Eutanasia, il 12 novembre entra nel vivo in corte di assise a Massa il processo “Davide Trentini”: imputati Marco Cappato e Mina Welby
E’ il secondo filone dopo quello di “DJ Fabo” chiuso con una ordinanza della Consulta senza precedenti: il Parlamento è chiamato a legiferare sul tema entro settembre 2019
Avv. Gallo: “Anche in questo caso da escludere in primis il reato di istigazione”
Entra nel vivo il processo a Marco Cappato e Mina Welby, rispettivamente Tesoriere e Co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, che compariranno il prossimo 12 novembre alle ore 9.00 dinanzi alla Corte D’Assise di Massa per una nuova udienza del filone “Davide Trentini”.Verranno auditi come testi i suoi cari.
Come per l’assistenza offerta a Dj Fabo, Cappato questa volta insieme a Welby, saranno chiamati a rispondere del reato di istigazione e aiuto al suicidio, sotto forma di concorso, fornito all’ex barista toscano. Un procedimento basato sulle indicazioni comprese da un codice risalente al periodo fascista, prima ancora della nascita della Costituzione, quando le libertà individuali non avevano vissuto la “primavera” dei diritti civili. Infatti, moltissimi articoli di quel codice sono stati poi aboliti per adeguare la nostra normativa penale allo spirito del tempo.
Il coordinatore del Collegio di difesa di Cappato/Welby, l’Avv.Filomena Gallo (Segretario Ass.Coscioni), fa chiarezza sul doppio filone “Il processo presso la Corte di Assise di Massa che vede imputati Marco Cappato e Mina Welby per l’aiuto fornito a Davide Trentini, continua nonostante l’ordinanza della Corte Costituzionale, perchè innanzitutto c’è il reato di rafforzamento della volontà insieme all’aiuto fornito entrambi previsto dall’art. 580 cp. Come durante il processo svoltosi presso la Corte di Assise di Milano per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani, anche in questo caso dovrà essere provato che non c’è stata istigazione, rafforzamento della volontà di Davide. La Corte di Assise di Massa potrebbe dissentire da Milano e condannare entrambi gli imputati o assolverli, oppure potrebbe individuare una diversa questione di costituzionalità oppure no”.
DAVIDE TRENTINI
In pochi conoscono la storia di Davide Trentini. Davide era malato di sclerosi multipla dal 1993. Aveva 53 anni e la sua vita, segnata da una salute progressivamente sempre più deficitaria, era diventata un calvario. Per questo ha contattato prima Marco Cappato e poi Mina Welby, per poter conoscere come accedere alla morte volontaria in Svizzera. Dopo vari incontri e dopo l’aiuto di Mina nello sbloccare alcune procedure burocratiche – svolgendo anche il delicato ruolo di interprete in lingua tedesca con la medesima clinica elvetica – Davide ha ricevuto il cosiddetto semaforo verde.
In un messaggio di saluto, che ha voluto lasciare attraverso l’Associazione Luca Coscioni per spiegare e rendere pubblica la sua decisione, ha detto: “Basta dolore”. “La cosa principale è il dolore, bisogna focalizzarsi sulla parola dolore. Tutto il resto è in più”. Così il 13 aprile 2017 in una clinica di Basilea, accompagnato da Mina Welby, ha scelto l’eutanasia, attraverso il suicidio assistito. Si tratta, nello specifico, di una forma di eutanasia, legale in Svizzera, dove a seguito di un iter strettamente regolamentato, e sotto controllo medico, la persona che ne fa richiesta autonomamente si somministra il farmaco, senza intervento di terzi.
Il giorno dopo Mina Welby, che gli era stata affianco e d’aiuto nel viaggio, e Marco Cappato, che aveva raccolto, attraverso l’associazione Soccorso Civile Sos Eutanasia di cui fanno parte entrambi insieme a Gustavo Fraticelli, i fondi mancanti per pagare la clinica Svizzera, si sono presentati presso la Stazione dei carabinieri di Massa per autodenunciarsi. Anche in questo caso, come in quello di Dj Fabo, una disobbedienza civile volta a mettere sotto processo l’art. 580 del codice penale, rubricato “istigazione o aiuto al suicidio”, che sostanzialmente vieta in Italia l’aiuto all’atto di morte volontaria consentito in Svizzera.
L’autodenuncia di Mina Welby e Marco Cappato ha aperto un nuovo fronte processuale che mette in gioco la loro libertà: violare l’art. 580 del codice penale, infatti, significa poter essere condannati dai 5 ai 12 anni di reclusione.
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