ERA SOLTANTO UN CLOCHARD
Chi ricorda più quel senza fissa dimora bruciato vivo qualche giorno addietro, badate bene, non ho detto qualche anno fa. Ogni sera quell’uomo infagottato in cenci e stracci andava a prendere posizione sulla strada per lasciare a qualche ora di sonno di lenire la propria sofferenza e solitudine. Quanto accaduto a quel clochard non è atroce soltanto perché una vita è stata annientata, lo è anche per l’atteggiamento nei confronti di una tragedia che non può lasciare indifferente alcuno, eppure nonostante il poco tempo trascorso, il pugno nello stomaco ricevuto a tradimento, permangono quegli spazi e attimi di coscienze nientificate. Chi ricorda più quel “barbone”, la sua storia personale, il suo volto, quel morto ammazzato nel via vai di sconosciuti protesi a una sorta di fuga che non esorcizza un bel niente. Passato lo sgomento iniziale, l’indignazione del momento, si tratta solamente di un rinculo per lo spavento, nient’altro di più, nient’altro di meno. Nell’eccesso di abitudine alla fatalità, alla sonnolenta indifferenza, un diritto acquisito sul campo a far finta di nulla, a passare avanti, tanto è cosa di tutti i giorni, c’è però la compassione, quella dimensione che non fagocita cinismo né menefreghismo, non permette di imbrattare la fratellanza umana con il trucco cinematografico della società aperta multiculturale solidale, un falso reso credibile da quella finta partecipazione che fa guadagnare una pseudo cultura della solidarietà, dell’inclusione sociale, assai male recitata. A Milano, a Palermo, a Bolzano, è la stessa cosa, infatti a volte l’istinto a ripararsi, a proteggersi, a correr via, c’è la fuga quale miglior difesa della vita. Ma lì, in quel di più e in quel di meno, c’è un dispiego inaudito di socialità indifferente, di fraternità indifferente, di pietà indifferente. La violenza è nel piatto del cibo, nel biglietto del cinema da poco acquistato, nella scuola abbandonata, nella famiglia squassata per arrivare a sera. La violenza è in ogni curva infilata dritta per arrivare primi, in ogni sgabuzzino camuffato a nascondiglio, in ogni feudo di potere conquistato usando gli altri, abusando degli altri, asfissiando con il sopruso gli altri. Allora chi se ne frega di chi rimane abbattuto sul proprio giaciglio in fiamme, costringendo a una drammatica fermata del proprio viaggio, un uomo in compagnia della propria libertà. Scompare persino la rabbia, non resiste alla gogna neppure l’indignazione, rimangono a fare rumore solo passi affrettati verso una salvezza dall’altra parte della carreggiata, senza volgere lo sguardo, proprio come fanno gli assassini, quelli che hanno addomesticato le passioni, le emozioni di una intera città, i sogni e desideri di una gioventù monca, recisa, troppo spesso buttata via a metà del percorso. Non rimangono da usare neanche tante parole, per tentare di uscire sani di mente e di cuore da simili tragedie, forse non è più sufficiente parlare di educazione, etica, morale, ora occorre scandire un tempo di trasformazione culturale, di fiducia in quegli uomini e in quelle donne che possono ricondurre la società al posto che le compete, quello del rispetto di se stessi e degli altri, dunque, del rispetto della vita.
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