Figurine – Atanasio Canata
Quando Giuseppe Mazzini commissionò a Goffredo Mameli il testo di un inno per l’Italia, pensando in cuor suo ad una nuova ‘Marsigliese’, mai si sarebbe aspettato che a metterci letteralmente bocca e becco fosse un prete scolopo, tale Atanasio Canata da Lerici. Insegnante presso un collegio della Val Bormida, sotto le sue amorevoli grinfie passarono patrioti risorgimentali, qualche futuro ministro dello Stato unitario e appunto il già citato martire del Gianicolo, che soleva intrattenersi con il frate in lunghe passeggiate e fruttuose conversazioni.
E’ in una di queste sgambate che il vanesio Atanasio e il giovane allievo, tra una strofa e l’altra, riescono a mettere a punto quello che diventerà il Canto degl’Italiani, quel Fratelli d’Italia che i calciatori della Nazionale solitamente amano cantare in playback e che il Presidente Ciampi tenterà con tutte le sue forze di contrapporre, invano, ai grugniti secessionisti di Bossi&Co. E’ soprattutto la terza strofa che risente del Canata-style, quella dove viene evocato a gran voce il Signore, e dove Dio in persona dovrebbe unire l’Italia, in giorni e in orari da concordare. Ma anche sul resto dell’inno aleggia un retrogusto baciapile non da poco, che irritò Mazzini tanto da indurlo a richiederne al Mameli uno nuovo mentre il compositore Luciano Berio, in tempi recenti, lo definì vergognoso e Riccardo Muti si rifiutò di suonarlo. Orate, fratres.
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