Fernanda Pivano gridava la pace
Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perché ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue.
(Fernanda Pivano)
Scriveva di letteratura e di musica ma da ogni sua riga traspariva il bisogno di urlare quell’umano e universale bisogno di Pace, inseguito per tutta la vita, per lei annientato con gli avvenimenti catastrofici dell’11 Settembre 2001 e poi riversato nei suoi libri in nome di un’apertura culturale dagli ampi orizzonti. Chiunque abbia un po’ d’amore per l’arte e la conoscenza, non può non riconoscere alla scrittrice, giornalista, poetessa e saggista che ci ha lasciato lo scorso 18 agosto, il merito di aver aperto le porte del mondo letterario italiano a quello dell’America meno convenzionale e conformista che potesse esistere.
Fernanda Pivano per gli accademici italiani e per i suoi tanti estimatori va annoverata tra i grandi della cultura italiana: ad attestarlo è soprattutto una bibliografia così preziosa e importante, il suo grande contributo alla diffusione della conoscenza del nostro paese, una sezione della biblioteca di Milano che dal 1998 è interamente dedicata ai suoi scritti, le varie campagne partite già anni fa affinché fosse insignita del titolo di senatrice a vita per meriti culturali o i messaggi d’affetto che le personalità della cultura e della politica, in Italia e all’estero, le hanno rivolto in occasione dei suoi funerali. A chiunque la conosca professionalmente non è sfuggito il fatto che questa allieva di Cesare Pavese, grande amica di Hemingway – del quale, per prima in Italia , tradusse “addio alle armi” finendo in carcere perché il regime fascista ritenne i contenuti del romanzo lesivi per l’onore delle Forze Armate del Duce – possa essere considerata come la portavoce della Beat Generation (a lei si deve la conoscenza delle pagine di Allen Ginsberg, William Burrogs, Jack Kerouac e Gregory Corso); ma il tempo ha poi dimostrato che Fernanda Pivano non è stata una semplice traduttrice: se il merito di ogni accademico è quello di contribuire all’espansione della cultura, Fernanda Pivano ha avuto la peculiare capacità di parlare la lingua di tutte le generazioni, quei linguaggi che s’intrecciano con la musica pop dei nostri tempi e la poesia dei cantautori (compresi Dylan e De Andrè, per citarne solo alcuni), calandosi pienamente nei significati della cultura che spiegava e rappresentava, incarnandola, fino a diventarne una mediatrice insostituibile. Raccoglierne il testimone culturale sarà certamente difficile, ma resta sempre quell’urlo di dolore che riaffiora all’accadere di ogni guerra, di ogni azione terroristica, che diventa impossibile da placare e che, brutalmente, va oltre le parole.
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