Firmino di San Savage
«Riuscii a conversare con tutti i Grandi. Dostoevskij e Strindberg, per esempio. Subito riconobbi in loro dei compagni di strada afflitti, isterici come me. E da loro appresi un insegnamento prezioso: per quanto piccolo e insignificante tu possa essere, nulla vieta che la tua follia sia tra le più grandi». Romanzo di fantasia tra i più interessanti elaborati in U.S.A agli inizi del XXI Secolo, da un “esordiente assoluto” con alle spalle diversi lavori tanto molto di intelletto quanto fisici, pecca, molto, di usare con troppa disinvoltura linguaggi o immagini grevi (…sso americani…!), rendendo il protagonista, un ratto di Boston degli anni ’60 molto particolare nonché “affamato” di letture… un animale in tutti i sensi. Caratteristiche o particolari si potevano almeno limare. Un mix di aspetti romantico-malinconici, comici, grotteschi e con venature di fantasia molto ardite ora, che rispecchiano la società, manie, vizi o incubi. Ratto urbano alle prese con uno scontro tra la sua natura reale di animale e non gradito certo alla gente, e quella invece ideale di essere sapiente, letterato che vuole essere “umano”. Un animale preso (preda) di un processo di redenzione o emancipazione attraverso una vorace fame di letture e impegnative. Restrittivo l’abito del “topo da libreria”. La “umanità” si presenta ora come un contorno alle vicende del Firmino in un caleidoscopio di interessanti individui, alcuni molto sensibili.
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