Ergastolo è pena certa
Accade sempre, in ogni epoca di crisi e di trapasso: chi sta al fondo del barile, all’ultima fila di sedie, inchiodato alla propria condizione per forza o per necessità, non sarà inteso come persona da trattare, ma un numero da contenere e incapacitare. Carcere, sempre più carcere per risolvere problemi complessi che mettono in ginocchio una società; come a dire che è sufficiente buttare via la chiave, omettendo di ricordare che prima o poi si esce invece da quella sorta di terra di nessuno, a volte con i piedi in avanti, altre con le proprie gambe, con lo sguardo che non ravvisa alcuna direzione.
Norme, decreti, leggi di nuovo conio, ognuno a scandire le proprie ragioni, a lanciare strali. È battaglia ideologica disegnata dagli slogan, dalla cartellonistica d’accatto; una dislocazione furiosa di parole contrapposte che avvisano del pericolo carceri svuotate dai criminali, di condoni, amnistie, e chi più ne ha più ne metta. Eppure, alla linea d’arrivo, uscirà poco meno di qualche centinaio di detenuti; non ci sarà alcun sollievo nell’inferno carcerario per nessuna delle sue componenti; non ci sarà possibilità di abbassare la recidiva; non ci sarà formazione né rieducazione: solamente una nuova presa per i fondelli.
A questa ipotesi di prevenzione ubriaca, di sicurezza a pochi denari, occorre aggiungere il capitolo della pena nella sua flessibilità e certezza, tant’è che c’è qualcuno che, senza andare troppo per il sottile, afferma che il cosiddetto “fine pena mai” non è applicato, addirittura non esisterebbe; anzi, con una ventina di anni di carcere scontati si è belli e pronti all’uscita.
Ho seri dubbi che questa boutade corrisponda al vero, mentre non ne ho nel ribadire che una pena che sancisce la fine di un tempo che non passa mai, un tempo che non esiste, che non ti assolve né perdona, un tempo bloccato, non è un’astrazione né una combine della mente: certamente non la pena dell’ergastolo.
Quarant’anni di galera scontata costringono il prigioniero a straripare in universi sconosciuti, in un mondo fatto di domani che non ci sono: una negazione che rinvia alla morte di ogni umanità e riconciliazione. Non è perdita di memoria come scelta individuale per non vedere e non sentire, è lontananza siderale dall’essere, dalla responsabilità di ritrovare e ricostruire se stessi. L’ergastolo rappresenta quanto accade fuori nella società libera. Dentro, è ben più visibile, e rimanere fermi alla medesima stazione di partenza scambiata per arrivo non è un bene per alcuno.
Non è vero che dopo vent’anni come per incanto le porte blindate di un penitenziario si spalanchino. La legge contempla la possibilità di accedere a questo beneficio, ma la realtà è ben altra: la liberazione condizionale non viene quasi mai concessa nei tempi stabiliti, se non con un’aggiunta di dieci o anche venti anni dai requisiti richiesti. Dunque, forse è un bene ricordare quanto ebbe a dire Aldo Moro sugli scopi e l’utilità della pena, un giudizio negativo dato alla pena capitale e alla pena perpetua, perché contraddicono i principi costituzionali in tema di pena: trattamenti contrari al senso di umanità e alle finalità rieducative. L’ergastolo in tanto è costituzionale e legittimo, in quanto non si applica effettivamente.
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