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FLAUTO E FALLO A ROMA NEL BASSO IMPERO

Luglio 05
11:50 2010

A Roma “suonatrice di flauto” , in latino “ambubaia”, era sinonimo di prostituta. Sia Petronio, nel Satyricon , che Orazio nelle Satire, sottolineano quanto, “suonare con arte il flauto” sottintenda le pratiche erotiche legate alla “fellatio” . Di fatto anche nell’odierno dialetto romanesco, l’espressione “suona stò ciufolo” , stà a designare la medesima pratica erotica, poiché il “ciufolo ” da suonarsi è il “ciufolo a pelle” , ovvero il membro maschile. L’ambivalenza fra “ciufolo” e “ciufolo a pelle” sta ancora oggi a sottolineare il simbolismo erotico esplicito legato al flauto. Le flautiste donne, divenute in età imperiale una vera e propria corporazione di lavoratrici dello spettacolo, furono assai ricercate dalle matrone e dalle nobildonne per l’allestimento in sede domestica della riproduzione dei culti misterici e religiosi (dionisiaci, isiaci), culti provenienti dall’oriente soprattutto nell’età del basso impero.
Tali culti prevedevano una porzione di recitazione non cantata, inserzioni musicali sonore tese a richiamare l’attenzione in particolari momenti dello svolgimento del rituale. In tale contesto esemplificativo è il famosissimo affresco della Villa dei Misteri a Pompei, dove compaiono sia una danzatrice completamente nuda nell’atto di suonare dei piccoli crotali, un Sileno che suona la lira ed un giovanetto con in mano una siringa che suona mentre una panisca allatta una cerbiatta.
Senza volere entrare nel merito dell’interpretazione del celebre affresco della Villa dei Misteri, probabilmente il più esaustivo mezzo per noi contemporanei per entrare in contatto diretto con l’iniziazione dionisiaca, ciò che ci preme sottolineare qui è che le flautiste erano spesso esse stesse danzatrici, di origine orientale, e soprattutto , in qualità di dipendenti privilegiate della matrona,sapevano, all’occorrenza, intrattenere sessualmente gli uomini facoltosi, da lei ospitati nell’ambito dei banchetti privati, insomma le flautiste erano le rappresentanti di una categoria di prostitute signorili e raffinate, di grado più elevato delle prostitute che esercitavano nei postriboli , locande e osterie varie. D’altro canto se già nel 181 a.c. fu istituita la Lex Orchia de cenis, in cui si tentava ,inutilmente, di porre un freno alla moda dei banchetti lussuosi e smodati, possiamo solo lontanamente immaginare cosa avvenne in età neroniana, e più tardi nel basso impero, all’epoca di Caligola. La cena di Trimalcione del Satyricon di Petronio a questo punto diventa l’esatto termometro per la misurazione della mescolanza di piaceri elevati a filosofia esistenziale (musica, danza, cucina di alta classe, piaceri termali, intrattenimenti erotici, colpi di scena spettacolari e teatrali) e come tale miscela fosse indissolubilmente fusa in un’unica opera d’arte vivente. Secondo Maria Paola Guidobaldi, storica del teatro in epoca romana, le “ambubaie” erano danzatrici di origine siriaca, che ballavano al suono dell'”abub” o “ambub”, uno strumento molto simile all’arpa, ” spesso invitate per allietare i festini privati, nell’ambito dei quali svolgevano il ruolo di vere e proprie cortigiane”. La stessa studiosa ammette poi che le danzatrici erano accompagnate dalle tibicines. Dunque danzatrici e flautiste, separate in due categorie di professioniste distinte. (1)
La questione se tali artiste fossero più danzatrici che musiciste non è molto rilevante: assai più interessante è che tali distinzioni cessassero di fronte alle loro prestazioni erotiche. Ovvero danza, musica, teatro, non ebbero più senso , nel basso impero, se non nel senso superiore di essere riunite e riconciliate con le sfere primarie del piacere, ossia la buona cucina e l’erotismo.
In tale chiave di lettura la cena di Trimalcione ci segnala anche le preferenze ed i gusti estetici del ricchissimo padrone di casa, personaggio unico ed irripetibile nella letteratura latina , amante della farsa atellana piuttosto che della tragedia greca, dei suonatori di corno, anziché dei concerti, degli acrobati (erotici) anziché degli spettacoli di animali, che ordina al suo personale flautista “di suonare alla latina” . (2)
I Flautisti che non suonavano “alla latina” cui allude Trimalcione erano sicuramente le “ambubaie”, fra cui , in un eccesso d’ira ,egli ama annoverare anche sua moglie, Fortunata, indicando così un diverso modo esecutivo, sicuramente mediorientale, e dunque d’importazione, e non necessariamente greco, un flautismo di cui ovviamente restano incerti i connotati, trattandosi di pura arte improvvisativa.
Trimalcione , il cui epitaffio recita: “Pio, forte, fedele, venne su dal niente; ha lasciato trenta milioni di sesterzi, né mai è stato a sentire un filosofo” al culmine della sua cena si distende nel fondo del letto e dice a tutti :”Fate conto di essere stati invitati al banchetto per il mio funerale”…”Fingete che io sia morto. Suonate qualcosa di carino.” I suonatori di corno, tutti insieme , attaccarono una strepitante marcia funebre. In particolare uno schiavo di qell’impresario di pompe funebri, che godeva di grandissimo credito tra costoro, intonò un acuto così potente, da svegliare l’intero vicinato. Pertanto i vigili, ritenendo che la casa di Trimalcione andasse a fuoco, sfondarono la porta in un sol colpo e fecero un gran trambusto, secondo il loro stile d’intervento, agendo con getti d’acqua e scuri.” (3)
Dunque anche nel caso di celebrazioni pubbliche solenni, come funerali di uomini celebri, o assemblee militari cui partecipavano l’imperatore e uomini di stato erano gli ottoni e non i flauti ad essere chiamati in causa, questi ultimi, riguardando la sfera erotica erano impiegati nella sfera privata.
Eccezione famosa a tale consuetudine rimase però il concerto dato da Carino nel 284 d.c. al quale presero parte cento tubicines (suonatori di tube), cento cornicines (suonatori di corni) e duecento tibicines (suonatori di tibiae) , per ragioni foniche non a caso di numero doppio, nel tentativo di farsi udire, data la disforia musicale).
Ma in questo caso sembra di assistere, con secoli di anticipo, alla genesi della “Holiday’s Symphony” di Carles Ives, (4) nata in occasione di una forte emozione vissuta dal compositore americano, quando in età adolescenziale, fu impressionato dal suono violento e disforico di quattro bande musicali, provenienti da quattro vie diverse della città, mentre eseguivano quattro musiche diverse, riunirsi in un’unica piazza centrale, creando così un caos musicale simile a quello descritto da Vopisco nelle Storie di Augusto. (5)
In tal caso la “Fanfara per un uomo comune” di Aaron Copland può senz’altro essere designata come la migliore musica scritta su suggestione della romanità composta da un contemporaneo, tale era l’amore dei romani per la musica roboante e gigantesca delle parate militari. Naturalmente anche questa prova di forza musicale aveva le sue implicazioni di carattere erotico, simboleggiando il culto, tutto romano, della sopraffazione sessuale.(6)
Ma tornando al flauto se ben noti sono i suoi connotati ed impieghi nel mondo classico nella sfera cultuale , religiosa e funebre,meno studiati sono stati i risvolti erotici derivanti, sin dall’antichità dalla pratica e dall’insegnamento dello strumento, con l’implicazione dello studio della cavità orale, dell’esercizio della lingua (i cosiddetti “colpi di lingua”) e tutto ciò che ne consegue nell’immaginario erotico. La lezione romana , in questo caso, può aiutarci a decifrare, con più naturalezza rispetto alle censure contemporanee, come venne presentita dalle classi più colte e aristocratiche della società, l’implicazione erotica insita nell’arte flautistica, così come nelle classi più popolari, si mantenne viva, nella lingua viva e nei proverbi, la tensione erotica promanata dal più simbolicamente fallico degli strumenti musicali : il flauto, non a caso “suonato” da fauni e satiri a scapito di “ninfe” e “efebi”. Se infatti il “phallus” è il centro della religiosità romana (sia nel caso di Priapo, figlio di Dioniso), che nella sfera iniziatica (vedi la “discoperta del fallo” nella Villa dei Misteri a Pompei), (7) il flauto , che simbolicamente lo rappresenta in termini musicali, non poteva che essere oggetto di culto e venerazione da parte di intere generazioni di virtuosi sia in epoca imperiale, che durante le contaminazioni alessandrine ed ellenistiche, ovvero mediorientali del basso impero. Dunque “fallo” e “flauto”, oggetti entrambi di devozione religiosa, rappresentano due facce della stessa medaglia: ovvero la possibilità per gli esseri umani, attraverso una reale iniziazione, d’intravedere cosa si nasconda oltre la verità della vita terrena. Flauto e fallo pertanto permangono nei templi romani (come quello di “Diana” a Nemi o di “Giunone Sospita” a Lanuvio) (8) quali “ex voto” , ed oggetti di culto.
Maurizio Bignardelli Genzano di Roma 14 marzo 2009
NOTE
(1) Maria Paola Guidobaldi “Musica e danza in età repubblicana e imperiale” , in , “Teatri Romani” , gli spettacoli nell’antica Roma, a cura di Nicola Savarese, Bologna, 1996,pp. 57-67, cfr. p. 63.. (
2) Petronio “Satirycon” a cura di Andrea Aragosti, Milano 1995, 53 (13) , p. 255 e nota 150 p.254.
(3) Petronio, op. cit. p.323. 78 (4-8).
(4) Charles Ives (1874-1954) A Symphony: New England Holidays , CBS Chicago Symphony Orchestra diretta da Michael Tilson Thomas MK 42381.
(5) Vopisco, Carinus, in, Scriptores Historiae Augustae, vol . II
(6) Aaron Copland ( born1906) Fanfare for the Common Man , CBS New York Philarmonic Orchestra diretta da Leonard Bernstein MK 42265.
(7) Sulla discoperta del fallo nell’affresco della Villa dei Misteri a Pompei cfr. Antonio Varone “L’Erotismo a Pompei” , L’Erma di Bretschneider, Roma, 2000, pp.98-105.
(8) Per il santuario di Diana Cfr. Giuseppina Ghini , “Il Santuario di Diana Nemorense” ,in , Forma Urbis , n° 7/8- 2007 ; per il Santuario di Giunone Cfr. Luca Attenni , “Il Santuario di Giunone Sospita a Lanuvio” , in , Forma Urbis, n° 2 , Roma, 2009 e dello stesso autore “Frammenti di affresco con scene d’iniziazione dionisiaca” Quaderni del Museo Civico Lanuvino, edizioni Blitri, Velletri (Roma), 2002.

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