Flags of Our Fathers, di Clint Eastwood
Ho visto in questi giorni Flags of Our Fathers, diretto da Clint Eastwood nel 2006. Un film che non mi ha scaldato il cuore, né raggelato. Il che è tutto dire quando il pernio tematico è la guerra. Insomma, la materia, ossia le esperienze di alcuni reduci americani della battaglia di Iwo Jima, ha perduto tutte le copiose componenti tragiche e umane di quell’evento luttuoso della seconda guerra mondiale, nel quale persero la vita quasi settemila soldati americani e circa ventiduemila giapponesi: in sostanza 30.000 persone o giù di lì; un vero macello.
Nel film di Eastwood una fotografia di mestiere ci fa assistere ad una serie di scontri bellici tenuti su un piano prospettico molto esteriore, nella falsariga dei tanti documenti filmici d’epoca già ampiamente divulgati. Il resto è una serie di scene di relazioni interpersonali dei soldati immatricolati USA con altri americani di tutti i ranghi, e pure di ranghi alti, tra cui il Presidente Truman (queste scene sono ambientate nella homeland americana). In queste scene viene sottolineato quanto sia più esperto un personaggio piuttosto che un altro nei commerci della vita, come il dolore dell’uno sia poco permeabile all’altro, con un condimento di love affairs che andrebbero bene qui come andavano bene (anzi, decisamente meglio) nei film con Elvis Presley o con chiunque altro. Storie, insomma, di fidanzatine. Le scene di guerra sono le solite trite e ritrite, con passaggi che potrebbero essere estrapolati dalle poesie belliche di Owen, ma senza conservarne la forza espressiva, o da Salvate il soldato Ryan di Spielberg (che di Flags è produttore), ma senza la stessa crudezza alessandrina. La mancanza di una scelta di campo di Eastwood mortifica il suo tentativo, e basti qui notare l’incapacità di costruire un mito dipoi spendibile nella cultura contemporanea, foss’anche basato su alcune esperienze di vita memorabili per uno spettatore che abbia masticato i discorsi sulla guerra moderna e sulla guerra contemporanea soprattutto, il quale si aspetti da un film di far luce su un evento storico meglio di quelli che lo hanno preceduto (tanto per cominciare), e di aprirsi come un tesoro luminoso nelle questioni belliche contemporanee (appendice auspicabile in un’opera d’arte di qualsiasi forma). Detto questo, non credo che il film meriti maggiori indugi, né, assolutamente, una mercantile indulgenza.
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