Feste, inglesismi e baldoria perpetua
Dopo l’invasione, peggio di una pandemia, dei Black Friday, mi sono imbattuto qualche giorno fa in un interessante articolo di Luigino Bruni, su Avvenire (24 novembre 2023), il quale senza mezzi termini affermava come “il Black Friday è diventato l’inizio dell’anno liturgico della religione capitalistica. Come ogni nuova religione che intende soppiantarne una pre-esistente, anche il capitalismo consumista sostituisce le feste cristiane con le sue nuove feste, e sovrappone i suoi tempi liturgici a quelli precedenti. Quando una religione subentra ad un’altra non cambia l’antico ritmo del tempo sacro, più semplicemente lo occupa, e ne cambia il senso. È infatti interessante che il Black Friday segua il giorno del Ringraziamento, una delle feste religiose dei primi pellegrini”. Aggiungeva: “Nessuna religione diventa cultura senza culto, e il consumismo è diventato religione perché il nostro mondo è immerso nel culto del consumo. E come nel Medioevo il cristianesimo divenne cultura perché la religione cristiana entrava in ogni operazione e gesto della vita delle persone (campane, preghiere, calendari, feste, spazi misurati in avemarie, parole, narrazioni…), oggi l’economia è diventata cultura universale grazie al suo culto e culti quotidiani (comprare, vendere, pubblicità, misurare, linguaggio, narrative delle imprese)”. Scrive ancora Bruni: La prima stagione del capitalismo dell’Otto e Novecento aveva avuto come eroe l’imprenditore-capitalista, che grazie al successo negli affari sperava di essere benedetto e predestinato. Ma col passaggio di millennio il superuomo del capitalismo è diventato il consumatore. Inoltre, il tratto saliente della nuova religione di puro culto è per Benjamin «la durata permanente del culto», perché «il capitalismo è la celebrazione di un culto “senza tregua e senza pietà”. Non ci sono giorni feriali; non c’è giorno che non sia festivo, nel senso spaventoso del dispiegamento di ogni pompa sacrale, dello sforzo estremo del venerante».
Si potrebbe aggiungere che ormai oltre a soppiantare le feste tradizionali religiose, l’allegro consumismo ha fatto tutto diventare un carnevale perpetuo, con luminarie varie che non solo non distinguono una festa dall’altra, ma sono praticamente stabili e perenni. Così già a fine ottobre non manca l’halloween d’oltreoceano allorché frotte di mamme più o meno giovani e vagamente agghindate di fruscianti veli neri svolazzanti e befaneschi (ma ormai la ‘Befana’ è stata detronizzata) trascinano i loro pargoli in festose e schiamazzanti seratine. Sarà forse per esorcizzare quella morte ormai fatta allontanare dalla vista nella vita caotica dell’eterno presente? Certo non sarebbe male suggerire a queste frizzanti festaiole di passare in solitudine qualche notte al buio di un cimitero! Ed è sintomatico che certe lugubri ‘baldorie’ siano anche entrate nelle scuole! Segue subito, ai primi di novembre, l’allestimento abbagliante di festoni e lucine per il Natale, con l’immediato seguito del Carnevale (anche laddove non era mai stato di tradizione locale!), preceduto e seguito comunque dalla immancabile stagione sciistica ‘di massa’ con annessi costosi abbigliamenti (‘luxury’ ormai come si dice). Ne seguirà una lunga quaresima? Ma no, semmai una immediata propaganda reclamizzante colombe e uova pasquali con un bel week-end (così viene chiamato ormai il triduo pasquale) possibilmente ad Abu Dabi! Il tutto condito da quelle pubblicità televisive spesso talmente melense e squallide nel tentativo (spesso riuscito) di abbindolare tanta gente. L’importante è l’adorazione dell’influencer di turno (senza che venga mai prescritto un antinfluencer stagionale)! Il tutto viene quasi sempre espresso in termini rigorosamente anglofoni o con cadenza albionica. La TV in particolare diffonde ampiamente questo pseudo linguaggio: per ‘tutto esaurito’ o ‘al completo’ si deve dire ‘sold out’, passando per ‘accaventiquattro’ (h24), location, selfie, ecc. Sempre più troviamo negozi e botteghe con insegne in inglese, ma non per cosmopolitismo, bensì per una moda che ha soppiantato la lingua italiana (anche perché molti italici nostrani proprio non la conoscono e tantomeno la parlano. Infatti, c’è rimasto solo il papa argentino che, anche quando va all’estero, parla solo in italiano)! Ed in questi giorni nei nostri paesi e città – si veda Frascati ad esempio – appaiono scritte con ‘M. Xmas’ (che vorrebbe dire Merry Christmas, cioè’ buon natale’). Ma dire e scrivere ‘buon Natale’ non fa scic, o se volete, trendy. E che dire delle solite bancarelle (sempre quelle ad ogni stagione e festività) che, secondo i tempi, vengono definite in base al calendario consumistico, fino al Christmas Village! Ma poi di natalizio non si vede quasi niente! Anni fa in un paesotto dei dintorni mi imbattei in un negozietto di frutta e verdura, con qualche cicorietta, due pere, qualche limone e insalatina. Ma l’insegna recitava: ‘Tropical fruit’. Per la gioia e il palato dei pochi vecchietti locali.
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