Finmeccanica ai Lincei
Per prima volta nella sua secolare storia, l’Accademia Nazionale dei Lincei ha ospitato una conferenza di cui è stato protagonista il mondo industriale e non quello accademico, cui per statuto è rivolta l’attività dell’Accademia.
È avvenuto il 9 marzo 2007, nella storica sede lincea di Palazzo Corsini a Roma, dove l’ing. Pier Francesco Guarguaglini, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, ha tenuto un’affollatissima conferenza dal titolo La ricerca della competitività, nel corso della quale ha illustrato, con esemplare chiarezza, lo stato dell’arte della ricerca applicata svolta dalla grande industria in Italia e le principali iniziative da parte del gruppo industriale che rappresenta, per incoraggiare la crescita della ricerca scientifica e tecnologica nel nostro Paese, fra cui il Premio Innovazione che premia ogni anno i migliori progetti presentati dalle aziende del gruppo e il master Fhink in International Business Engineering per attrarre in Italia talenti dall’estero. Circa l’80% degli investimenti di Finmeccanica sono rivolti ai settori ad alta tecnologia dello spazio e della difesa. L’ing. Guarguaglini stesso vanta un passato decennale di attività di ricerca applicata svolta in Finmeccanica ed è quindi persona autorevole per proporre strategie di sviluppo della ricerca industriale, cui è legata la reale possibilità di competitività del nostro mondo produttivo. Per il futuro dell’Italia, ha auspicato un significativo aumento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S), il miglioramento dell’istruzione scolastica a tutti i livelli e l’innalzamento del livello scientifico-tecnologico dei nostri centri di ricerca.
Numerosi, fra il pubblico, i rappresentanti sia del mondo industriale sia di quello accademico, che al termine della conferenza si sono intrattenuti con Guarguaglini in un’interessante e improvvisata tavola rotonda. L’evento è particolarmente significativo, perché è un chiaro segnale dell’attenzione che i massimi vertici del mondo accademico rivolgono oggi ai problemi della ricerca scientifica e tecnologica svolta nella grande industria, che non può più essere vista disgiunta dalla ricerca pura o di base svolta nelle università e nei centri di ricerca nazionali. La globalizzazione ormai, nel suo significato più ampio, con l’estesa rete di interconnessioni sia a livello disciplinare sia a livello geografico, non consente più di ignorare i forti legami fra ricerca fondamentale e applicata, né di isolare la competitività nel semplice raggiungimento di singole nuove conquiste tecnologiche. È ormai noto, infatti, che la ricerca pura non può svilupparsi senza un’adeguata tecnologia e, per converso, quest’ultima riceve stimoli e nuovi impulsi dai risultati teorici della ricerca di base. Inoltre, l’innovazione tecnologica in sé, oggigiorno, assicura una competitività molto limitata nel tempo, perché facilmente e rapidamente raggiungibile dalla concorrenza, anche grazie alle moderne tecniche di Reverse Engineering, che permettono di ricostruire il progetto dal prodotto finito, percorrendo quindi l’iter ingegneristico in senso inverso. Ciò che, pertanto, può rendere realmente competitivi è la cultura del “saper scegliere” e del “saper rischiare”, che sono le componenti fondamentali della cultura dell’innovazione, che Guarguaglini si auspica si affermi solidamente nel nostro Paese e che è il solo vero strumento per conquistare di volta in volta quell’innovazione tecnologica che può rendere competitivi e che va continuamente rinnovata, per i motivi già detti. Un concetto, questo, già esposto quindici anni fa dal Gartner Group, qualificato gruppo di opinionisti e analisti industriali, a proposito dei grandi sistemi integrati per la progettazione e produzione assistite da computer, con l’introduzione nel 1991 del termine CAPE (Concurrent Art to Product Environment), che significa, sostanzialmente, preoccuparsi non tanto dello specifico progetto del presente, bensì soprattutto della realizzazione di un adeguato ambiente di sviluppo dei progetti futuri. Finora, soltanto le grandi imprese hanno potuto sostenere i rischi economici derivanti dalla ricerca. Il tessuto industriale italiano è costituito, invece, soprattutto da piccole e medie imprese (PMI) che non possono investire in ricerca mantenendo un adeguato livello di profitto economico. Ciò penalizza molto la ricerca applicata in Italia e quindi la competitività della nostra industria. Una soluzione valida, caldeggiata da Finmeccanica, potrebbe essere l’effetto di filiera su PMI, università e centri di ricerca pubblici e privati, svolta dalle grandi imprese nell’ambito di grandi progetti, in cui questi ultimi soggetti dovrebbero, però, mutare ruolo: da semplici fornitori di servizi e manufatti, diventare Risk Sharing Partner, condividendo, entro limiti accettabili, i rischi economici derivanti dall’attività di ricerca. Infine, una vera cultura dell’innovazione è legata alla presenza anche in Italia di investimenti privati nella R&S, che in altri paesi costituiscono una realtà ormai da lungo tempo felicemente consolidata, che, naturalmente, comporta, però, un monitoraggio degli effetti della ricerca.
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