Elezioni 2008: la scelta
L’ora delle parole è finita. Ora, firme contrattuali a parte, è tempo di realizzare quanto le chiacchiere hanno definito. Siamo (sob!!) ormai abituati allo “scontro” elettorale, più che alla proposizione degli indirizzi politici. Dopo le chiacchiere servono soldi per coprire l’azzeramento dell’ICI, l’aumento delle pensioni, l’indicazione dello stipendio minimo, il lavoro necessario per guadagnare al fine di onorare i debiti acquisiti (case, macchine, viaggi, beni di consumo e quant’altro preso a “babbo morto”), la diminuzione delle tasse e, possibilmente, qualcuno che le paghi al nostro posto. Un appunto speciale per Alitalia, dove ancora una volta i magnati di casa nostra sperano che lo stato (ovvero noi) paghi i debiti, licenzi personale aggregandolo ad ammortizzatori sociali (che paghiamo noi), venda una società pronta a maturare frutti che divideranno (loro) gli imprenditori italiani, il tutto in una italianità “fantozziana” di cui cercheremo traccia e interessi sociali (vedansi le privatizzazioni fantoccio di Telecom, ENEL, Autostrade, Assicurazioni, rivelatesi tutte poco redditizie per lo Stato, con un cospicuo aumento dei costi, disservizi e business solo per i cosiddetti imprenditori).
Tutto OK. La peggior legge elettorale che si ricordi ha partorito gli scopi ideati, gratificare il premio di maggioranza parlamentare, al fine di garantire la governabilità, a discapito della rappresentatività o di maggioranze numeriche o di cartello. Voto utile o meno, nessuno lo saprà, certamente gli italiani hanno definito che la frammentazione politica è un’inutile indicazione di Governo della nazione. Non certo una mancanza ideologica di proposizione, basta vedere i risultati della Lega e dell’Italia dei Valori, bensì un forte indirizzo che proponga forze di Governo stabili per gli indirizzi e le necessità del Paese. È evidente che una cattiva legge, funzionante solo nel concetto aggregativo, abbia punito avventure e avventurieri dell’ultima ora, falciando in modo particolare a destra e a sinistra rappresentanti storici della politica Italiana. Ripeto e insisto sull’iniquità di questa forma elettorale. Anche perché sarebbe bene capire perché in Val D’Aosta, Trentino e in Sicilia, si utilizzi una formula diversa. Italiani o stranieri? È probabile che da revisionare non sia solo la legge elettorale, bensì l’intero sistema politico e rappresentativo della politica Italiana. Ciò che è certo, e che ritengo inoppugnabile, è che un Governo viene eletto dai cittadini per svolgere il mandato elettorale nel rispetto costituzionale. Un Parlamento viene eletto affinché rappresenti i cittadini, minoranze, maggioranze ed etnie, tali da dar voce al complesso sistema sociale. A ognuno i suoi ruoli, garanzie e rispetto per i mandati espressi dal popolo.
Il sistema su cui basare i ruoli è compito esplicito della politica e del Parlamento, tale da garantire la libera espressione dei cittadini di ideologia o di appartenenza sociale diversa. Non è nuovo vedere, nelle cosiddette nazioni evolute democraticamente, uno scontro istituzionale, tra Presidenti, Governi e Parlamento. Rinunciare a leggi o proposte bocciate, continuando ogni istituzione a mantenere il mandato (a termine) per cui sono stati eletti. Soltanto regole semplici e trasparenti possono far individuare la democratica convivenza, pur nella differenziazione ideologica, tra individui e associazioni partitiche diverse. La mancanza di voci e rappresentatività sociali sposterà la dialettica dai palazzi alle strade, con conseguente rischio di nuovi scontri. Lo sforzo politico a cui è chiamato il Parlamento, uscito dalle urne il 27 e 28 aprile, consiste nel definire un sistema elettorale dei cittadini. Trovare accordo anche con i partiti non presenti in Parlamento, tale da evitare inciuci o accordi bipartisan atti a eliminare rappresentanze diverse. I cittadini sono gli unici proprietari della politica italiana, è opportuno che dopo gli scippi delle attività e delle funzioni sociali effettuate dai politici, venga restituita dignità ai cittadini, relegando i politici nel Parlamento, unico incarico a cui sono stati chiamati.
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