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Florence: il cinema s’interroga su talento, critica, lealtà

Florence: il cinema s’interroga su talento, critica, lealtà
Gennaio 08
10:13 2017

Florence di Stephen Frears. Nella sua più che quarantennale carriera il regista britannico Stephen Frears ha diretto grandi film come My Beautidul Laundrette, Le relazioni pericolose, The Queen, Chéri, alcuni tratti da opere letterarie di autori fra cui H. Kureishi, Colette, Choderlos de Laclose dirigendo attori immensi (Pfeiffer, Day-Lewis, Close, Malkovich). Meryl Streep dopo decine di mirabili personaggi femminili tra cui la Karen Blixen ne La mia Africa di S. Pollack, interpreta per la seconda volta una donna affetta da sifilide trasmessale dal primo marito. Hugh Grant da una più che trentennale carriera, resiste bene nel cuore dei suoi fan e sugli schermi e già dal 2007 con Scrivimi una canzone di Marc Lawrence ha reinventato per sé, film nel film, un nuovo ruolo adatto alla sua faccia di oggi che non è più quella di Quattro matrimoni e un funerale né quella di Notting Hill ma, se possibile, è una faccia da commedia resa oggi più interessante dalla vita che ci è passata attraverso, dalle rughe. Gli specchi fra i quali guardare in questo film sono molteplici. Su una trama risaputa, vicenda tratta dalla storia vera di Florence Foster Jenkins, ricca ereditiera, melomane, filantropa e convinta di poter dare moltissimo come cantante all’arte lirica, regista e attori danno corpo ad una sceneggiatura ricca e credibile in gran parte per la umanità dei personaggi che la animano. Florence (Streep) seppur munifica, attenta conoscitrice della musica, amica intima del maestro Toscanini, è stonata come una campana. Il devoto marito St.Clair Bayfield (Grant) le costruisce attorno, sorvegliandolo sin nei più piccoli particolari, un clima amicale che invece la sostenga e incoraggi con la buona base dei soci del Verdi Club, da Florence stessa fondato e finanziato, e amato quanto la vita. St. Clair non è un buffone, ma sa cosa significhi non avere talento o non sentirselo riconoscere (sarà la stessa cosa?): attore egli stesso, forse mediocre, forse no, incontrò Florence durante un di lei concerto, nel ’29, e il lungo matrimonio fra i due sopravvisse nel giusto accordo d’una vita coniugale libera poiché Florence, con la propria malattia contratta a soli diciotto anni, non conosce più vita sessuale e St. Clair ama, invece, troppo la vita qui nelle vesti della bella e giovane Kathleen che sa di dividerlo con una tal consorte. La capacità della Streep di interpretare con invincibile leggerezza una donna che nasconde miserie umane e dolori profondi dietro un’apparenza gaia, perché dedita alla passione musicale, è bilanciata dalla leggerezza di Grant, marito fedifrago e innamorato di sua moglie, per lealtà verso la quale accetterà di essere piantato dalla sua amante quasi senza battere ciglio. Se lui sia un mantenuto di lusso che a sua volta mantiene in piedi le mille illusioni della consorte è un pensiero che sfiora poco lo spettatore trascinato da una regia mai stanca che scava ben oltre le apparenze. Florence dice sempre che se qualcuno potrà dire che lei non sa cantare, non si potrà mai dire che lei non ha cantato; Grant confessa a Cosme McMoon, pianista della Jenkins, (il bravissimo Simon Helberg) che l’aver capito di non aver talento lo ha sciolto dall’ansia dell’ambizione e, a sua volta, Mc Moon, nella realtà, dopo aver suonato con la Jenkins alla Carnegie Hall, non toccherà mai più tali vette e si darà, in seguito, al body building divenendo arbitro di importanti competizioni.

L’atteggiamento verso i personaggi del film, la fiducia immediatamente accordata alla storia, s’accompagna a riflessioni sull’attuale ‘industria’ della cultura e del divertimento, sul possesso del talento da parte di chi crede di averne e su chi il possesso di questo talento debba giudicare. Dopo decine di talents show, l’autoproduzione e promozione culturale da parte di molti aspiranti artisti (cantanti, registi, pittori, scrittori, poeti – alcune autodefinizioni attirano una lacrima denigratorio/commossa simile a quella che si spende per la Jenkins -), promozione resa possibile dalla diffusione di opere su diversi supporti e dall’espandersi dei social, si è passati all’abbattimento sistematico del valore della critica con la maiuscola. Infatti, escludendo dal proprio orizzonte studiosi, esperti nelle materia artistiche e dall’ampia formazione umanistica, affidando la ‘critica’ a familiari e amici, tutto è possibile, anche autodefinirsi geni che tanto da Warhol in poi il quarto d’ora di notorietà non si negherà a nessuno. Il talento quello vero, però, pare resistere nel tempo, come raccontano regista e attori di Florence e pare abbia sempre qualcosa da dire se a Frears attribuiamo anche una capacità quasi magica di ricostruire le epoche che racconta e a questi attori quella di emozionare da decine d’anni il pubblico… La tenuta d’un artista pare quindi testimoniare a favore della sua arte, eppure Frears attraverso Florence e St Clair ci parla di personaggi che si sono dati molto l’un altro e, la prima, molto alla causa artistica. St Clair, inoltre, ben critico verso se stesso, sa guardare al supposto talento di McMoon con più precisione di quanto faccia lui stesso, indovinando, tra l’altro, una carriera musicale non proprio brillante. Molto amata dai contemporanei melomani, la critica di serie A non accetterà mai Florence nelle file dei veri cantanti lirici, ma attraverso la musica questa donna donerà colore ad una esistenza sì ricca e munifica ma costellata da piccoli e grandi dolori; lo stesso St. Clair, più volte nel film, riconoscerà il valore del divertimento entrato nelle esistenze di tante persone (ammiratori, soldati al fronte feriti, melomani, ricchi ma solitari ereditieri), così da investire questa forma di freak art (?) di un valore affettivo e sociale. Eppure, per fare quel che fa, Florence studia seriamente, si applica e spende tempo e denari, ma allora il talento se non c’è è coltivabile oppure no? E l’arte non presa in considerazione dalla critica ‘importante’ è arte? Mille dubbi oltre un’opera davvero ricca e commovente che sembrerebbe pronta per un discreto pieno di Oscar. (Serena Grizi)  

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