Fiaba dei pazienti della residenza Rosaurora
Agosto 04
12:57
2009
Un giorno tanto tempo fa in una delle tanti notti del medioevo, nella più remota zona della Mongolia, dove le terre rimanevano arse e dove le strade si facevano sempre più ardue, c’era un villaggio che nessuno conosceva, perché non era segnato su nessuna carta degli europei. I contadini che vi abitavano erano costretti a lavorare nei campi senza sosta e senza alcun compenso. Vivevano in una condizione di miseria e di abbandono e non potevano scappare, perché non sapevano dove andare: le loro case erano state confiscate e i loro beni sperperati. Le giornate trascorrevano tristi e senza sorprese. Convinti che la situazione non sarebbe cambiata mai, vivevano come querce appassite in una teatralità muta. Dovevano obbedire agli uomini del signorotto malvagio, che li aveva disarmati della dignità e dell’amor proprio, rendendoli indifesi. La sua prevaricazione era arrivata al culmine da renderli automi, distaccati da se stessi e dagli altri. Lui, prepotente come era, poteva assoggettare chiunque pur di vincere, manifestando il suo potere sugli altri. Da quel giorno il tempo si era fermato come in un incantesimo e il villaggio viveva in un’oscurità muta e spettrale. Le strade erano diventate impraticabili, così che non c’era più speranza che arrivasse qualcuno per poterli salvare. Ma l’occhio della dea celeste arrivava fin lì, anche se nessuno lo sapeva. Nella quiete della notte migliaia di piccolissime lucciole circondavano le case del villaggio, infondendo nei cuori addormentati degli abitanti speranza di un cambiamento; poi all’alba tornavano dalla dea, che viveva nel paradiso delle fate nell’immensità celeste. Tuttavia senza un aiuto terrestre il suo potere si vanificava. Accadde cha alla corte del malvagio vi fosse un vecchio saggio, il solo che di nascosto contrastava il despota e che aiutava la gente. Presto le lucciole si accorsero di lui e su di lui la dea soffiò la polvere di stelle, che dotava di magia bianca colui che la riceveva. Solo ora era in grado di consultare la sfera di cristallo: gli apparve così il cavaliere errante d’Asia, che sul cavallo bianco combatteva per la giustizia e per la libertà. Fu lui il prescelto per liberare la comunità del villaggio. Lui era l’unico dotato di coraggio, di autonomia decisionale e di forza. Stava a lui riscattare i contadini dalle angherie del perfido tiranno, facendogli tirar fuori la fiducia in se stessi e negli altri, che le lucciole avevano mantenuto segretamente in vita. Ricevuto l’incarico dal vecchio saggio di mettersi al servizio dei contadini e a guida della loro rivolta, sguainò la spada invocando la protezione della dea celeste. Cavalcò per giorni e giorni, si inerpicò per le strade tortuose, combattendo contro gli uomini del mongolo malvagio e arrivò lì, dove nessuno era mai riuscito ad arrivare, nella parte più profonda del cuore. La sua battaglia si combatte ancora oggi nell’animo di tutte le persone che credono nella dignità umana.
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