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FFF: il fascino sottile del rovesciamento

Agosto 01
17:41 2015

Il vero lato oscuro non è infatti quello che il protagonista si porta dentro e lo induce a plagi, furti, delitti, ma è quello che la vita contiene e regala a tutti con dosaggio diverso, rovesciando in modo imprevisto, a ciascuno, le carte che sembra avergli prima messo in mano. L’inquadratura iniziale, di una strada affrontata a fortissima velocità, apre sul momento culminante della parabola, quello che apre alla ‘catastrofe’ narrativa, lo scioglimento del racconto. Tentando di scampare ad una vita modesta con l’illusione del sogno, il miraggio della scrittura, Mathieu si affatica ad opere che gli editori gli respingono impietosamente. Ma Mathieu è tenace, crede veramente di poter far germogliare dal suo banale presente il talento che sente di avere in sé. Finché la vita non gli tesse il suo inganno. Durante lo sgombero della povera casa di un anziano morto solo come è vissuto, il ragazzo si perde a sfogliare le vecchie carte che la ingombrano. Da quelle lacrimae rerum riaffiorano foto, un documento di identità, il morto rivive in un volto e in un nome, una vecchia immagine in divisa. E poiché, come il protagonista cita “sans memoire pas de literature”, è proprio dalla memoria che germoglierà la letteratura che Mathieu ha inseguito invano con gli strumenti della sua biografia povera di fatti e di senso. Emerge dunque un diario: il morto era stato un coscritto in Algeria, e vi aveva riversato quella sua storia estrema, giorno per giorno, persona nel grande canale della storia. Ecco che si presenta a Mathieu la grande occasione: copiare e poi distruggere, appropriarsi della vita che quell’altro involontariamente gli offre, indossarla come il migliore tra gli abiti che andranno a essere degagé, smaltiti. Ancora una volta il ragazzo impacchetta il tutto e invia ad un editore. Ma questa volta la risposta è ben diversa. Successo, denaro, una bella moglie appartenente alla ricca borghesia ne sono il corollario immediato. Mathieu si lascia andare, cessa di sollecitare in sé quel talento che prima inseguiva inutilmente e si ingaglioffa in una vita di agi, con l’unico terrore di perdere quanto gli è stato generosamente offerto dal caso. E’ così che, quando spunta dal passato del morto chi sa la verità e può perderlo, Mathieu si assoggetta al suo ricatto, passando dal furto all’omicidio senza scrupolo alcuno. Nel momento, però, in cui crede di avercela fatta, tutto sembra precipitare. Per sfuggire al sospetto e alla scoperta di quella verità che lo distruggerebbe come uomo e come autore, soprattutto agli occhi della donna che ama e aspetta un figlio da lui, è costretto ad inscenare il suicidio. Torna così di colpo nel nulla da cui è venuto, a campare una vita misera con lavori saltuari. Passando, in una sera qualunque davanti ad una libreria, non resiste alla sua sirena di sempre, la carta stampata, la letteratura, e si avvicina a spiare quanto vi accade. Scorge così la propria immagine, vicina al libro che, infine, aveva scritto per davvero, proprio lui Mathieu, sostanziato del tragico carico biografico che ormai portava, senza dover nulla rubare alla vita di un altro. Accanto, la moglie, con in braccio suo figlio. Tutto quanto ormai non può più appartenergli: il lato oscuro della vita ha avuto la meglio. Ottima la regia, la fotografia, i tempi serrati e la fissità nell’espressione del protagonista. Debole il contesto e la sceneggiatura. E se scontata e banalmente topica è l’ansia della pagina bianca per uno scrittore, quanto invece francese e proustiana è la dialettica interiore pagina/vita! Afferrata al volo Susanna Tamaro, ne approfitto per girare a lei la domanda su quell’angoscia davanti alla pagina vuota. E ne ricevo la serafica risposta: aspettare è la ricetta, ‘distrarsi’ lasciando che il tempo faccia il resto, come quando davanti alla pentola che bolle si attende che la pasta sia pronta.

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