Febbraio senza carnevale, restano le cucine della festa. Il gusto dei sentimenti
(Serena Grizi) Carnevale ‘in remoto’ anche per Venezia. Difficile non intristirsi. Restano le cucine della festa. Il gusto dei sentimenti d’una passeggiata letteraria e l’appuntamento, dato anche da molte città e cittadine famose per la loro tradizione, al 2022
Prima piantare…
con calmaIo pianto le mie esperienze come fossero pampani di vite selvatica e sto a vedere come crescono. Sono pigro, e il nulla è la mia passione. Eppure dall’istante in cui avevo visto la ragazza alla finestra vivevo in una continua tensione che non conoscevo più da quando ero un ragazzo… J. Roth da Aprile La storia di un amore
Poi cucinare…
Nello straordinario racconto Cucina all’aperto (Dirty kitchen), l’autrice statunitense di origine filippina Jill Damatac racconta la preparazione della tinola, piatto confort del suo paese: una zuppa di pollo allo zenzero, non bella a vedersi e nemmeno così gustosa al primo cucchiaio. Quel cibo è solo al secondo assaggio che sprigiona gli umori caldi del brodo di pollo, della corteccia di zenzero e della moringa in foglie, gli ingredienti piccanti; entrambi mitigati dal gusto dolciastro del chayote ridotto in pezzi che in cottura diventano morbidi e quasi trasparenti. È così che al secondo ‘assaggio’ la memoria dell’infanzia torna ad essere ‘magica’, assieme ai nonni Lolo e Lola, per le strade del proprio paese, sotto la luce diversa del pacifico, indimenticabile anche per chi nella propria esistenza ha già viaggiato tanto in lungo e in largo…
Poi arriva il momento del sisig, maiale cucinato in tre modi, piatto robusto e saporitissimo. Questo, un vanto della cucina filippina già al morso, diventa invece spunto per una riflessione sul proprio posto nel mondo, testimoniato da ciò che è possibile acquistare e mettere a tavola, oltre ciò che la fantasia e l’ingegno umano hanno da sempre creato in cucina per superare la povertà di mezzi: il cibo è rivelatore della povertà, non della miseria, almeno nel passato recente dell’autrice ed è dolce amara realtà per molti popoli nella concretezza dell’oggi. Qui sono riportati alcuni stralci del racconto che danno solo un’idea della ricchezza di immagini prodotte in modo intelligente e con uno stile chiaro ed emotivo dall’autrice….
«La tinola è umile. Non attira l’attenzione dei gastronomi per il suo aspetto, che è pallido e acquoso, né per l’odore, che è di pollo lesso allo zenzero, e neppure per il sapore, che affiora, delicato e gentile sulla lingua, solo al secondo boccone.
Quando ero piccola, prima di lasciare l’assolato caos pacifico del nostro mondo per il freddo silenzio atlantico del nuovo mondo, spesso la domenica a pranzo mangiavamo la tinola da Lolo e Lola, dove di solito passavo i fine settimana. La mattina presto, Lolo e io percorrevamo le strade del quartiere per comprare il pan de sal fresco dal fornaio, mentre io saltellavo con i galli borbottando una canzone e lui colpiva l’aria a cazzotti, proprio come faceva con i soldati statunitensi durante la guerra. In Pennsylvania, dove Lolo ci aveva seguito un anno dopo la nostra partenza, mi accompagnava a scuola e veniva a riprendermi, e ci passavamo di mano in mano un sacchetto di tamarindo aspro e appiccicoso, sputando sul palmo delle mani i semi lisci e luccicanti. Aveva sempre ai piedi le sue Reebok immacolate e a volte indossava a un gigantesco cappello da cowboy. Ricordo ancora la mia vergogna quando si presentava con quel cappello.
È stato in quei primi anni trascorsi nella terra dei liberi e patria dei coraggiosi che ho scoperto il sentimento della vergogna, che è fame di orgoglio, e della solitudine, che è fame di appartenenza. Il semplice abbraccio della tinola, con il suo brodo chiaro speziato di zenzero, mi aiutava a saziare l’una e l’altra fame, e la mia lingua assaporava il gusto della terra in cui ero nata.. (…) I pensieri di mia nonna erano sempre altrove, forse a Kabunian, il mondo celeste da cu discendiamo, o a Dalom, il mondo sotterraneo dove l’aspettavano i fratelli minori e due bambini che aveva perso. (…)
Tinola – zuppa di pollo allo zenzero per 4 persone
1 kg di cosce di pollo con la pelle, non disossate (opzionale: zampe, collo, cuore, fegatini e ventriglio)
1 chayote privato dei semi, sbucciato e tagliato a cubetti
1 tazza di foglie di moringa
5 spicchi di aglio schiacciati
Pezzi di cm 3×5 circa di zenzero sbucciato, tagliati a fiammifero
1 cipolla rossa a dadini
8 tazze di brodo di pollo, salsa di pesce per insaporire
Nella provincia statunitense degli anni novanta la moringa era introvabile. Mamma la sostituiva come poteva, usando gli spinaci o il cavolo cinese, a seconda di quello che c’era al supermercato. Quando riusciva a trovare foglie di pepe al negozio asiatico del quartiere, io avevo la responsabilità di tirare fuori il pacchetto duro come un sasso dal freezer e scongelarlo in una ciotola d’acqua calda accanto al lavandino della cucina mentre facevi i compiti. Scrivevo temi su Colombo, Pizarro e Cortés che avanzavano pretese su una terra che non era mai stata la loro. Avevo dimenticato dov’ero nata. (…)
Vorrei che avessimo avuto più tempo insieme. La notte in cui lasciò il mondo terrestre, Lolo mi fece visita per l’ultima passeggiata dello spirito. In quella passeggiata era un caldo pomeriggio a Manila, con la pioggia che schiacciava le foglie autunnali sul terreno in uno scivoloso tessuto marrone. (…) Abbiamo percorso il luogo dove sarebbe stato sepolto camminando insieme fianco a fianco, i miei piedi nudi che facevano presa sulle foglie viscide, le Reebok bianche di Lolo intatte nonostante la pioggia, che io non sentivo sulla pelle. Quello che sentivo era la sua comprensione: dei miei fallimenti, della distanza e dell’inevitabilità del tempo. (…)
Sisig. Maiale cucinato in tre modi per 4 persone
1 Kg di pancia di maiale
120 gr di orecchie e 120 gr di muso di maiale
120 gr di fegato di maiale tagliato a dadini
4 uova
5 foglie d’alloro
1 cucchiaio di pepe nero in grani
1 cipolla rossa tagliata a dadini
6 peperoncini occhio d’uccello a dadini
10 spicchi d’aglio tritati
60 ml di aceto di canna da zucchero
2 cucchiai di succo di calamondino
Sale marino e pepe nero macinato
Mango verde, aglio, sale, peperoncino, aceto: nella sua forma originale il sisig era senza carne, vegetale, crudo. Viene dal popolo di mia madre, i kapampan-gan. Discendenti di tribù indonesiane, si stabilirono nelle pianure centrali insieme ai nostri veri nativi, gli aeta dalla pelle color terra bruciata. Divinità guerriere dettero forma alle loro isole in battaglia, uno stallo continuo tra vulcani in ebollizione e un mare rabbioso. (…) Il sisig serve a ricordare. Mentre sfrigola nella padella di ghisa ti ricorda la trasformazione che solo il fuoco sa provocare. Mentre i tuoi denti digrignano sulla carne di maiale croccante, tenera e gommosa, ti ricorda tutto quello di cui è fatto. E mentre il calore aspro e piccante indugia sulla lingua, ti ricorda come ingoiare le verità sgradite. (…)
Lo spuntino preferito di mia madre discende da questa cura autoctona: manghi verdi, aceto amarognolo, salsa salata. È anche il mio preferito. È stato un tonico rinvigorente mentre crescevo nella zuccherosa cornucopia americana, mentre mi stabilivo nella clotted cream del Regno Unito. (…)
«Se mangi troppo sisig muori», mi ha detto una volta mio zio Arnold. Ti riempie le vene, appesantisce il sangue, ferma il cuore. Un tempo ringraziavamo gli dei con massacri sacrificali, ma ora i maiali servono per fare i pulutan, trangugiati fino alle ore piccole da tipi sudati in maglietta. Li mandano giù con la birra e il karaoke di Frank Sinatra, affliggendosi per tutto quello che avremmo potuto essere. Guardandoci dall’alto anche i nostri dei si affliggono. (…)
«Vuoi sapere perchè il mio sisig è speciale?» mi ha chiesto lo zio qualche tempo fa davanti a un piatto sfrigolante. Stavamo mangiando insieme accanto al vulcano, il Taal. (…) «Perché lo faccio con la pancia di maiale. Di solito si prepara con le parti più economiche del maiale. Ma perché dovremmo mangiare solo le parti meno costose? E amore. Lo cucino con amore». (…)
Lontani dai nostri barrios, dalle montagne e dalle isole, noi cuciniamo per esercitarci a ingoiare le nostre sgradite verità, acide e pesanti di sangue. Il sisig, come le nostre isole, si cucina in tre modi e noi – discendenti degli dei, nati nelle cucine all’aperto – dobbiamo imparare a conoscerli uno per uno.» Tradotto e pubblicato dal settimanale Internazionale n. 1391 8-14 gennaio 2021 https://www.internazionale.it/ con https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.
Gustare
Le coppe di gelato alla crema testimoniano un momento straordinario della crescita della giovane Fini nel racconto Lo specchio cieco* di Joseph Roth, Adelphi. Momento di svago settimanale dalle durezze d’un esistenza bambina obbligata a confrontarsi troppo presto col mondo adulto. Un mondo adulto che sembra correrle avanti e che nel suo mistero le appare libero, eppure perverso, già nelle vesti dell’amica più grande Tilly che come lei corre dietro all’incognita della crescita. La coppa di gelato resta uno dei pochi momenti sociali gioiosi e lucenti d’una vita breve segnata dall’abbandono…La coppa è una conquista dorata, densa di significati…
«Davanti a Trillby furono tentate dal gelato di crema ricoperto di delicate cialde nelle coppette rotonde, le mezze porzioni e le intere sui tavolini di marmo all’esterno, e dalle profonde poltrone di vimini. Il denaro, amaramente guadagnato col recapito delle lettere, se ne andò per metà così, la cameriera ebbe la mancia, e appena in tempo prima che un allievo ufficiale da dietro si accingesse ad accostarsi al tavolo delle ragazze, queste si alzarono e rinfrancate, con in viso la luce del sole che tramontava davanti a loro, girarono l’angolo. Nelle strade c’era la primavera (…) Salirono sulla terrazza del ristorante, su per magnifici gradini di marmo, come quelli che conducono a troni e a gelati di vaniglia di un giallo tenue, che si squagliano in coppe dolcemente svasate. Sedettero in un angolino, i ginocchi premuti contro il piano di marmo del tavolo basso, e il suono argentino di un piccolo cucchiaio che batteva tintinnando sul cristallo stordiva per una minuscola frazione di secondo. (…) Grande e carico di stelle è il cielo sopra di noi, troppo alto per essere benigno, troppo bello per non contenere un dio. Le inezie vicine e l’eternità lontana hanno un nesso, e noi non sappiamo quale. Lo sapremmo forse se a noi giungesse l’amore, che è affine alle stelle e al passo furtivo del gatto, al fischio della nostalgia e alla grandezza del cielo.»
E ricordare
Anche di persone passate come meteore nell’esistenza può restare sulle papille il gusto di qualcosa che preparavo bene e sapevano offrire. Quel sapore (è nella letteratura mondiale) resterà nel tempo epifania e illuminazione, ricordo, testimonianza d’ogni piccola vita, né brutta né bella, né troppo sfortunata né poco, quella di chi portava negli occhi la gioia di donare, l’attesa di un futuro se non dolce meno aspro, forse mai arrivato eppure evocato….
Ricette d’amore
Di tuo
contro ogni previsione
mi resta una vecchia ricetta:
un boccone di grano
e la dolcezza
dell’acqua di zagara
Negli occhi asimmetrici
il tuo destino
e a specchiarcisi
dentro
quello mio
non di meno
Di te non posso
raccontare molto
se non che la tua vita
è stata come il boccone di grano
e come l’acqua di zagara
così breve al palato
ed intensa
un respiro
d’amaro e mandorla
uno sguardo – solo –
che porto nel mio
e che non mi dimentica
*I testi dai racconti di Joseph Roth, entrambi nel volume Il mercante di coralli – Adelphi
Immagini web: Jan Davidsz. de Heem: Natura morta con prima colazione, coppa di champagne e boccale
playlist: Ryuichi Sakamoto, Best of
L’articolo è anche su: Variazioni
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