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Fattoria etica e positiva

Fattoria etica e positiva
Febbraio 10
10:50 2012

pucciarelli-fattoriaSono trascorsi oltre sessanta anni dalla pubblicazione de La fattoria degli animali, ed il romanzo satirico di Orwell, pur conservando analisi ed ammonimenti universali, risulta datato. Altri sono gli scenari e le reazioni alle tragedie sempre vive, purtroppo. È da poco uscito, per la Robin Edizioni, Nella Nuova Fattoria ia-ia-oh! di Colombo Cafarotti. L’autore certamente è debitore – e non potrebbe essere diversamente – dell’impianto di fondo, ma già il titolo leggero e scherzoso segna una risoluzione del tutto nuova nello stile e nella sostanza. Anche qui c’è l’allegoria del mondo, gli animali che si umanizzano, la rivoluzione; vi è, in aggiunta, una sorta di processo, un proclama dei diritti e soprattutto un finale lieto, anche se ingenuamente utopico. La trama è comunque ben congegnata e accompagna gradatamente uno sviluppo della storia che sembra sempre star per scadere nel semplicismo; ma ci si accorge presto che si tratta di un equilibrio minimalista voluto e finalizzato al tema dell’armonia tra esseri viventi che governa tutta la narrazione.

Siamo in una fattoria-agriturismo che gli scolari visitano con allegria apprezzandone solo i lati divertenti e piacevoli. Dietro la facciata, naturalmente, ci sono le sofferenze e la morte degli animali. Quindi, con la mediazione tra umani e gli stessi animali – Michelino, il figlio del proprietario, e Arturo, l’asino che in uno slancio d’affetto impara a parlare – arriva la presa di coscienza e la rivoluzione, efficacemente descritta con esilaranti invenzioni, strategie e regie. Alla fine un accordo di convivenza, con reciproche rinunce, nella nuova fattoria-integrata uomo-animali che non prevede morte anticipata. I quadri ed i personaggi, nonostante la scrittura piana, ma scorrevole ed elegante, risultano netti e ben caratterizzati, tanto da rimanere impressi nel ricordo. L’asino Arturo, grande protagonista insieme a Michelino, la mucca Marilena, il cavallo Furio, il toro Domingo, la cornacchia Gertrude, e tanti altri, fin dal nome testimoniano un sottile umorismo e una (auto)ironia – improbabili citazioni latine, ecc… – che percorre l’intero racconto. Ma vi sono anche episodi forti ed impressionanti (la cagnetta Nerina ferocemente abbandonata dal padrone cacciatore perché ha paura degli spari, l’agnellino Ricciutello che ‘sparisce’ a Pasqua, ecc …) che solo la scrittura secca restituisce nella loro spietatezza ad una condanna ferma eppure priva di odio. Ecco la descrizione della fine della povera Nerina: “… Era un cane. Aveva un mantello bianco e nero. Era arrotolato su se stesso. Provò a toccarlo con la punta del bastone: la pelle si afflosciò, polverizzandosi.”. Dunque un libro al quale ci si può accostare dubbiosi, ma che lascia l’impronta di un’opera compiuta e gradevole, nel segno di una trattazione lieve di filosofia applicata.

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