Ermeneutica della Verità
In un contesto inquietante, come quello della post-modernità, che ci vede bisognosi di un senso che orienti e misuri le nostre scelte, non si può non apprezzare il contributo di una pensatrice atipica come Simone Weil (1909-1943), filosofa francese di origine ebraica che fu attivamente impegnata nelle lotte operaie e nella lotta al nazismo. Accomunando Israele a Roma per i sentimenti di autoaffermazione e conquista, ella sostiene che il primo abbia usato la fede religiosa similmente ai romani, sebbene le proprie vicissitudini non gli abbiano insegnato la differenza tra il culto della forza e la sincera ricerca del Bene e della Verità. Lo stesso mondo moderno (ella omette riferimenti all’ideologia nazista) tenderebbe a sostituire la ricerca della verità, apparentemente fragile, con l’illusione del potere mediante il nuovo schiavismo, come quello degli operai nelle fabbriche. In generale ciò avviene qualora una fede religiosa tenda a trasformarsi in un’ideologia, peraltro totalizzante, e la mancata consapevolezza dei limiti faccia sì che l’uomo scivoli nell’illusione lasciandosi disumanizzare da inique aspirazioni, diventando strumento della necessità naturale e dimenticando la dignità, ciò che è accettazione attiva della situazione personale. Da qui all’assunzione della logica della violenza che genera ingiustizia e morte il passo è breve. La riflessione innovativa sui rapporti tra fede (o rivelazione) e ragione, tra teologia e filosofia, tra dialogo interreligioso e pluralismo culturale, avviene sulla base dell’Ermeneutica (dal greco ermenéuein, interpretare), attività teoretica che perviene a principi teorici circa il concetto di Verità ponendosi come modello di lettura interpretativa del mondo umano. Nello stesso contesto, la proposizione di un passaggio dalla filosofia della religione a una più specifica filosofia cristiana è finalizzata all’assunzione di Cristo a criterio filosofico e metodologico. E se l’ambito della cristo-sofia, proprio della ricerca weileiana, riguarda l’orientamento verso una lettura comparata delle religioni e una rilettura ermeneutica della rivelazione cristiana alla ricerca delle figure con cui Cristo si sarebbe rivelato, quello della cristo-logia si focalizza sulla sintesi ermeneutica della circolarità tra Logos e croce: il Verbo incarnato, storicizzato, ha assunto il dolore sotto forma di croce come pure la durata vitale di un uomo, per operare il passaggio dal tempo all’eternità e ricongiungere il relativo con l’Assoluto. La possibilità di un’ermeneutica di verità passa necessariamente attraverso il dolore umano: solo chi sa rinunciare all’illusione, che distoglie dalla vita concreta, e accetta la croce vivendola attivamente e assumendo il punto di vista Assoluto, cioè di Dio, può aspirare alla rivelazione del Vero e al Bene. “Non è possibile concepire nulla di più grande per l’uomo di una sorte che lo metta direttamente alle prese con la nuda necessità, senza che egli possa attendersi nulla se non da se stesso […]. L’ uomo è un essere limitato a cui non è concesso essere […] l’autore diretto della propria esistenza, ma [egli] sarebbe in possesso dell’equivalente umano di questa potenza divina se le condizioni materiali che gli permettono di esistere fossero esclusivamente opera del suo pensiero che dirige lo sforzo dei suoi muscoli. Questa sarebbe la libertà vera”.
Sulla base del concetto di verità universale, le confessioni “altre” dal cristianesimo per la Weil potrebbero dirsi cristiane, sebbene soprattutto il concetto di impersonalità divina, dovuta al fatto che Cristo sarebbe in grado di assumere diverse forme nella storia, risulti inaccettabile per l’ontologia cattolica, orientata in senso personalistico in virtù della singolarità dell’incarnazione.
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