizia di certi tifosi. A questo sciatto modello sportivo del calcio italiano sta a cuore solo che il tifoso resti tifoso, che continui a essere un consumatore acritico del mito eroico dello sport. È facile capire come in tutto ciò la dimensione educativa sia assente». Dopo un turno calcistico di ³rodaggio² del nuovo provvedimento voluto dal Ministero dell’Interno per mettere un freno alla violenza dei tifosi-teppisti in trasferta, Edio Costantini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, allarga la prospettiva sul fenomeno ³violenza negli stadi² e denuncia la marginalizzazione del vero destinatario dello spettacolo sportivo: la famiglia.

«Tifoso – prosegue Costantini – è anche chi ha sempre creduto nello sport e vuole continuare ad andare allo stadio con la famiglia e non deve essere costretto a chiedere la tessera per schedare se stesso e la famiglia con due mesi di anticipo. Perché mai siamo arrivati a questo punto, alla necessità di blindare gli stadi come prigioni e schedarne presso le Questure tutti i frequentatori? È impensabile continuare a dare tutte le colpe agli ultras. È invece il momento di prendere coscienza che la soluzione si gioca nella capacità di includere e non di escludere. Serve il coraggio di pensare a come ricostruire gli stadi non solo sul piano architettonico, ma anche come luoghi educativi, di incontro, di amicizia e di festa per tutte le famiglie».

La sola repressione non può garantire il raggiungimento di questo obiettivo.
«Chi invoca il pugno di ferro nei confronti dei giovani tifosi violenti – continua Costantini – tenta legittimamente di riportare la sicurezza negli stadi. Ma non ci si può fermare soltanto a questo. Buttare fuori i giovani maleducati dalle curve non impedirà che quei maleducati continuino ad essere tali nella vita quotidiana. Dobbiamo dunque decidere cos’è che vogliamo
davvero: allontanare dai nostri occhi e dalle telecamere lo spettacolo triste del deficit educativo che caratterizza una certa parte della nostra gioventù, o cercare di creare le condizioni affinché quel deficit scemi nel tempo?». Di fronte a questo ragionamento i gestori dello sport-spettacolo solleveranno la solita obiezione: ³Educare è compito d’altri, non nostro².
Così commettono un grande errore: educare, oggi, è un affare globale, una responsabilità dell’intera collettività. Ben vengano le misure di sicurezza, ma nella piena consapevolezza che saranno insufficienti se non sapremo regalare ai giovani un diverso approccio all’esperienza sportiva».

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