Epidemia
L’uomo ricordava che la città si era già fermata alcune volte. Nel 1985 ed anche l’anno successivo furono neve e gelo ad impedire qualsiasi attività. O forse era stato l’inverno 1986. Comunque sia quell’anno nevicò il giorno dell’Epifania e la città rimase come addormentata, per due o tre giorni, non di più.
Ricordava che quella mattina, ma forse era proprio il 1985, in sole due ore, caddero oltre quaranta centimetri di neve. Durante quell’inverno, per la prima volta, a sua memoria, bus, tram e metropolitana rimasero fermi a causa della neve. Tutta la città era stata zittita dalla coltre bianca. Al pensiero della neve si scoprì poeta. Senza esitazione, soprattutto senza arrossire, disse: “il gelo nel 1986 trasformò alcuni quartieri in un enorme, immobile, surreale, presepe di ghiaccio”…o forse era il 1985, evidentemente non riusciva a decidersi. Ricordò poi, ma con minore enfasi, che la temperatura tornò ai valori consueti proprio mentre si stavano creando i primi problemi di approvvigionamento. Ricordava anche che una donna morì assiderata, mentre era in coda davanti al camion militare che stava distribuendo pane e latte. L’uomo sottolineò quasi con commozione che erano stati i militari a distribuire pane e latte durante l’emergenza e tornò ad essere poeta e retore. Forse non si accorse nemmeno di aver fatto una gaffe quando chiosò : “Non esistono emergenze senza militari e non esistono militari senza emergenze”. La donna fuori campo osservò che era scandaloso che l’uomo non ricordasse le due decine di barboni morti nelle stazioni della metropolitana. Dal momento che la metro non funzionava, l’amministrazione comunale decise di spegnere il riscaldamento nelle stazioni inutilizzate dal servizio: questo gesto fece risparmiare un po’ di denaro pubblico ma condannò a morte i barboni che si erano rifugiati nell’unica stazione lasciata pietosamente aperta. Scoppiò una breve scaramuccia e seguirono insulti politicamente scorretti. Molto scorretti persino per una discussione politica.
Alla fine, un attimo prima che la trasmissione degenerasse, i due convennero che un’epidemia di influenza non aveva mai bloccato la loro città e forse nessuna città al mondo. “Forse qualche sciopero dei comunisti ha causato problemi, ma mai un’epidemia di influenza” si accontentò di concludere l’uomo. Questa volta il borbottio fuori campo fu percepito dai telespettatori solo come un indistinto rumore di fondo. Nessuno ormai difendeva i comunisti a voce alta. A quel punto il conduttore del programma diede la parola ad un leader ambientalista. Il volto del nuovo intervenuto non era di quelli noti ai telespettatori. Evidentemente, però, era il più alto in grado tra i superstiti all’epidemia e si era presentato alla trasmissione in rappresentanza del movimento. Certo, le sue condizioni di salute non erano un inno all’ottimismo: la voce era roca ed usciva a fatica, gli occhi smoccolavano copiosamente ogni tipo di fluido organico. Causa l’assenza di telecineoperatori, il leader ambientalista fu costretto a spostarsi. Prese il posto dell’uomo che aveva appena parlato. Le telecamere in studio erano solo due, fissate su due cavalletti. Una era puntata sempre sul conduttore, l’altra era contesa dagli ospiti. In regia un tecnico mandava in onda il segnale, staccando di volta in volta su una delle due telecamere. Già pensava alle future rivendicazioni sindacali. Minimo sarebbe stato promosso aiuto regista. Telefonò anche a casa : “guarda subito la televisione, ci sono io… no non in video, in regia, da solo!”. La moglie con 40 di febbre neanche rispose. Però non pensò un gran bene della telefonata e del marito aspirante regista.
Il sedicente leader ambientalista spiegò a fatica che tutto questo succedeva perché i cibi erano geneticamente modificati ed ormai non fornivano sufficienti anticorpi. Fece qualche salto logico ma il suo concetto era chiaro, come era chiaro che ormai non esistevano più le mezze stagioni. Qualcuno, sempre fuori campo e senza microfono, si intromise, ma le sue parole risultarono incomprensibili, più un latrato che altro. Il leader ambientalista proseguì sicuro e snocciolò dati, cifre, esempi, tutto quello aveva faticosamente mandato a memoria un’ora prima della trasmissione. Di colpo si bloccò. Riuscì a balbettare qualche parola, ma con pause smisurate tra una sillaba e l’altra. Sudava. Gli occhi erano ormai due fessure gonfie e purulente. Guardò il conduttore ed il suo sguardo implorava pietà. Irruppe sullo schermo un braccio femminile che porse un bicchiere d’acqua al poveretto. Questa volta la voce fuori campo si colse nitida: “mumble…stronzo…mumble …ci contagia tutti….. mumble….”.
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“Credi veramente che sia colpa degli OGM?”. Tony era tutto avvolto in un paio di coperte imbottite, una sciarpa della squadra cittadina di volley gli mascherava il volto. Stringeva al petto un’anacronistica borsa dell’acqua calda, scovata chissà dove. Aveva sentito pochissimo di quanto detto durante il programma. “È questo che hanno detto, Sara? È tutta colpa degli OGM?”.
“Si, lo ha detto l’ambientalista e nessuno lo ha contestato”.
Sara, per il momento, era stata restituita alla vita normale dalla tachipirina e sguazzava nel suo sudore. Sentiva molto caldo ed era rimasta in canottiera. La febbre non impediva a Tony di apprezzare le forme turgide dei capezzoli. Fece per allungare una mano ma un brivido freddo lo scosse lungo tutta la colonna vertebrale, richiamando l’arto ad una repentina ritirata sotto la coperta.
“Non credo che sia colpa dei cibi geneticamente modificati, magari è un virus che ci hanno tirato addosso quei maledetti arabi. Una fialetta nell’acquedotto e via… La porta è chiusa a chiave?”.
Dopo pochi minuti l’effetto dell’antipiretico cominciò ad abbandonare Sara. Proprio mentre la pubblicità mostrava un noto campione di basket, alle prese con l’installazione di un termocondizionatore, ebbe freddo. La donna si tolse la canottiera ed i suoi seni svettarono davanti agli occhi di Tony che li ammirò impotente. In un lampo, però, la ragazza si ricoprì. Non aveva gradito la battuta sugli arabi: “Allora io adesso mi metto il burka”. Sentenziò e passò ai fatti avvolgendosi in una copertona di lana a rombi bianchi ed arancioni lavorata ai ferri dalla nonna. Il motivo della coperta non piaceva a Sara, però era stato conservato dalla nonna per tanti anni con naftalina e lei impazziva per quell’odore, come era entusiasta dell’odore della benzina, amava per perfino sniffare alcuni solventi per tinte. Mentre si arrotolava nella coperta pensò a quella volta che aveva litigato con Tony per via dell’idropittura. Lui, tutto fiero, aveva riverniciato i termosifoni di casa con una pittura ecologica ad acqua, completamente inodore. Non che gliene importasse qualcosa, voleva solo assecondare la, pur flebile, vena ambientalista della ragazza. La tinta ad acqua era costata anche qualche centesimo in più. Lei si era innervosita perché amava l’odore dell’acqua ragia ma non volle darlo a vedere. Così piantò una grana per via di una macchia sul tappeto del bagno. Il ricordo la fece sorridere e chiuse gli occhi.
Dopo la pubblicità passò qualche secondo prima che i programmi riprendessero con una replica del Tenente Colombo, cinquantaquattresimo film della serie. Le reti nazionali seguivano la normale programmazione.
Convennero di attendere il notiziario locale delle 19. Tony ebbe sete e chiese dell’acqua. Sara sbottò: “non potevi chiederla prima?”. “Prima di cosa?” sussurrò Tony. “Prima che mi mettessi nelle coperte!”. “Scusa, principessa, faccio da solo”. Il rubinetto gorgogliò, sputò fuori dell’aria umida ma niente acqua. Fortunatamente avevano ancora bottiglie di acqua minerale, ma Tony sopportò malvolentieri le bollicine. “Ma se bevi quell’acqua puzzolente della fonte!”, protestò Sara. A volte Tony andava alla fonte per prendere qualche bottiglia di acqua: non era proprio frizzante ed aveva un qualcosa di acido che lo intrigava.
Suonò il telefono e Sara rispose al portatile scoprendosi il meno possibile. Era la signora delle pulizie che il giorno prima si era offerta di portare la spesa. Ora era malata anche lei, non sarebbe potuta venire, forse tra un paio di giorni…. Però aveva telefonato a suo nipote che lavorava presso un negozio di generi alimentari, dopo la chiusura avrebbe provveduto a recapitare pane, latte, due cassette d’acqua minerale e dodici rotoli di carta igienica, perché si era accorta che stava finendo. A proposito: l’acqua sarebbe mancata ancora per molte ore perché si era rotta la pompa dell’acquedotto, i tecnici comunali erano malati e non si trovavano altri tecnici in grado di procedere alla riparazione. L’ acqua minerale andava a ruba nei supermercati. Per fortuna il nipote della signora delle pulizie era riuscito a stiparsene una buona scorta nel suo pick up. Era stata gentile ad avvertire nonostante facesse molta fatica a parlare.
“Ha detto «pick up»?”, chiese Tony. “Si, ha detto «pick up»! Perché, non può dire «pick up»?!?”. “Ma se avrà fatto a mala pena le elementari!”. Sara si tolse le coperte e saltò dal divano: “Senti, stronzo, ha fatto le elementari ma dice «pick up»!!!”. “Va bene, va bene, ero solo curioso di sapere se avesse effettivamente detto «pick up»!!!”.
Sara pensò che tutto sommato questa epidemia non era un male: pick up a parte, nel congelatore avevano abbastanza riserve e qualche giorno di riposo a casa avrebbe giovato a tutti. Anche la frenesia della città aveva bisogno di un qualcosa di più grande di tutto e che dicesse ai troppi capi: “mi dispiace, oggi non avrai la tua segretaria o il tuo garzone a correre per te. Non puoi farci niente! È così e basta. Anche se tu sei un capo l’influenza è più forte di te!”. Gli uomini d’affari sono quasi tutti fermi come quasi sono tutte ferme le loro scellerate operazioni, eccettuato un residuo di trading on line che però non aveva i soliti punti di riferimento e non poteva avvalersi delle soffiate confidenziali più o meno illegali. L’influenza era brutta per tutti ed un capo a casa era comunque ridotto all’inattività. Un capo, per definizione, non sa lavorare senza dare ordini a qualcuno. Sara pensò ai tanti capi incapaci, al trading on line ed alla discussione sul pick up, si trovò sull’orlo di un attacco di rabbia. Si calmò pensando al fatto che per qualche giorno nessuno avrebbe corso verso non si sa cosa e questo avrebbe sicuramente giovato alla salute sociale della città.
Tony non era entrato nello stesso ordine di idee e protestava: “debbo spostare la lezione di golf, forse domani potrei farcela”. Sara rimase in silenzio. A questo punto il Tenente Colombo fu interrotto da un’ edizione straordinaria del notiziario. L’informazione era scontata: gli ospedali cittadini erano pieni, i vaccini non avevano funzionato, l’acqua non sarebbe tornata prima di dieci-dodici ore, le scuole erano chiuse. “Anche io non mi sento molto bene”, concluse, con involontario umorismo, il giornalista. Intanto. mentre la benevola protezione della tachipirina aveva definitivamente salutato Sara, cominciava a concedere i suoi sollievi a Tony. Ora era lui che sembrava più attivo, si aggirava per casa e si rendeva utile nelle piccole faccende, mentre la donna si riavvolgeva nelle coperte e cadeva in uno stato di dormiveglia. Tony aveva scovato un pacchetto di patatine alla cipolla e trovò la voglia di sgranocchiarne qualcuna, poi pensò con irritazione alla sete che sarebbe sopraggiunta e smise.
Le notizie dei primi morti arrivarono dalla chiostrina del bagno. La signora del piano di sotto conversava con la sua dirimpettaia. Le sue parole erano concitate, i modi riservatissimi, infatti la donna si confidava, in segreto, sussurrando, nella chiostrina, a tutto il palazzo. Tony, dalla sua posizione, non poteva comprendere le parole, ma infastidito dal rumore si affacciò per tirare a se le persiane. Con la testa fuori la finestra, non visto dalle donne, o forse visto, ma ignorato, gli fu sufficiente intercettare uno scampolo del discorso per cominciare a dipingersi un quadro allarmante della situazione. All’ospedale c’erano stati molti ricoveri ed una ventina di decessi. La signora sembrava una fonte molto attendibile. Il marito era infermiere in ospedale ed aveva telefonato frettolosamente, in semi clandestinità, avvertendola che l’intero ospedale cittadino era stato sigillato e posto in quarantena. Per ora non avrebbe potuto fare ritorno. Le autorità volevano tenere tutto sotto silenzio per non generare il panico, anche l’uso del telefono era controllato e lui non avrebbe richiamato prima di dodici ore.
A babbo morto si scoprì che l’infermiere, sempre in ottima salute, si era recluso volontariamente in isolamento con una disinvolta infermiera del controturno, il tutto, appunto, per una decina di ore. Appena venuta a conoscenza del fatto, la donna mise le valigie con la roba del marito fuori dalla porta di casa. Qualche giorno dopo avrebbe commentato su radio-chiostrina: “passi la scappatella, ma dieci ore. Dico D-I-E-C-I O-R-E chiusi in una stanza, è questo che mi manda in bestia”. Questo, a cose fatte, disse la donna che liquidò il marito. Fu proprio questo particolare delle dieci ore che la fece imbestialire, fosse stata una sveltina l’uomo l’avrebbe fatta franca.
L’epidemia in tutto fece poche vittime, non più di quante ne produce un normale virus influenzale con l’aggiunta di un anziano colpito da attacco cardiaco al diffondersi delle prime tragiche notizie. Anche la storia della quarantena, naturalmente, si rivelò una balla. Un reparto fu chiuso ma più che altro per l’affollamento che si era creato. Naturalmente, sebbene la notizia dei morti e della quarantena fosse stata confidata dall’infermiere alla moglie nel massimo segreto e per fini tutt’altro che nobili, si diffuse in tutta la nazione. La donna lo aveva rivelato solo alla sua amica attraverso la chiostrina condominiale. Dopo pochi minuti, mentre l’infermiere soffriva le privazioni dell’isolamento prolungato in compagnia della generosa collega, la città era caduta nel panico. Decine di giornalisti, eroici come sempre, si erano asserragliati fuori l’ospedale a repentaglio della loro incolumità fisica. Il caso volle che intervistassero anche l’infermiere che usciva dopo il massacrante turno di lavoro. “Niente di niente. Le vostre notizie sono tutte infondate. Opera dei soliti sciacalli e dei comunisti.”. Disse sicuro e tornò a casa.
Tony fu moderatamente impressionato dalle parole di radio-chiostrina, non svegliò Sara, ma, senza pensare a quello che stava facendo, le pose la mano sul torace, controllando che respirasse regolarmente. Era questo un gesto che aveva visto fare alla mamma con i suoi fratelli più piccoli, lo trovava stupido ed infantile ma ogni tanto si era sorpreso a ripeterlo con le persone che amava. Sentire al tatto il ritmo del respiro, il torace salire e scendere. Questo gli dava sicurezza.
Intanto dalla strada salirono voci concitate. Un gruppo di ragazzini era riuscito a penetrare nel negozio di dischi ed aveva cominciato a saccheggiare dvd, cd, giochi per consolle ed ogni altro ben di Dio. Si dileguarono al suono di una sirena. Subito si accorsero, però, che si trattava di un’autoambulanza e ripresero il saccheggio, ma con maggiore circospezione e minor frenesia. Evidentemente i poliziotti dovevano essere tutti malati. Sara, richiamata dai commenti di Tony, si svegliò e raggiunse, ancora avvolta dalle coperte, la finestra. “Bastardi, gli taglierei le mani”, disse Tony. Sara si affacciò alla finestra per rendersi conto della situazione. “Con un CD a quel prezzo è il minimo che possano fare, tanto tu giochi a golf”. “Che c’entra il golf?!”. Sara non sapeva cosa c’entra il golf, però ormai aveva detto “tanto tu giochi a golf”. Si irritò: “Uno che paga tutti quei cazzo di soldi per buttare una cazzo di pallina in una cazzo di buca non può capire”. Tony voleva strozzarla ma le diede una pacca sul sedere. Sara riprese il telecomando e cominciò a fare zapping, pensò che stava facendo zapping, ripensò al pick up e disse sotto voce “stronzo!”. Tony intese ma non aprì bocca. Si scelse un libro da leggere e si mise in cucina. Aveva scelto dalla libreria quasi a caso. La libreria era essenziale. Due scaffali in rovere che percorrevano tutto il lato lungo della sala da pranzo. In realtà non era una sala da pranzo: si trattava di una living room¸ chissà come la chiamasse la signora delle pulizie. Nell’angolo più in vista Sara riponeva tutti i libri che aveva intenzione di leggere a breve. Tony ne scartò due o tre, poi prese Cattedrale di Carver. La settimana prima aveva avuto voglia di leggerlo. Si fermò alla biografia dell’autore. Aveva commentato : “questo è un cazzo di comunista sfaticato”. Sara si era limitata a contestare: “…tanto tu non puoi capire. Tu giochi a golf!”. Tony cominciava a sospettare che questa storia del golf non piacesse a Sara. Decise che non avrebbe letto tutto il libro, però valeva la pena leggere qualcosa di questo Carver.
Carver piaceva tanto alla segretaria del suo socio ed a lui piaceva tanto la segretaria del suo socio. Era lei che glielo aveva consigliato. Tony sorprese la ragazza che stava leggendo in ufficio. Fece finta di interessarsi al libro. In realtà allungò il collo per sbirciare nella scollatura di Bruna. Così si chiamava la segretaria del socio. Lei si allungò per passare maliziosa il libro a Tony, dall’altra parte della scrivania, e Tony ammirò anche quello che c’era qualche centimetro oltre la scollatura. Lei disse: “ti interessa”. E lui: “tantissimo”. Uscirono per un caffè e parlarono di Carver. Lui ignorava chi fosse Carver e disse un sacco di fesserie. Tanto Bruna aveva capito subito che a Tony non interessava nulla di Carver. Però sarebbe stato utile conoscere qualcosa di questo tizio americano. Così comprò il libro.
Seduto in cucina, passò direttamente al racconto che dava il nome al libro. Lo lesse in una mezz’ora perché ogni tanto si distraeva e cominciava a rileggere dal punto in cui aveva perduto il controllo. È incredibile come si possa leggere un racconto pensando ad altro. A poche righe dalla fine sentì che i piedi poggiavano in una chiazza d’acqua. Immedesimatosi nel racconto, chiuse gli occhi e provò a comportarsi da cieco. Passò il piede sinistro sopra l’acqua nel tentativo di scoprirne la provenienza. Allungava il piede fino al limite, poi spostava la sedia rimanendo seduto ed avanzava di qualche centimetro. L’operazione si rese necessaria per tre o quattro volte. Non riusciva a capire quanto la pozza d’acqua fosse estesa, ma cominciava a preoccuparsi perché era abbastanza estesa. Alla fine raggiunse qualcosa che poteva essere il frigorifero, oppure la lavastoviglie che era accanto al frigorifero. Toccò con il piede l’elettrodomestico: in effetti potevano essere sia il frigorifero che la lavastoviglie. Ormai era una questione di principio. Mantenne chiusi gli occhi e si mise carponi. Si bagnò i pantaloni della tuta. Con il piede scalzo non aveva apprezzato che la pozza era abbastanza consistente. Annusò le mani e scoprì che il liquido era piuttosto maleodorante. Però, con quel raffreddore addosso, non riusciva a capire quanto fosse maleodorante. Ora sentiva anche cadere delle gocce dall’elettrodomestico. Avanzò con cautela e cominciò a tastarlo con le mani. Capì che si trattava del frigorifero. A quel punto pensò che se fosse stato veramente cieco la situazione si sarebbe presentata piuttosto ingarbugliata. Ma forse i ciechi hanno sviluppato un senso che permette loro di sopravvivere anche in queste situazioni. Deve essere per forza così altrimenti per loro non sarebbe possibile andare avanti. Allora un cieco in quel momento sarebbe stato in una posizione di vantaggio: i ciechi sono sleali e per questo si sentì autorizzato ad aprire gli occhi. Li aprì. Si ritrovò carponi, davanti al frigorifero, nel mezzo di una pozza di un liquido rossastro che dalla provenienza, dall’odore e, cavolo, da un minimo di evidenza non ragionata, poteva chiaramente appartenere alla carne del congelatore. Ergo, il frigo era rotto. La carne andava cucinata al volo e consumata. Sara aveva assistito alla scena dall’uscio della cucina e non disse una parola. Tony si chiese da quanto Sara fosse sull’uscio e se avesse visto la scena del cieco. Forse no.
Si mise all’opera. Dal frigorifero furono estratte le salme mollicce di un cappone, mezzo abbacchio in quattro porzioni, un manzo sotto forma di otto bistecche in quattro pacchetti da due, un animale non identificabile sporzionato in sedici fettine panate. Seguirono, un chilo di fagioli borlotti ridotti a pappetta, due coni gelato risalenti a chissà quale estate, una bottiglia di limoncello fatto in casa, due limoni senza scorza e tre chili di pomodorini da insalata che, stesi uno ad uno in fondo al congelatore, avevano conservato ancora un tono accettabile.
“Potremmo cucinare tutto ed invitare i nostri amici”, disse Tony. Sapeva che non “avevano” amici, nel senso che Tony aveva amici e Sara aveva amici, ma insieme non avevano amici in quanto uno detestava gli amici dell’altra e viceversa. “Forse potremmo organizzare un’orgia con i nostri vicini”, corresse. “Forse potremmo vendere questa roba alla moglie dell’infermiere. Ho sentito che non può muoversi di casa e con il marito intrappolato all’ospedale avrà qualche difficoltà”. Sara non rispose. “Forse con i soldi che possiamo ricavare da questo ben di Dio posso pagarmi un giro al golf…”.
“Chiamiamo i frati che hanno la mensa del quartiere, magari a loro serve, eppoi non voglio cucinare tutta questa roba”, disse Sara. “Ho detto di venderla”, replicò Tony. “Credevo che scherzassi”, sussurrò Sara.
Sara si sdraiò sul divano e chiuse gli occhi. Tony cominciò ad aprire tutti gli sportelli della cucina in cerca dei sacchetti per gli alimenti, avrebbe tentato di vendere la carne nel condominio. Sbatteva con violenza gli sportelli per dare fastidio a Sara. Ma Sara non si mosse. Nello sportello dei medicinali trovò un flaconcino di Novalgina, ne ingurgitò cinquanta gocce, lasciò la carne dentro al lavandino, si vestì per il golf ed uscì. Sudava da morire ed ad intervalli regolari veniva percorso da brividi per niente rassicuranti. Nel pianerottolo, mentre attendeva l’ascensore, si frugò le tasche. Era una specie di mania: prima di arrivare ad un posto prendeva a controllare se avesse con se ogni cosa (telefonino, portafoglio, chiavi). Si accorse di non aver preso le chiavi dell’armadietto nel quale custodiva le sue cose nel circolo del golf. Rientrò in casa. Fece molto rumore. Sara non si mosse. Prese le chiavi. Si avvicinò per controllarne, con il solito gesto, il respiro. Sembrava avesse il diaframma immobile. Questa volta ritrasse la mano prima di poggiarla sul torace della compagna. Uscì sbattendo violentemente la porta.
Sara non si mosse.
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