Fattoria etica e positiva
Sono trascorsi oltre sessanta anni dalla pubblicazione de La fattoria degli animali, ed il romanzo satirico di Orwell, pur conservando analisi ed ammonimenti universali, risulta datato. Altri sono gli scenari e le reazioni alle tragedie sempre vive, purtroppo. È da poco uscito, per la Robin Edizioni, Nella Nuova Fattoria ia-ia-oh! di Colombo Cafarotti. L’autore certamente è debitore – e non potrebbe essere diversamente – dell’impianto di fondo, ma già il titolo leggero e scherzoso segna una risoluzione del tutto nuova nello stile e nella sostanza. Anche qui c’è l’allegoria del mondo, gli animali che si umanizzano, la rivoluzione; vi è, in aggiunta, una sorta di processo, un proclama dei diritti e soprattutto un finale lieto, anche se ingenuamente utopico. La trama è comunque ben congegnata e accompagna gradatamente uno sviluppo della storia che sembra sempre star per scadere nel semplicismo; ma ci si accorge presto che si tratta di un equilibrio minimalista voluto e finalizzato al tema dell’armonia tra esseri viventi che governa tutta la narrazione.
Siamo in una fattoria-agriturismo che gli scolari visitano con allegria apprezzandone solo i lati divertenti e piacevoli. Dietro la facciata, naturalmente, ci sono le sofferenze e la morte degli animali. Quindi, con la mediazione tra umani e gli stessi animali – Michelino, il figlio del proprietario, e Arturo, l’asino che in uno slancio d’affetto impara a parlare – arriva la presa di coscienza e la rivoluzione, efficacemente descritta con esilaranti invenzioni, strategie e regie. Alla fine un accordo di convivenza, con reciproche rinunce, nella nuova fattoria-integrata uomo-animali che non prevede morte anticipata. I quadri ed i personaggi, nonostante la scrittura piana, ma scorrevole ed elegante, risultano netti e ben caratterizzati, tanto da rimanere impressi nel ricordo. L’asino Arturo, grande protagonista insieme a Michelino, la mucca Marilena, il cavallo Furio, il toro Domingo, la cornacchia Gertrude, e tanti altri, fin dal nome testimoniano un sottile umorismo e una (auto)ironia – improbabili citazioni latine, ecc… – che percorre l’intero racconto. Ma vi sono anche episodi forti ed impressionanti (la cagnetta Nerina ferocemente abbandonata dal padrone cacciatore perché ha paura degli spari, l’agnellino Ricciutello che ‘sparisce’ a Pasqua, ecc …) che solo la scrittura secca restituisce nella loro spietatezza ad una condanna ferma eppure priva di odio. Ecco la descrizione della fine della povera Nerina: “… Era un cane. Aveva un mantello bianco e nero. Era arrotolato su se stesso. Provò a toccarlo con la punta del bastone: la pelle si afflosciò, polverizzandosi.”. Dunque un libro al quale ci si può accostare dubbiosi, ma che lascia l’impronta di un’opera compiuta e gradevole, nel segno di una trattazione lieve di filosofia applicata.
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