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Evento su Frida Kahlo

Evento su Frida Kahlo
Giugno 07
08:25 2023

Frida Kahlo: Viva mi vida

Il 9 giugno 2023 alla Galleria “La Dama Blú” della scultrice Gabriella Munzi, in zona Largo Argentina (Via dell’Arco dei Ginnasi, 7) a Roma,  le Poetesse Verónica Paredes ed Elisabetta Pamela Petrolati, presenteranno l’evento Viva mi Vida dedicato alla pittrice messicana Frida Kahlo.

La Madrina d’Onore dell’evento sarà la Poetessa Luciana Raggi e parteciperanno alla manifestazione importanti artisti del mondo romano e internazionale come la ballerina Teresa Silvia Sotomayor Coronado, che si esibirà, indossando le vesti della nota pittrice, eseguendo danze tradizionali messicane in uno spettacolo realizzato secondo il Progetto Frida Kahlo 360 gradi, ideato e scritto dall’artista messicana Cecilia Salaices. La Salaices è Presidente della Associazione DILA (Messico) e della Associazione Orchidea Latina aps – che si prefigge di rappresentare in forma autentica la cultura e le tradizioni del Messico -, e parteciperà all’incontro indossando per l’occasione l’abito tradizionale della Catrina Calavera.

Interverranno alla manifestazione la poetessa, scrittrice e giornalista Manuela Minelli, ideatrice e Direttore Editoriale del portale Elisir Letterario – Scrittori&Scritture, l’Attrice e Modella Chiara Pavoni, la cantante lirica Marcella Foranna e i Poeti e Poetesse Elisabetta Biondi Della SdrisciaPatrizia Boi, Maria Buongiorno, Mateo Cammarone, Alessandra CarnovaleAngela DonatelliGuido Fauro, Letizia LeoneAnthony Morales, Anita NapolitanoVerónica Paredes, Marina PetrilloElisabetta Pamela Petrolati, Luciana Raggi, Tullia RanieriBruno Nicola Rapisarda, Tiziana Resta, Gilles Roux

È in fase di organizzazione la manifestazione per il 10 settembre anche presso un importante Palazzo Storico posto nei dintorni di Roma.

Teresa Silvia Sotomayor Coronado in una gara internazionale a Salerno con la Scuola dell’Olimpo

 

Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán6 luglio 1907 – Coyoacán13 luglio 1954), ormai dagli Anni Settanta, è diventata un mito, non solo in Messico, non solo in America, ma anche in Europa e in tutto il mondo. Per quale motivo la figura di questa donna si sta imponendo alla nostra cultura occidentale come fenomeno sociale?

Di certo perché era una ragazza ‘diversa’ che per essere nata con la spina bifida (scambiata per poliomielite) si ritrovò a 6 anni con il piede e la gamba destra deformi, tanto da essere soprannominata dagli altri bambini “Frida pata de palo” (gamba di legno). Immaginate una graziosa bambina, di buona famiglia, che si sente malata ed handicappata per questa sua stranezza e la nasconde prima con i pantaloni e poi con lunghe gonne messicane. Un destino avverso già da piccola: eppure, quando si fece grande, questo vestiario si trasformò in un segno distintivo esotico, cardine della sua personalità e dell’ammirazione del suo pubblico.

Se chiediamo alla Poetessa ecuadoriana Verónica Paredes per quale motivo abbia così a cuore la pittrice Frida Kahlo e ne abbia fatto il centro di questo reading poetico, la risposta è avvincente:

Catrinas

«Frida, al di là dei suoi suggestivi e poetici dipinti, mi ricorda i colori della mia terra. Mi colpisce proprio la sua spontaneità nell’indossare quelle lunghe gonne messicane, pettinata con quelle trecce con nastri colorati e agghindata con collane e orecchini in stile precolombiano. Il suo abbigliamento assolutamente personale che richiama l’influenza del nazionalismo rivoluzionario in Messico finisce per renderla quasi un’icona del movimento di liberazione della donna. In realtà Frida finisce per indossare – e dipingersi nei suoi autoritratti – con il vestito degli zapotechi, un popolo indigeno messicano che vive nello stato di Oaxaca, nell’istmo di Tehuantepec, molto orgoglioso delle proprie tradizioni che risalgono a circa 3.500 anni fa. Gli abiti artigianali femminili servono a rafforzarne l’identità e a metterne in luce la reputazione di “società matriarcale”. Le donne infatti gestiscono i mercati locali e si possono anche permettere di deridere gli uomini ai quali spetta invece la gestione del potere politico. Il contrasto tra la cultura machista dominante in Messico e in tutta l’America Latina e la cultura indigena zapoteca è impressionante e il fatto che Frida ne abbia sposato le convinzioni è stato in qualche modo un elemento rivoluzionario per quel periodo. Inoltre in questo tipo di cultura non esistono differenze nelle classi sociali, l’abito di ogni donna è allo stesso modo colorato, riccamente ricamato e poetico. Del resto una delle figure più popolari della cultura messicana, è la Catrina Mexicana, o Calavera Catrina, rappresentata dallo scheletro di una gran dama elegantemente vestita che indossa un tipico cappello, la quale nel suo simbolismo ci comunica che la morte è democratica, perché di fronte ad essa siamo tutti uguali…».

Ricordiamo che l’abito femminile di Tehuantepec è costituito da una huipil (camicia senza maniche), una sottoveste (gonna con pizzo) combinata con un holo e altri accessori, gioielli d’oro come bracciali, torzales, pettorali e girocolli. L’huipil e la sottoveste sono di velluto, raso, pelle d’angelo o pelle di pesca con ricchi ricami floreali variopinti. Come si vede nei dipinti di Frida, è fondamentale il copricapo, un’apertura circondata di pizzo che ha una funzione estetica ma indica anche la situazione sentimentale di chi lo indossa, mentre le scarpe con tacchi bassi, un tempo erano sandali chiamati huaraches. Ogni costume, inoltre, è diverso dall’altro perché sono prodotti interamente artigianali.

Un viaggiatore francese, Charles Etienne Brasseur, descriveva così la donna Tehuana:

«Quella sera indossava una gonna in un gessato, verde acqua … una seta rossa chiffon huipil incarnata, ricami in oro … i suoi capelli, separati sulla fronte e intrecciati con lunghi nastri azzurri, formavano due splendide trecce … Non ho mai visto un’immagine più impressionante di Iside o Cleopatra».

 Catrinas

A Frida interessava di certo anche un altro aspetto della cultura messicana zapoteca come ci spiega ancora la Paredes: «In realtà gli abiti che indossa Frida richiamano la cultura zapoteca anche per un altro motivo, ossia il modello aperto di questa società matriarcale dove, oltre al genere maschile e femminile, esiste anche un terzo genere chiamato Muxe. Chi sono esattamente i Muxes? Si tratta di individui di genere non definito: in questa tradizione infatti i bambini possono scegliere liberamente come vestirsi, che colori indossare e con quali giocattoli giocare, non vengono condizionati con il colore rosa e celeste come nelle società occidentali. Infatti in tutte le famiglie esistono persone di sesso maschile che si travestono da donne e sono integrate perfettamente nella società. Del resto nel mondo precolombiano sia i sacerdoti aztechi che le divinità maya potevano indifferentemente indossare abiti maschili o femminili. E questo aspetto, in una Frida da molti definita bisessuale, doveva esercitare una certa attrazione, perché l’inesistenza di fenomeni di omofobia e transfobia le doveva sembrare rivoluzionaria rispetto alla chiusura della società machista».

Frida, era sempre stata una donna in contrasto col suo mondo, non aveva mai avuto timore di entrare in conflitto, anzi cercava l’appartenenza a qualcosa di rivoluzionario: come quando le piaceva affermare di essere nata nel 1910, poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana.

Suo padre era un ebreo ungherese e sua madre una messicana della buona società, quindi aveva potuto frequentare il liceo presso il Colegio Alemán, la scuola tedesca in Messico, e poi si era iscritta alla Escuela Nacional Preparatoria di Città del Messico per studiare medicina. E già da allora faceva parte di un’organizzazione studentesca di idee socialiste nazionaliste, quella de “Los cachucas”, dal nome dei berretti di stoffa con visiera che indossavano per rappresentare il loro essere sovversivi rispetto all’abbigliamento rigido di quel periodo.  Frida e Alejandro Gómez Arias, che era il suo fidanzato, erano tra i 9 elementi cardine del gruppo. All’epoca lei non aveva ancora intrapreso la sua carriera artistica pur mostrando interesse per le arti figurative.

  

Frida

E proprio mentre viaggiava con Alejandro su un autobus “Il 17 settembre 1925”, accadde qualcosa che cambiò la sua vita.

Com’è possibile che proprio dopo un urto così terribile Frida abbia trovato la sua strada? La colonna vertebrale spezzata in due punti, tre fratture al bacino, undici fratture al piede destro, lussazione del gomito sinistro, ferita profonda dell’addome provocata da un pezzo di metallo entrato dall’anca destra e uscito dall’organo sessuale, strappando il labbro sinistro: un’ossatura distrutta, con rotture in punti nevralgici per il sostegno della propria identità e soprattutto una sessualità devastata che le avrebbe procurato difficoltà nel concepimento, la costrinsero per nove mesi a letto, immobile, con un fastidioso busto di gesso e poi ancora due mesi di riposo assoluto anche dopo le dimissioni dall’ospedale. Vi immaginate? Proprio i tempi di un parto e di un allattamento! E l’idea la partorì sua madre: le donò un letto a baldacchino e pose uno specchio proprio sopra di lei consentendole di osservarsi mentre giaceva in stato d’immobilità. Le diede l’opportunità di non essere sola, ma di avere la compagnia incessante della sua immagine riflessa. Il resto lo fece «una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza» e un cavalletto applicato al letto. E da una sorte avversa che le aveva fatto sfiorare la morte, che l’aveva tenuta per lunghi mesi avvinghiata alla Calavera Catrina, nacque il ‘percorso artistico’ più straordinario della storia del Messico. È chiaro che una donna capace di trasmutare in arte il suo dolore, il suo trauma, il suo dramma, non poteva che creare attenzione per la sua forza, per il suo attaccamento alla vita, per la sua risolutezza. Pittura e impegno politico furono i gemelli partoriti da questa lunga condizione di invalidità.

E cosa poteva dipingere un’invalida allettata costretta solo a guardare se stessa? Autoritratti, autoritratti e ancora autoritratti. Normalmente la gente che vive la sua vita di corsa, impegnata in un lavoro incessante, attraversando le fatiche della vita quotidiana, non ha il tempo per guardare se stessa. Frida, invece, anche grazie alla situazione di agiatezza della sua famiglia, poteva concentrare tutto il suo tempo nella missione di scoprire se stessa e attraverso se stessa riconoscere anche i misteri della sua terra. Si raffigurava sempre con due folte sopracciglia evidenti sulla fronte spaziosa, sempre più illuminata da una visione interiore, dall’apertura del terzo occhio. Del resto, come affermava Frida stessa «passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio».

Partendo dall’unico scorcio che le consentiva la sua condizione immobile, cominciò ad esplorare ogni suo dolore e ogni dolore del mondo, forte della magia che nasceva da ogni sua pennellata.

Frida

Verónica Paredes ha chiesto alle poetesse che parteciperanno al Reading di raccontare il mondo di Frida proprio per l’ammirazione che suscita questa donna, come afferma lei stessa «Frida consente a noi poeti di fare una riflessione sul personaggio, sulla sua arte, sul suo universo variopinto, sulla sua immagine originale, su quel suo sguardo intelligente, sulle simbologie di cui sono intrisi i suoi dipinti, sui riferimenti folcloristici del suo abbigliamento, sulla sua capacità introspettiva, sulla sua forza interiore, sui suoi amori sbagliati o forse giusti, sulla sua mancata maternità, sul matriarcato degli zapotechi, sulla bisessualità, sul terzo genere dei Muxes, sulla Calavera Catrina, sulla vita, sulla morte, sui miti della terra messicana e di tutta l’America Latina, sulla rivoluzione politica, sociale, interiore di cui possiamo essere capaci e di cui abbiamo incessantemente bisogno. Ogni poeta potrà porre l’accento o esaltare uno di questi temi, o trovarne degli altri, ognuno con il suo gusto e la sua sapienza, con il suo talento per un aspetto o un altro, liberamente a seconda del proprio interesse. E il pensiero di ognuno di loro sarà per me un dono, una conoscenza in più, una riflessione che non ero stata capace di fare, uno specchio specchiante l’anima di Frida e della sua terra».

Elisabetta Petrolati, per esempio, si è concentrata sul rapporto di Frida col mito de La Llorona, molto radicato in Messico.

In epoca precolombiana, gli abitanti nella zona del lago di Texcoco, durante la notte sentivano il lamento di uno spettro di donna, Chocacihuatl (in lingua náhualtlchoka significa piangere e cihualtl, donna), la prima di tutte le madri che morì di parto. Si narrava che in quel lago galleggiassero i teschi di questa madre e di suo figlio e che inseguissero qualsiasi viaggiatore intrappolato nel buio della notte. Era una entità molto temuta perché poteva portare sfortuna e morte e la leggenda si diffuse nel tempo in molte versioni differenti. La Petrolati è stata colpita da questa leggenda e ha deciso di incentrarsi su di essa, ma solo in un secondo tempo, infatti, come afferma lei stessa «in un primo momento volevo raccontare la relazione tra Frida e Diego Rivera, il loro matrimonio spirituale fatto di condivisione materiale, artistica e animica. Volevo comprendere questa profonda connessione tra i due artisti e trasformarla in poesia, ma poi non ne sono stata più convinta. In realtà, se esaminavo meglio la questione e guardavo i suoi quadri, mi sembrava che i meccanismi fossero altri e che questa relazione non fosse così felice come veniva dipinta dalle leggende metropolitane su Frida e Diego. È vero che lui fu davvero importante per la sua arte, fu un incontro che la fece crescere spiritualmente e non nego nemmeno che Frida e Diego abbiano trascorso dei momenti felici. Però questo non era quello che voleva Frida, o meglio non era abbastanza. Lei da un lato aveva bisogni che Diego non poteva soddisfare, dall’altro rispondere agli infiniti e nemmeno celati tradimenti di Diego con la stessa moneta, mi sembra sia stata solo una reazione e non la soluzione del problema. Certo nella società machista dell’epoca dove un uomo poteva fare quello che voleva con un numero illimitato di donne, trovare una donna che si ribellava tradendolo a sua volta nello stesso modo, con uomini e pure donne, insomma con chi le capitava, doveva sembrare un atto rivoluzionario. Ma lo era davvero? Con queste azioni metteva a tacere il dolore causato da questi tradimenti? Oppure lo riversava come una ferita aperta e sanguinante sulle sue tele? Diego era il secondo incidente della sua vita, quindi quell’incontro le provocò tante ed altre insanabili rotture…».

Dipinto di Frida Kahlo, Frida e Diego Rivera (1931)

Come emerge dal dipinto di Frida, Frida e Diego Rivera (1931), la loro coppia sembrava formata da “un elefante e una colomba”, a causa del loro aspetto diametralmente opposto: lui alto, robusto e mastodontico, dai modi alquanto rozzi, lei esile e minuta – indebolita dalle conseguenze dell’incidente -, dal portamento elegante e gentile. Il loro rapporto era tutt’altro che canonico: lei decise di sposarlo pur conoscendo la sua reputazione di dongiovanni, consapevole che l’avrebbe incessantemente tradita. Nonostante tutto comunque furono legati per una ventina d’anni in un rapporto che oggi però si potrebbe definire ‘tossico’. Dal punto di vista artistico possedevano una stima reciproca e non sembravano sentirsi vicendevolmente subalterni, tanto che Diego, nel suo dipinto Desnudos sentado con brazos levantados realizzato nel primo anno di matrimonio -, raffigurò Frida nella sua bellezza scarna ma decisa, dolce e delicata, forte e scultorea. Condivisero inoltre la passione politica oltre che quella per la pittura e un sacco di amici d’arte e di lotta. Frida viveva però – per dirla con Riccardo Dalle LucheSimone Bertacca -, uno stato di dipendenza affettiva disfunzionale: per lei la relazione di coppia rappresentava la condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza. Finì per annullarsi totalmente in Diego per paura di rompere la relazione o di essere abbandonata: la sua identità instabile aveva bisogno del rapporto amoroso per confermarsi come persona, necessitava della vicinanza asfissiante dell’altro per sopportare il suo vuoto d’identità in una sorta di meccanismo psichico sostitutivo. Frida desiderava essere riconosciuta come donna e come artista piuttosto che come invalida e «Diego incarnava la figura di istrionico e affascinante genio, irresistibile seduttore, grande pittore, che avrebbe potuto garantire a Frida un riconoscimento come donna e come artista». Nello stesso tempo Rivera era capace di frustare tutti i suoi bisogni identitari a causa del tradimento, tanto che nell’opera Qualche colpo di pugnale (1935) – dipinta dopo aver saputo del tradimento di Diego con sua sorella -, «Frida rappresenta sé stessa come vittima di un omicidio perpetuato dal marito, un omicidio metaforico della loro relazione (…) l’uccisione dell’oggetto d’amore e della possibilità da parte di Diego di amare in modo paritario e reciproco. Diego viene presentato come un sadico assassino (…)». Del resto quest’uomo era un narcisista patologico con un continuo bisogno di relazioni femminili per sentire soddisfatto il suo narcisismo. «Ai tradimenti ripetuti e spesso del tutto superficiali di Diego, seguirono in un secondo momento i tradimenti feroci e vendicativi da parte di Frida. Il magico vissuto totalizzante della fusionalità si trasformò in una lunga storia di infedeltà reciproche, vendette, interruzioni, ricongiunzioni, e ri-idealizzazioni».

In un rapporto sano, l’armonia della coppia è invece fondata sul reciproco rispetto, su un dialogo che consenta di affrontare le vicendevoli paure, sulla capacità di riconoscere e accettare l’altro come individuo diverso da sé, allo scopo di realizzare una relazione più autentica.  Tra Frida e Diego invece c’era una chiara e mutua dipendenza che si riversava con tutto il suo dolore e insoddisfazione nelle loro opere. E quando Frida decise di lasciarlo, «la perdita definitiva di Diego non era soltanto la perdita di un oggetto esterno a sé, ma di una vera e propria parte di sé necessaria al mantenimento della coesione dell’Io», tanto che nel suo diario arrivò a scrivere: «Io non ho più niente perché non ho più lui. (…) Non valgo niente, non so fare niente, non posso bastare a me stessa».

In verità nella vita di Frida c’era un altro grande dolore che davvero non era colpa di Diego. Non riuscì a procreare per effetto della ferita subita all’organo sessuale, ci provò tre volte ma la gravidanza si concluse sempre con un aborto. Non potendo avere un figlio dal suo Diego in questa relazione assai tormentata, col passare degli anni, Frida indentificò la vera natura di Diego con l’immagine di un bambino, quel bambino che non aveva potuto partorire nella realtà.  Nell’opera l’Abbraccio amorevole dell’universo, la terra (il Messico), Diego, io e il signor Xolotl, realizzata nel 1949, ricompose la sua relazione con Diego nella raffigurazione di madre con Bambino che le consentiva di creare «una nuova illusoria ed eterna fusione con l’oggetto amato». Come afferma la psicologa Maria Burgarella «L’artista rappresenta le dualità luce-ombra, sole-luna, giorno-notte, bene-male, le polarità maschile e femminile, yin e yang, ma anche l’archetipo della Grande Madre, al centro del quale pone se stessa con tutto il carico di sofferenza fisica, emotiva ed esistenziale sperimentata durante la vita (…) Ponendo se stessa nel grembo della Madre Terra, Frida manifesta la sua connessione e la consapevolezza del legame profondo, viscerale, animico con la madre che genera e nutre. L’archetipo della Grande Madre è primordiale e potente, è collegato alla Luna, al femminile come mediatore tra l’umano e il divino. (…) La Madre Terra, rappresenta, inoltre, lo spirito creativo: in questo mondo, la materia e la terra sono l’espressione femminile del dio maschio».

Diego era quel Dio maschio, adulto e bambino, che consentiva a Frida una visione più profonda, quella suscitata dall’apertura della ghiandola pineale: Rivera stesso compare raffigurato come il suo terzo occhio, aperto verso l’infinito di sé, che creava e ricreava il suo mondo come appare anche nel suo dipinto ad olio del 1943, Autoritratto come Tehuana, (o Diego nei miei pensieri).

Insomma sono tanti e vari i temi che potranno essere trattati dai poeti che si ispireranno alla figura di Frida e siamo curiosi di sapere che cosa si inventeranno.

Data: 9 giugno 2023

Frida Kahlo: Viva mi Vida

Galleria “La Dama Blú

Via dell’Arco dei Ginnasi, 7 – Roma

INGRESSO GRATUITO

Cecilia Salaices vestita da Catrina Calavera

 

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